Una nuova “casa dipinta”
Nel cuore di Trento, in piazza Pasi, è stata casualmente scoperta un’antica facciata affrescata di inconsueto carattere religioso.
Il patrimonio delle case dipinte di Trento, già ragguardevole, si arricchisce ora di una nuova e importante testimonianza, che è venuta alla luce in maniera del tutto inaspettata. Nel corso dei lavori di sostituzione della vecchia tinteggiatura esterna dell’edificio che si affaccia, da ovest, sulla piazza Pasi, promossi dalle proprietarie Cecilia, Lorenza e Paola Niccolini, verso la fine di febbraio del 2020 sono emerse decorazioni pittoriche di pregio del Seicento. Ne sono state individuate le prime tracce dopo l’incisione dell’intonaco per consentire l’inserimento di una linea elettrica. È così venuta alla luce una nuova facciata affrescata, mai citata nelle fonti e nelle descrizioni di Trento, città che grazie al suo vasto e prezioso patrimonio pittorico ha sempre destato l’ammirazione e la curiosità di viaggiatori e studiosi.
Ultimati gli scoprimenti sulla metà di maggio, è ora il momento delle operazioni di restauro. La Soprintendenza per i Beni culturali della Provincia ha provveduto (con determinazione n. 499 del 22 giugno 2020) a riconoscere il rilevante valore artistico e storico della facciata, assicurando così una forma diretta di tutela.
La decorazione è sulla parte di sinistra dell’edificio, verso la piazza del Duomo (p. ed. 256) a fianco della porzione che, sopra l’arcata del portico, fa angolo con la piazza. È articolata su cinque livelli sovrapposti.
Partendo dall’alto, si intravede in posizione centrale, pur nello stato di conservazione non soddisfacente che caratterizza molte parti della facciata, un Cristo nudo il cui sangue zampilla dalla ferita del costato e va a cadere in un calice; ai lati sono un vescovo, probabilmente san Vigilio e una santa, probabilmente Massenza, madre di Vigilio. Nel piano inferiore è affrescata una veduta del Marchesato di Ancona, riconoscibile grazie ai nomi di alcuni centri abitati nei dintorni di Loreto, come Osimo, Castelfidardo e Camerano. Più in basso compare la figura di san Rocco, con ai piedi il cagnolino che gli porta un pane. Al centro è invece una Madonna con il Bambino; più in là fra due finestre è san Sebastiano. Infine, posto quasi a suggello dell’apparato pittorico che si estende per una cinquantina di metri quadrati, compare in basso e nel mezzo lo stemma cardinalizio di un principe vescovo di Casa Madruzzo: è il penultimo della serie, Carlo Gaudenzio, regnante dal 1600 fino alla morte nel 1629 e creato cardinale nel 1604. La decorazione è pertanto databile fra il 1604 e il 1629.
L’antico proprietario dell’edificio, o quantomeno di questa sua porzione, intese quindi rendere omaggio alla Madonna di Loreto, ai santi tradizionalmente invocati contro la peste, come Rocco e Sebastiano e, sembra, anche al patrono della diocesi e alla madre Massenza. Non poteva mancare l’omaggio al principe vescovo di Trento, che apparteneva a una dinastia di ecclesiastici molto devoti al Santuario di Loreto, già a partire dal cardinale Cristoforo Madruzzo nella seconda metà del Cinquecento.
Il culto della Madonna di Loreto e della Santa Casa ebbe diffusione anche nel territorio trentino soprattutto nella prima metà del Seicento e pure in seguito fino a tutto il Settecento: basta ricordare la chiesa nel cimitero di Strigno (1645) e quella, molto particolare, nel paesino di Madruzzo, ai piedi di Castel Madruzzo, che sul portale reca incisa la data 1650. Entrambe le chiese conservano all’interno una fedele riproduzione della Santa Casa di Loreto con i suoi affreschi medievali lungo le pareti.
Chi erano in antico i proprietari del palazzo? Da documenti conservati nell’archivio comunale, ritrovati ultimamente dal suo direttore, il dott. Franco Cagol, risulta che nel Seicento erano i Bernardelli, una famiglia originaria di Lardaro, nella Valle del Chiese, trasferitasi a Trento intorno al 1531.
Certo l’intervento di restauro sarà molto oneroso, come confermano le proprietarie, sia per l’ampiezza della superficie dipinta venuta in luce che per le difficoltà insite nel restauro. La Soprintendenza provinciale purtroppo non dispone di fondi per l’assegnazione di un contributo, che per legge non potrebbe comunque superare il 50% della spesa ammessa. Per i restauri delle chiese invece il contributo massimo ammesso tocca l’80%. Sembra ragionevole pensare a un minor divario fra le due modalità d’intervento pubblico, quantomeno per apparati architettonici e decorativi di pregio, privati, di costante ed agevole godimento pubblico, come nel caso delle facciate all’interno dei centri storici. Grandi restauri delle facciate dipinte attuati negli anni ‘80 e ‘90 del Novecento poterono essere realizzati solo grazie a una buona disponibilità finanziaria di destinazione pubblica; ma essa è stata pesantemente ridotta negli ultimi sei o sette anni dai governi provinciali.
Solo al termine dei lavori sarà possibile, forse, individuare l’autore di questo apparato decorativo. È importante notare che è questa l’unica casa affrescata, almeno a Trento, con temi prettamente ed esclusivamente devozionali connessi con il culto cattolico del Seicento in Italia; a differenza degli altri edifici d’abitazione che erano (o sono ancora, almeno quelli superstiti) ornati con temi profani, allegorici, storici o simbolici. Unica eccezione, semmai, è la casa Cazuffi nell’attuale via Oss Mazzurana, decorata sulla metà del Cinquecento (quindi ormai al tempo del Concilio) con le vicende del popolo ebraico e della sua liberazione dalla schiavitù egiziana narrate nel libro della Genesi.
La scelta del tema del culto lauretano non poteva non essere in stretta connessione con il clima religioso controriformista che al principio del Seicento era ormai pienamente maturato anche nella “città del concilio” e che comportava, fra l’altro, l’intensificazione del culto mariano, soprattutto in funzione antiprotestante.
Nel lavoro di scoprimento è stata impegnata la ditta Nerobutto, che ha operato sotto la diretta supervisione, per conto della Soprintendenza provinciale, dell’arch. Fabio Campolongo (per gli aspetti architettonici), del dott. Salvatore Ferrari (per quelli storico-artistici) e della restauratrice Francesca Raffaelli, del Laboratorio della Soprintendenza.
Un ringraziamento a Lorenza Niccolini, che ha fornito numerose informazioni e ha messo a disposizione parte della documentazione dei lavori di restauro.