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QT n. 3, marzo 2020 Servizi

L'odio sociale: perché nasce e come si combatte

Le ragioni del successo delle sardine e le prospettive future

Piazza Duomo a Trento, manifestazione delle "sardine"

Presso la redazione abbiamo organizzato un incontro avente per tema l’odio sociale: come si può definire, come si configura attualmente, come si può contrastare.

Ne abbiamo discusso con Lorenzo Lanfranco, rappresentante del movimento delle sardine, e tre professori dell’Università di Trento: Carlo Buzzi, ordinario di Ricerca Sociale, Roberto Cubelli, ordinario di Psicologia Generale, Mario Diani, ordinario di Sociologia.

È giusto dire che il movimento delle sardine è nato proprio per contrastare questo fenomeno dell’odio sociale?

Lanfranco: Si, siamo nati per contrapporci all’odio, in particolare quello che anche in Emilia dominava nella campagna leghista, soprattutto a causa della figura, fino allora incontrastata, di Salvini. E a dire il vero ritengo che proprio per questo abbiamo raccolto un così gran numero di consensi.

L’odio nei social è molto presente, anche perché sembra che perdiamo la responsabilità di quello che diciamo quando scriviamo sui social, come se non avessimo la piena consapevolezza della gravità delle nostre parole. Gli interventi dei seguaci di Salvini sui social sono assai esemplificativi di questo modo di alimentare l’odio sociale. Va però precisato che i social facilitano la violenza verbale, però non la generano; la violenza può esserci anche senza i social. Il problema insomma è a monte, sono le persone, che si sentono legittimate a esprimere il peggio di se stesse, senza limiti, sdoganate in questo dagli atteggiamenti di Salvini. E prima ancora dalle tv di Berlusconi, in cui avevano incominciato a imperversare gli insultatori di professione.

Cubelli: Le sardine nascono in contrasto all’odio e a tutte le forme di comunicazione violente e aggressive, ma hanno anche saputo promuovere valori positivi, hanno ridato entusiasmo alle persone, hanno riproposto un’idea di politica come impegno, responsabilità e competenza, hanno mostrato un linguaggio diverso. Attenzione però: l’espressione “odio sociale” è efficace dal punto di vista comunicativo, ma è fuorviante. È un’etichetta che copre comportamenti molto diversi, come quando si mettono insieme le vittime della Shoah, delle foibe, del terrorismo, ecc.; un calderone in cui annegano specificità e distinzioni. È un’espressione-ombrello utile per indicare le manifestazioni comportamentali superficiali, ma non per analizzare e comprendere i problemi. Il termine odio rimanda a una dimensione individuale, di carattere affettivo e psicologico, e questo fa perdere di vista le cause culturali, storiche e sociali che sono alla base di un fenomeno che si sviluppa nel presente ma ha radici lontane.

Il contrario della parola odio è amore; contrastare l’odio non può voler dire immaginare che ogni relazione di tipo politico e sociale sia governata dall’amore. È ingannevole e sbagliato ipotizzare una società priva di conflitti o in cui il conflitto è negato e annullato.

Diani: Ho avuto la sensazione che il rifiuto di forme di comunicazione particolarmente sguaiate, violente, aggressive, sia stata la componente essenziale per dare il via alla partenza del movimento e mi pare che questo sia successo anche qui a Trento. In questo modo si è data l’opportunità a tanti per dire: ci siamo anche noi, esistiamo ancora, ed il metodo è stato senz’altro efficace. Dopo di che è vero che il degrado del linguaggio politico è accentuato dall’uso dei social, ma non dipende dai social esclusivamente. La comunicazione sui social è una comunicazione allo stesso tempo pubblica e privata, direi anzi solipsistica, ma io non sono sicuro che le persone violente sui social lo siano poi anche nella vita reale. Basti pensare alle liti, a volte anche forti, tra colleghi via mail, ma che non comportano poi atteggiamenti violenti negli incontri diretti. Il social amplifica, ma il livello di aggressività dipende dall’indebolimento delle ideologie, delle agenzie culturali, del venir meno della validità delle “narrazioni”.

Buzzi: Concordo. Le sardine offrono valori alternativi a quanto sembrava prevalente, un movimento che nasce come reazione, poi cresce si sviluppa e si amplia. Sono solo quattro mesi che esiste e quindi è presto per trarre dei giudizi e delle conclusioni, ma i suoi primi passi sono passi di opposizione a una situazione che sembrava dilagante, che aveva introdotto un contesto in cui si ragionava non con la testa, ma con la pancia. Il clima sovranistico ha un’impostazione tipica da resa dei conti, di linguaggio arrogante, di odio al nemico, visto non come avversario, ma appunto come un nemico, da contrastare in ogni modo e mettere alla berlina, in particolare utilizzando gli strumenti del bullismo mediatico e la continua spettacolarizzazione degli eventi. In questa situazione, in cui la gente sta vivendo un momento di difficoltà, in cui tutto cambia rapidamente e si perdono i riferimenti, dove sembra che la cosa più importante sia sopravvivere, molti, soprattutto le menti più deboli, si rifugiano nelle soluzioni proposte dal sovranismo che dà risposta alle loro emozioni viscerali, alla loro insicurezza, e per farlo utilizza un meccanismo classico: indicare un nemico su cui scaricare la colpa di tutti i problemi e il nemico per eccellenza è l’immigrato.

Capire tutto questo è importante, perché solo così si può dare una spiegazione al successo incredibile del movimento delle sardine che in pochi giorni, dal nulla e senza un apparato, mobilitano decine di migliaia di persone (per arrivare ad un totale di 500.000 alla fine dei vari raduni). Si trattava di dare una risposta diversa al clima di esasperazione che era stato creato, alla totale sfiducia di gran parte della gente che votava turandosi il naso o non votava.

Esaminando i sei punti programmatici (vedi box sotto) proposti quasi subito dal movimento ci accorgiamo che ben cinque di essi riguardano le modalità della comunicazione di stile propagandistico, su cui il movimento esprime una critica feroce, e solo l’ultimo riguarda un tema politico vero e proprio, ossia la sicurezza, che giustamente le sardine hanno individuato come fondamentale. Sulla sicurezza si gioca tutto e bisogna riuscire smontare questa rappresentazione fittizia del pericolo, una rappresentazione ingigantita che non corrisponde alla realtà oggettiva, ma che moltissime persone invece vivono come un pericolo reale.

Prima dell’arrivo delle sardine abbiamo avuto un lungo periodo di incontrastato spazio della narrazione sovranista, e quindi anche di sostanziale accettazione delle manifestazioni di intolleranza, con la motivazione da parte di tutti i protagonisti (partiti di sinistra, giornali e televisioni, parroci e mondo ecclesiastico) che qualunque esplicita presa di posizione contro Salvini avrebbe finito con il fare il suo gioco e lo avrebbe favorito, perché il sentire popolare era in linea con le sue posizioni. Insomma, una fenomenale dimostrazione di scarsa fiducia nella forza delle proprie idee.

Cubelli: Le sardine inizialmente nascono come un movimento reattivo: tra moltissime persone si era diffusa la rassegnazione, l’Emilia Romagna era data per persa, le piazze e la comunicazione erano in mano alla destra e alla propaganda populista. Il 14 novembre ero a Bologna e ho visto di persona come la piazza si sia rapidamente riempita di gente che voleva reagire al clima imperante del sovranismo e mostrare l’esistenza di una città diversa. Lo stesso si è poi ripetuto in numerose altre piazze italiane. Successivamente le sardine sono diventate un movimento generazionale, formato da coloro che sono nati intorno e dopo l’89, che sta assumendo posizioni politiche sempre più puntuali. Un movimento che non coincide con le persone che avevano invaso le piazze, ma che è cresciuto con loro. Esemplificative sono le canzoni di quella prima sera: gli organizzatori, partendo dalla metafora del mare, avevano scelto “Come è profondo il mare”, la piazza ha aggiunto “Bella ciao”.

Come si è arrivati all’attuale clima di odio e all’uso di un linguaggio violento? Il discorso parte necessariamente da lontano. In primo luogo dal fatto che in Italia non si sono mai fatti i conti con le gravi colpe del passato e una cultura razzista, antisemita e fascista si è sempre mantenuta radicata e diffusa anche se largamente minoritaria. Poi bisogna tenere presente che una parte del mondo intellettuale e politico, a partire dagli anni ‘80, ha prima tollerato, poi legittimato e infine rivendicato quel tipo di cultura. Infine, terzo aspetto, c’è la degenerazione del linguaggio pubblico, che parte anch’essa negli anni ‘80, contemporaneamente alla nascita della televisione commerciale: la rissa continua, l’insulto come strumento di discussione, la carriera politica fondata sul turpiloquio nelle trasmissioni televisive. Questi tre aspetti si intrecciano con l’attuale grave crisi economica e sociale, che non riguarda solo l’Italia, e con la disponibilità delle nuove tecnologie. Allora è facile che gli altri, i diversi e gli stranieri, diventino i capri espiatori da disprezzare, che i penultimi accusino gli ultimi di essere i responsabili di ogni svantaggio, che ci sia sempre qualcuno più a sud di qualcun altro.

Grande merito delle sardine è aver denunciato tutto questo, aver restituito alla politica il contatto personale, aver riproposto il ritorno in piazza come occasione per conoscere, aver affermato la conoscenza come strumento per reagire.

Diani: Storicamente, parlando di movimenti collettivi ma anche di forme organizzate come partiti e sindacati, i due canali attraverso cui si poteva avere un ruolo nella sfera pubblica erano la stampa e la partecipazione alle assemblee. Canali che implicavano una certa disponibilità di tempo e di voglia di impegnarsi. Adesso invece, grazie ai nuovi sistemi, l’accesso è abbastanza a basso costo in termini di impegno. Ecco quindi che anche le persone che sono sostanzialmente felici di accettare una grossolana semplificazione della realtà, persone che in effetti ci sono sempre state, ora trovano il modo di farsi sentire senza mediazioni e possono emergere.

Un’altra considerazione che vale la pena di fare è che quando si parla di movimenti bisogna sempre ricordarsi di inquadrarli nel giusto contesto. Quando si studiano i movimenti di protesta si utilizza questa costruzione concettuale che differenzia tra partiti, sindacati, organizzazioni di rappresentanza delle categorie di interessi economici, e tutto il resto finisce genericamente nella voce “movimenti”, anche se i realtà si sta parlando di fenomeni molto diversi. Ora sappiamo che la maggior parte dei movimenti finisce o con il venire cooptata in larga misura dai partiti esistenti o comunque li integra. Questa sarà proprio la questione più interessante da seguire: vedere e capire come si svilupperà il rapporto tra le sardine e le forze politiche esistenti.

Sui meriti delle sardine ci pare che tutti siamo d’accordo. In chimica si direbbe che la loro presenza ha svolto il ruolo di catalizzatore: il brodo sociale era preparato e prontissimo a reagire, ma mancava l’elemento scatenante, il catalizzatore appunto. Brave le sardine ad inserirsi nel momento giusto. La domanda ora è questa. Ha un qualche senso che ora il movimento si metta ad affrontare settori e tematiche che, a causa delle grandi diversità di posizioni dei partecipanti, della mancanza di regole, magari anche della scarsa dimestichezza con i meccanismi della politica, rischiano di portare il movimento su strade difficilissime? O non converrebbe piuttosto che le sardine continuino a fare la cosa importantissima che hanno mostrato di sapere fare e dicano: “Ci siamo, continueremo a vigilare, vogliamo garantire che i punti che abbiamo portato alla luce (un modo diverso di fare politica, basta con la politica urlata, finiamola di demonizzare l’avversario) diventino valori condivisi da chi fa politica in Italia”?

Lanfranco: Penso che le due strade possano andare di pari passo. Fare vigilanza, o se vogliamo fare politica fuori dai circuiti istituzionali, è importantissimo. Nel contempo però possiamo affrontare anche temi concreti, parlare di contenuti. Per noi questo è il modo per portare le persone ad informarsi e fare in modo che possano approfondire i temi su cui discutono, per tenere aperto il dibattito, per rispondere alla loro voglia di partecipazione. Ci sembrano obiettivi validissimi e da seguire, indipendentemente dalla validità delle risposte scaturite. Sintetizzando: dibattiti e incontri rappresentano momenti di crescita, a prescindere.

Cubelli: L’importante è che il movimento sappia distinguere i problemi amministrativi e gestionali (che spesso si riducono a problematiche locali) e i temi connessi ai valori di fondo (democrazia, antifascismo, uguaglianza) da cui sono partiti e che sono alla base della loro identità. Giustamente le sardine hanno subito puntato l’attenzione sui decreti sicurezza, mostrando di avere capito che i temi dell’accoglienza e della solidarietà sono fondamentali. Poi hanno affrontato questioni centrali come il Sud, i diritti civili, l’emergenza climatica. Ve ne sono altri di cui occuparsi in futuro: in primo luogo il tema della cittadinanza con la questione ius culturae, un argomento praticamente scomparso dagli schermi della politica.

Una considerazione finale, rivolta non alle sardine, ma ai partiti della sinistra. In Emilia Romagna si è passati dal 37% al 73% di votanti. La lezione da trarre è che la vittoria di Bonaccini si deve senz’altro all’apprezzamento per il buon governo regionale che ormai vanta una tradizione pluridecennale, ma soprattutto si deve alla grande mobilitazione avviata dalle sardine che hanno saputo intercettare e interpretare il bisogno di una politica diversa. Se la sinistra non comprendesse questo e non ritrovasse una capacità di elaborazione e proposta, basata sulla partecipazione e l’ascolto, commetterebbe un errore gravissimo.

Il programma delle sardine

  1. “Pretendiamo che chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a fare politica invece che fare campagna elettorale permanente”.
  2. “Pretendiamo che chiunque ricopra la carica di ministro comunichi solamente su canali istituzionali”.
  3. “Pretendiamo trasparenza nell’uso che la politica fa dei social network”.
  4. “Pretendiamo che il mondo dell’informazione protegga, difenda e si avvicini il più possibile alla verità”.
  5. “Pretendiamo che la violenza, in ogni sua forma, venga esclusa dai toni e dai contenuti della politica”.
  6. “Chiediamo alla politica di rivedere il concetto di sicurezza e, per questo, di abrogare i decreti sicurezza attualmente vigenti”.