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QT n. 2, febbraio 2020 Monitor: Teatro

“Dracula”

Un mostro che non coinvolge

Lucrezia Barile
"Dracula"

Decidere di andare a vedere uno spettacolo che mette in scena un capolavoro della letteratura di tutti i tempi come Dracula accade o per passione verso il libro, o per passione verso il teatro, o per vezzo a frequentare quest’ultimo, il teatro. Oppure, come nel mio caso, per una strana congiuntura astrale per cui tuo marito ti ha suggerito lo spettacolo, ti ha prenotato il biglietto, tua figlia duenne è nella fascia oraria del riposino. Poi perché andare a vedere uno spettacolo di domenica, alle quattro di pomeriggio, con due attori che sullo schermo hai avuto modo di apprezzare tante volte, potrebbe essere una scoperta per lo meno non male. Infine il Teatro Sociale di Trento è sempre un bel luogo da frequentare. Insomma, stavolta il tema trattato è stato secondario nella scelta: avrebbe potuto essere Frankenstein, per rimanere nel genere, come pure Madame Bovary, per rimanere tra i capolavori della letteratura. Ugualmente, però, un po’ di curiosità c’era. Sebbene ci fossero tutte le condizioni ideali sopra descritte, arrivo comunque in ritardo e trafelata, mi fanno sedere conducendomi nel primo posto utile al buio in una oscura e tenebrosa atmosfera che mi incute rispetto e senso di colpa per la mia mancanza di puntualità, per cui non mi tolgo il giaccone e neanche la borsa; mi faccio piccola per non disturbare e guardo tutto d’un fiato. D’altronde la storia è arcinota, quindi anche se ho perso le primissime battute ce la posso fare a recuperare il resto. E in effetti è proprio questo il punto.

La storia è arcinota. Ora, se si sceglie di farne una trasposizione teatrale, significa che si ha in mente qualcosa di inedito che può essere nell’aggiunta di significato, o nella forma, in una interpretazione che ne rivisita i contenuti, nell’esaltazione dei contenuti stessi e identici. Insomma, a mio parere portare sulla scena un capolavoro come Dracula, che ha già avuto tante trasposizioni al cinema e in televisione, è una scelta che ha un obiettivo ben preciso e una certa responsabilità.

Ma veniamo a questa storia arcinota e al suo successo: pubblicato nel 1897, il romanzo è un profondo e vorticoso viaggio negli abissi del genere umano, dove morte, amore, sangue, paura e tentazione stringono un legame indissolubile. Catalogata come una storia che rientra nel genere horror/gotico, essa racconta l’uomo e i suoi lati sconosciuti e indicibili, attraverso una scrittura capace di portare il lettore in questo abisso sconvolgente, contraddittorio e carico di emozioni.

Non altrettanto è in grado di fare questo spettacolo: non si può infatti dire che sia emozionante. La trama è la stessa di Bram Stoker, i significati e i temi trattati sono gli stessi. Il male, Dracula, si insinua nella vita apparentemente tranquilla di una coppia. Un male che potrebbe essere, a voler interpretare il senso della figura del Conte Vlad, un tradimento, una malattia, la disattenzione, la mancanza di cura. Il vampiro è il veleno che viene da lontano, ma che in realtà è in ciascun di noi. Lo spettacolo di Rubini racconta questo, un bel contenuto, ma infine la sensazione che rimane è che non fosse necessario scomodare Dracula. Cioè, allo spettatore non arriva nulla dell’angoscia e del senso di lancinante impotenza e colpevolezza verso qualcosa che noi stessi vogliamo pur essendoci letale. Il lettore legge inquietandosi, macchiandosi dello stesso sangue di Dracula, purificandosene infine dopo un assurdo viaggio che lo lascia comunque sconvolto.

Non accade questo allo spettatore. Nessuna catarsi finale, perché non c’è nessun coinvolgimento, dunque nessun ritrovamento di se stessi e nessuna purificazione. Quella che scorre davanti agli occhi sul palco è la messa in scena di un noto racconto, ben recitata da Lo Cascio e Rubini che si confermano bravi attori, anche se nel complesso sotto tono; ben curata nella forma scenica (belli gli effetti delle luci, i drappeggi utilizzati per il succedersi delle ambientazioni, i suoni, i repentini quanto morbidi cambi di scena). Lasciano perplesse tuttavia delle scelte come quella di tenere sul palco il tecnico degli effetti sonori, la cui sagoma compare piuttosto evidente nei cambi di luce e l’aggirarsi in platea di un Dracula che urla in - si suppone - rumeno, che a dire il vero più che inquietare fa quasi sorridere.

Insomma la regia di Rubini, ahimè, non emoziona. “Si lascia guardare”, come si usa dire con una frase tanto odiosa quanto efficace, per indicare qualcosa che non annoia, ma neanche coinvolge più di tanto. Una trasposizione, se vogliamo, per certi versi, quelli sopra descritti, fatta bene, ma per il resto piuttosto piatta e scarsamente originale.

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