Dottore, come parla?
La carenza di medici aggravata da un'assurda gestione del bilinguismo
Nella Sanità pubblica del Sudtirolo mancano i medici, come in molti altri posti in Italia. Le liste di attesa sono lunghe anche anni, cui si risponde con convenzioni con le cliniche private, che sorgono come funghi (che lo sapessero prima?). Diversi medici che lavorano a tempo determinato non sono bilingui, vengono dal resto d’Italia, i sudtirolesi che studiano a Innsbruck e a Vienna spesso rimangono in Austria, Germania o vanno in Svizzera, dove guadagnano molto di più e dove c’è più rispetto. Chi viene assunto dalla sanità provinciale ha alcuni anni di tempo per fare i corsi e imparare la seconda lingua. La scadenza ora è stata prorogata per non rimanere scoperti più di quanto già non sia. Uno dei partitini di estrema destra nazionalista protesta in modo sgangherato perché alcuni medici non parlano tedesco. Arnold Tribus sul Tageszeitung, dopo avere ribadito che è giusto che le persone possano rivolgersi nella propria lingua al medico, ammonisce che allontanare tutti i medici che non parlano la seconda lingua significa chiudere numerosi reparti in tutti gli ospedali. La Svp, dal canto suo, fa pressione sul governo affinché trovi il modo di permettere che medici germanici o austriaci possano iscriversi all’Ordine dei medici, pur non conoscendo la lingua italiana. L’Ordine ha fatto ricorso, ipotizzando l’incostituzionalità di questa pretesa.
In Sudtirolo, il problema italiano dei numeri chiusi troppo ristretti e della mancanza di posti per la specializzazione che hanno portato alla carenza cronica di medici, è aggravato dagli effetti deleteri del mancato impegno per il bilinguismo che ormai dura da decenni. La Svp ha condotto una vera battaglia contro il bilinguismo, che viene sì preteso come requisito per i lavori a contatto con il pubblico, e però viene vietato e boicottato nelle scuole pubbliche.
In quelle private, cattoliche e a pagamento, le lingue invece si possono insegnare e imparare. E così avviene, ma ciò non riguarda la stragrande maggioranza degli studenti. Per lungo tempo, metodi moderni di insegnamento della seconda lingua sono stati messi all’indice, perché politici senza alcuna formazione linguistica, pieni di pregiudizi nazionalisti, hanno contestato alla scienza glottologica la loro efficacia, con la motivazione che avrebbero avuto come risultato la “snazionalizzazione” della minoranza sudtirolese. Mentre nelle scuole delle valli ladine l’insegnamento in tre lingue ha portato a rendere trilingui coloro che le frequentano, l’insegnamento di materie in lingua diversa era vietato non solo nelle scuole di lingua tedesca, ma anche in quelle di lingua italiana. Inutilmente scienziati linguisti hanno spiegato che aggiungere la conoscenza di una lingua non fa perdere la lingua madre, ma al contrario la rafforza.
Così chi può farlo cerca di superare per conto proprio e a proprie spese il problema di crescere figli bilingui, e chi non ce la fa sa che essi rimarranno al margine o ai livelli bassi dell’occupazione o andranno altrove a cercare un lavoro al proprio livello di istruzione. In Alto Adige, un lavoro si trova, ma non si va avanti senza la conoscenza della seconda lingua. Un fatto giusto e perfino scontato, se non fosse che la politica ha cercato in ogni modo di impedire il bilinguismo, a partire dal divieto tutt’ora in vigore delle scuole bilingui. Intanto nelle scuole di lingua italiana mancano i docenti di madrelingua tedesca, in quelle di lingua tedesca si elimina la letteratura italiana, come se fosse possibile imparare una lingua senza conoscerne la letteratura. E c’è più di un politico che vorrebbe togliere l’obbligo di madrelingua per la seconda lingua, in modo che a insegnare l’italiano siano persone di madrelingua tedesca. Così, invece di far crescere generazioni bilingui, si preferisce aggiungere a medici italiani che non sanno il tedesco, medici tedeschi che non sanno l’italiano. (Comunque si deve dire che ci sono moltissimi medici bilingui e che, in attesa che tutti lo diventino, il direttore generale della Sanità ha predisposto che i team medico-infermiere siano composti in modo tale che la differenza di lingua permetta di comunicare bene con ogni paziente).
In queste condizioni, come non provare profonda invidia nel sentire che a Trento, di fronte al problema dalla mancanza di medici, si è reagito intelligentemente, fondando una facoltà di Medicina? Che questa viene inserita nelle istituzioni della ricerca e della pratica medica della provincia stessa? Questa è o dovrebbe essere l’autonomia, usata per incentivare la conoscenza e lo sviluppo culturale e non per boicottarlo. La speranza nutrita dai nostri governanti che l’Austria ampliasse i propri posti disponibili – cui hanno accesso anche i sudtirolesi – con la creazione di una facoltà di medicina a Hall vicino ad Innsbruck, è stata scartata dal governo austriaco nei giorni scorsi. E dunque la speranza di chi non è roso dal baco nazionalista e da vecchi pregiudizi, è che ci sia modo per i nostri giovani di studiare anche a Trento, attivando una collaborazione che è sempre stata troppo carente e resa difficile dal vecchio sleale pregiudizio Svp verso il Trentino. Intanto, per poter studiare medicina alcune decine di studenti si sono trasferiti da Bolzano a Riga. La lingua di insegnamento è l’inglese. L’università è a pagamento.
Il Manifesto di Assisi
Il concetto di formazione delle giovani generazioni che continua a prevalere in provincia di Bolzano, che ha il numero più basso di laureati del paese europeo (l’Italia) che ha il minore numero di laureati, è elitario, divide nettamente la gioventù secondo la lingua (anche se in realtà poi c’è più d’uno che riesce a superare questi muri) e contrasta con i principi del Manifesto di Assisi per un’economia a misura d’uomo.
Nella presentazione del manifesto del 24 gennaio scorso ad Assisi, si è parlato di conversione ecologica, un’espressione usata per primo da Alexander Langer, il cui pensiero coniugava la speranza di una pacifica convivenza fra tutti gli esseri umani e fra tutti i popoli con quella di un cambiamento epocale e mondiale dell’economia nel rispetto dell’ambiente e della dignità della persona. Il Manifesto, cui hanno già aderito 2.000 rappresentanti di istituzioni, mondo economico, politico, religioso, della cultura e della ricerca, e che è stato firmato dal presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, che ha preferito Assisi a Davos, propone un’economia sociale, una rivitalizzazione e rilancio dell’esperienza italiana di economia circolare e di collaborazione, a partire dai livelli comunali, fra tutte le forze sociali, economiche, culturali, politiche per rifondare un’economia in cui la dignità della persona sia in primo piano.
In questo quadro, che costituisce l’unico esempio di alternativa (da sviluppare) al predominio degli interessi della grande finanza nel mondo, è fondamentale la formazione delle nuove generazioni, che devono essere educate e istruite a tenere insieme tutti gli aspetti della vita e non solo il denaro.
Di fronte alle minacce (a Davos si è parlato di una nuova crisi economica internazionale imminente) e alle sfide di un necessario cambiamento ecologico da affrontare avendo come obiettivo il miglioramento della qualità di vita dell’umanità, il Sudtirolo è sfuggente o ambiguo, si sente estraneo, è privo di una visione che abbracci tutti coloro che ci vivono.
Agli attuali governanti, spesso succubi di avide lobby locali, si deve dire che non è troppo tardi, ma bisogna smettere di fare i furbi, di tradire i cittadini dopo averli fatti votare per un referendum, solo perché va contro i potentati locali; che bisogna mantenere le promesse fatte ai giovani di Fridays for Future, e non lasciare che le città siano inquinate a morte, che i pedoni siano travolti da auto e camion, e che i lavoratori dipendenti e i pensionati siano di gran lunga i principali contributori del bilancio pubblico.
Che, come ha detto un giovane contadino ad Assisi, il sociale, la sanità, l’istruzione e la ricerca siano calcolati in modo diverso dalla regola predominante del profitto materiale immediato.