Uno strumento indispensabile?
Agli albori della telefonia cellulare
Questotrentino ha compiuto 40 anni. Tanti, che anche chi fin dal primo numero il giornale l’ha scritto e magari anche impaginato - un tempo con forbici e colla, poi, via via, con strumenti sempre più raffinati - non può ricordare tutto. Così, sfogliando le collezioni degli anni più lontani, ci capita di ritrovare cose del tutto dimenticate: inchieste, notizie o commenti che ci colpiscono in varia maniera: come siamo stati bravi, o ingenui, o sciocchi!
Parliamo di cose e storie serie come pure frivole, di una memoria di cui vorremmo comunque restasse traccia, ma che non ha potuto trovare posto nel nostro sito Internet, che riporta i numeri di QT solo a partire dal 1998. Da qui l’idea di una rubrica che facesse riemergere, dal chiuso di vecchie copie cartacee, qualcosa che possa ancora interessare, o divertire, un lettore di oggi.
Se nel 1991 su QT ci fosse stata l’attuale rubrica QTech, che tratta di novità tecnologiche, l’articolo sui telefoni cellulari che vogliamo rievocare, vi sarebbe comparso. A quel tempo, i cellulari erano da poco sul mercato: nel 1990 i possessori di telefonini erano appena 270.000, passati a mezzo milione alla fine dell’anno successivo.
“Occorre anzitutto distinguere – scrivevamo - tre tipi: quello fisso veicolare, quello cosiddetto trasportabile e quello cellulare. Il primo è collegato alla batteria dell’auto… Il secondo è chiamato trasportabile, ma pesa dai 2 ai 4 chili. Lo riconoscete perché è collegato ad una valigetta-batteria e ad un’antenna… L’ultimo, il più ambito è il portatile, o ‘palmare’. Tascabile e leggerissimo (per i criteri dell’epoca, n.d.r.), costa circa 3 milioni (corrispondenti a 2.800 euro odierni, n.d.r.). Una volta acquistato il telefonino, l’utente dovrà però sborsare un’altra serie di costi non indifferenti… La tassa SIP per la richiesta del numero, circa 100.000 lire. L’obolo annuale per lo Stato, altre 300.000. Ultimo, una bolletta salatissima: - Tutte le telefonate sono in teleselezione – ci ha ricordato un rappresentante che usa il cellulare – e solitamente pago mezzo milione (455 euro, n.d.r.) di bolletta”.
Il nostro articolo non sottovalutava l’importanza del nuovo strumento, ma sottolineava anche “l’aria da Vip che aleggia intorno a chi gira con uno di questi apparecchi, preferibilmente in luoghi dove ci si possa far notare”. Niente a che vedere con l’odierna esibizione collettiva di smartphone di giovani e meno giovani sui mezzi pubblici o in attesa di essere serviti al bar: quelli erano telefoni e basta, senza Internet né giochini.
Le reazioni della gente alla novità erano equamente divise fra chi considerava il cellulare un possibile, importante strumento di lavoro e chi lo riteneva invece poco più di un giocattolo, un costoso status symbol. “Tutti quei miei colleghi – dice una signora – che usano il telefonino solo per farsi notare… Entrano nei luoghi pubblici sempre con il telefonino, spesso spento, ben in vista e fingono di telefonare…”.
Più lungimirante un giovane: “Tra poco tempo il telefonino sarà accessibile a tutti. Mi auguro che per allora il suo funzionamento sia migliorato, perché adesso lascia molto desiderare”.
Costi a parte, quei primi cellulari presentavano un altro problema di non poco conto: “Fra qualche tempo – hanno comunicato gli esperti – le voci degli utenti viaggeranno per altre strade… Ma al momento l’intercettazione di queste costose conversazioni è un’operazione relativamente semplice per chi abbia qualche dimesticchezza col mondo delle comunicazioni via etere. E così anche noi, come fa settimanalmente ‘Cuore’, abbiamo voluto proporre qualche esempio locale…”.
Seguiva, ad opera di un nostro attuale recensore d’arte, allora quindicenne, la trascrizione di alcune telefonate, non proprio indispensabili, catturate grazie a un “baracchino” da radioamatori…
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(Cinzia Bertoldi, “Telefonini, uso e abuso”. D. D., “Uno strumento indispensabile?”, Questotrentino, 27 dicembre 1991