“Oriente occidente 2019”
Ritorno al corpo
Parafrasando il titolo del volume edito una ventina d’anni fa da Oriente Occidente, Il corpo della danza, si può di certo affermare che il corpo sia stato il protagonista assoluto degli spettacoli di apertura della trentanovesima edizione del Festival. Corpo esibito ed esperito senza veli né inutili orpelli, libero di esplorare fino in fondo le più piccole e impercettibili sfaccettature messe a disposizione da un’anatomia articolata e capace di movimenti raffinati come quella umana, che sa dare vita a forme inedite e sperimentali, in un certo senso quasi sovrumane. La nudità sulla scena non costituisce certo una novità nel variegato panorama della danza contemporanea e tale filone di ricerca era in qualche modo stato anticipato dallo spettacolo di chiusura della scorsa edizione, affidato alla sapiente - e preveggente - regia di Michele Abbondanza e Antonella Bertoni. Il sasso lanciato dalla storica coppia “roveretana”, è stato raccolto da due nuove leve della scena coreutica nazionale, Pietro Marullo e Luna Cenere. In Hive, ispirato a La sacra famiglia di Michelangelo, Marullo catapulta i danzatori in un’atmosfera allo stesso tempo astratta e primordiale, in cui si scontrano istinti sfrenati e movimenti animaleschi, destinati infine a distruggere dall’interno i membri di un’isterica cerchia famigliare.
Dalle ceneri del lavoro di Marullo sembra metaforicamente risorgere una nuova forma di vita comunitaria in Zoé. Appunti sulla nuda vita, prima tappa del progetto di ricerca Genealogia, che Luna Cenere, artista associata a Oriente Occidente, porterà avanti anche nel prossimo biennio. I corpi portati in scena dalla coreografa napoletana si amalgamano in maniera simbiotica, quasi fossero un unico organismo generatore di gesti e movenze semplici quanto inusuali, che liberano la danza di ogni consuetudine narrativa per concentrare l’attenzione sul qui ed ora dell’azione performativa. Alcune soluzioni formali ritornano pressoché identiche anche nel lavoro del coreografo Slovacco Martin Talaga che in Soma indaga ‘glorie e bruttezze’ del corpo maschile, alla ricerca dell’intrinseca, contorta umanità dei propri interpreti.
Di forte impatto ma anche un poco ostici nella fruizione, questi lavori sono accomunati da una ricerca formale che strizza l’occhio alla performance artistica più che alla danza e costituiscono soltanto uno dei filoni di ricerca indagati da Oriente Occidente, che mai come quest’anno ha proposto spettacoli estremamente diversi tra loro, nell’intento dichiarato di “permeare lo spettatore di emozioni, di immagini potenti, di visioni estetiche, instillando il seme del dubbio e della curiosità”. E a proposito di immagini potenti è d’obbligo citare gli spettacoli di apertura e chiusura del Festival, entrambi acclamati a gran voce dal pubblico per la loro originalità e il loro forte impatto scenico.
In Vertikal Mourad Merzouki, inventore dell’hip hop teatrale francese, sospende i suoi atletici danzatori a pochi centimetri dal suolo in un vorticare in assenza di gravità che fa in parte da contraltare alle cadute a terra delle pesanti casse di legno che costituiscono invece l’elemento scenico principale di Sutra del coreografo belga-marocchino Sidi Larbi Cherkaoui, spettacolo che ha girato il mondo insieme ai suoi interpreti d’eccezione: i Monaci Shaolin. In un continuo e veloce gioco scenico le casse si trasformano in contenitori, trampolini, letti, muri sui quali i monaci danno sfoggio del loro virtuosismo atletico e spirituale, in un ironico dialogo/duello di culture che vede l’Occidente ironicamente sconfitto già dai primi colpi.
Per restare a Oriente, sulle rotte della Nuova Via della Seta indagate anche quest’anno dal Festival, spiccano l’ipnotico ma un po’ ripetitivo Sumeru della coreografa cinese Liu Qi e soprattutto lo scintillante North Korea Dance della coreografa sudcoreana Eun-Me Ahn, un’esplosione di folklore e colore - nel senso più letterale del termine - che riflette con gioviale ironia sulle paradossali barriere culturali che dividono le due Coree. Anche se espressi con leggerezza, il lavoro è percorso di messaggi politici, come nella scena in cui coppie di danzatori inizialmente contrapposti ai lati del palco superano una linea immaginaria per unirsi in un ballo a coppie che è un esplicito invito alla conoscenza reciproca.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche la giovane coppia di danzatrici Beatrix Simko e Jenna Jaloneen, che in Long time no see! intavolano un divertente dialogo tra somiglianze e differenze dei rispettivi stati d’origine, Ungheria e Finlandia, entrambi accomunati da un relativo isolamento nella variegata compagine europea.
Sulle tematiche della frontiera, dell’esilio e dei flussi migratori riflette anche il coreografo d’origine brasiliana Claudio Bernardo, in una rivisitazione attualizzata ma non del tutto riuscita delle Troiane di Euripide, mentre in Frozen songs la coreografa norvegese Ina Christel Johannessen lancia un angosciante appello d’impronta ecologista, mettendo in scena le sciagure ambientali che affliggono il pianeta e impegnando i suoi danzatori in una sorta di lotta per la sopravvivenza biologica.
Denso di messaggi sociali, in questo caso focalizzati sulla forza dei legami ancestrali e sulla difficoltà di districarsi dalle catene parentali, anche Madre, il nuovo lavoro del Balletto Civile diretto da Michela Lucenti, avvicinabile sul piano concettuale -anche se caratterizzato da una resa decisamente più astratta- a Birdie dell’ungherese Pál Frenák, in cui sei danzatori tentano la fuga da una gabbia in cui tornano spesso a rifugiarsi e che simbolizza allo stesso tempo una sorta di porto sicuro oltre che una barriera.
Inquietudine e astrazione formale, coniugate a un’impeccabile esecuzione tecnica connotano pure l’applauditissimo Dreamers della Fondazione Nazionale della Danza/Aterballetto, mentre, per citare anche la ricerca dei giovani autori italiani, risultano ancora un po’ acerbi e in cerca di una forma più definitiva le coreografie di Tommaso Monza & Claudia Rossi Valli e Davide Valrosso.
Ultima nota di merito, tra i numerosi spettacoli all’aperto che hanno vivacizzato le piazze roveretane, va agli intrepidi e ironici interpreti del Cirque La Compagnie e ai funamboli del Cirque Rouages, capaci di tenere col fiato sospeso adulti e bambini e, a proposito di coinvolgimento diretto degli spettatori più piccoli, un plauso va pure all’artista Ruggero Asnago, che al termine del laboratorio Ruggge. Animali mutanti in un clima che cambia, ha invaso il centro storico in una stravagante parata volta a sensibilizzare la città sugli effetti dei cambiamenti climatici. Insomma molta - forse a tratti anche troppa - carne al fuoco, per un Festival in continuo mutamento e in procinto di riorientare la propria bussola in vista della quarantesima edizione.