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QT n. 2, febbraio 2019 Trentagiorni

Albere, fallimento e rimedi

Il tradimento delle aspettative della città, che sull’area si attendeva un parco fluviale, ricreazione, cultura e ricerca, non un quartiere per ricchi… Ora bisognerebbe svendere ma sarebbe banale ed umile per i poteri forti abituati a spadroneggiare

Prendiamo spunto da un ampio servizio che il Corriere del Trentino ha dedicato al quartiere delle Albere e al suo fallimento: un invenduto del 50% (nonostante che nel 50% di vendite ci siano le sedi dei promotori Isa e Itas) valutato 209 milioni; che ha messo nei guai la società gestrice Castello sgr, oggi con oltre 160 milioni di debiti.

I professionisti intervistati offrono diverse letture di questo esito. Come mai è fallita un’iniziativa in un’area di assoluto pregio, portata avanti da realtà economiche dalle spalle larghe, progettata dal più celebre architetto italiano, fortemente favorita dal pubblico (Dellai, prima sindaco e poi Presidente della Provincia) che a questi privati aveva ceduto la propria prelazione sull’area, e poi realizzato a spese proprie una lunga serie di opere accessorie, e poi ancora vi ha installato il Muse e, violentando logica e convenienza, la biblioteca universitaria?

Le risposte sono varie e, a nostro avviso, riconducibili a un’unica radice: la hybris, come dicevano i Greci, la tracotanza che perde i potenti. I nostri poteri forti, ubriacati dall’incondizionato sostegno pubblico, hanno pensato di poter fare a meno dei conti con la realtà: così hanno tradito le aspettative della città, che sull’area si attendeva un parco fluviale, ricreazione, cultura e ricerca, non un quartiere per ricchi; non hanno calcolato che in città non ci sono 300 ricconi senza casa; hanno costruito con tipologie non rispondenti alle abitudini trentine; hanno svillaneggiato le agenzie immobiliari vendicatesi con una capillare azione di discredito; hanno rimediato facendosi iniettare soldi pubblici e alienandosi ancor più le simpatie dei cittadini. E così il bel quartiere per 300 ricchi resta invenduto.

Ai nostri potenti (sono rimasti Isa e Itas e nel frattempo Fondazione Caritro si è sfilata, come riferiamo in questo articolo); rimane sempre la prospettiva della vendita al pubblico. Il governo provinciale “del cambiamento” non si è dichiarato sfavorevole, già ci sono stati interventi che hanno iniziato a spingere in questa direzione. Obiettivo, far acquistare all’Università.

Sarebbe l’ennesimo pasticcio, come dicono alcuni professionisti sul Corriere, e l’ennesimo scandalo, aggiungiamo noi. “Gli studentati sono diventati il salvagente di qualsiasi iniziativa edilizia che non stia in piedi da sola” commenta con sarcasmo l’arch. Roberto Ferrari. E soprattutto ci sono problemi – si spera insormontabili – di conti: il pubblico realizza studentati a meno di 2.000 euro al mq., alle Albere i prezzi sono molto più del doppio. E’ il buon senso a dire che questo non sarebbe un errore, sarebbe un imbroglio.

Nello stesso numero del Corriere, l’editoriale di Luca Malossini afferma che “il capoluogo non può rimanere fermo a osservare un quartiere che avanza zoppicando”, bisogna “provare a rimettere in gioco il destino di un pezzo di città importante”. Tutto ciò senza “mettere in circolazione ulteriori risorse pubbliche”. La botte piena e la moglie ubriaca.

A chi come Malossini si prende a cuore il destino di quelle palazzine invendute, o meglio, di un pezzo di città deserto, rivolgiamo una modesta osservazione. I potenti che hanno fallito la speculazione facciano quello che fanno tutti gli imprenditori, dagli industriali al piccolo commerciante, quando sbagliano: svendano. Se il quartiere venisse messo sul mercato a 2.000 euro al metro, sarebbe in breve venduto e rivitalizzato. E Castello sgr limiterebbe le perdite.

Ma probabilmente è una soluzione troppo banale e umile per i poteri abituati a spadroneggiare.