Antonio, l’europeo
Antonio Megalizzi: il suo impegno e il suo insegnamento
Antonio, l’europeo. Così verrà ricordato Antonio Megalizzi, il giovane giornalista trentino rimasto vittima del tragico attentato di Strasburgo. L’aggettivo “europeo”, in questi giorni di profonda commozione, è stato elevato a quanto di meglio possa esserci in un giovane di neppure trent’anni, pieno di ideali, impegnato a rincorrere l’utopia di un mondo migliore, che lui individuava nel progetto di integrazione.
Antonio, l’europeo: un esempio per i coetanei e per le generazioni che verranno. Com’è giusto che sia. Tanto si è detto e tanto si è scritto per onorare la memoria di Antonio. Delle tante belle parole che sono state spese, vorrei riprendere quelle scritte da Silvia Costa, deputata europea, sulla sua pagina Facebook: “Parlando con i giovani di Europhonica ho capito che la morte del loro amato Antonio, ‘il Mega’, sarà un seme che darà vita ad un impegno ancora maggiore di tutti loro e di tanti altri giovani, quella generazione Erasmus che crede nell’Europa e nella cittadinanza europea come una grande speranza e opportunità per la loro vita”. Quanto vorrei che questa speranza diventasse realtà, quanto vorrei che l’entusiasmo rispetto ai valori in cui Antonio credeva andasse oltre il momento del cordoglio!
Io in Europa, a Strasburgo, ci vivo ormai da tre anni. Tocco con mano l’ideale di Antonio. So quanto potersi muovere liberamente attraverso il continente e vivere in un altro paese sia un’enorme opportunità, non solo professionale, ma anche umana. L’opportunità di guardare il mondo da un’altra prospettiva, di mettersi in gioco, di conoscere persone nuove e, quando si è fortunati, anche di incontrare l’amore della propria vita.
Per la nostra generazione l’Europa non è solo una scelta, ma una necessità. Secondo diversi studi, nel 2025, tra sei anni, probabilmente nessuno dei singoli Paesi europei del G7, farà ancora parte del prestigioso club. Le sfide che ci attendono, dalla lotta al cambiamento climatico alla minaccia della sicurezza, dal come gestire le migrazioni al bisogno di rispondere alle domande di giustizia sociale (e fiscale) possono trovare soluzione solo all’interno della cornice europea. L’Italia da sola non ce la fa.
Questa però è solo una parte della storia e negarlo non sarebbe onesto. L’UE attuale non è solo parte della soluzione. È anche parte del problema. La costruzione dell’euro è stata un pasticcio, lo sostengono quasi tutti gli economisti. La libertà di circolazione delle imprese ha prodotto delocalizzazioni selvagge che hanno distrutto il tessuto economico e sociale in ampie aree dell’Europa occidentale. La libertà di circolazione dei capitali ha promosso una concorrenza sleale in materia fiscale da parte di paesi come Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Malta o Cipro, paradisi fiscali per i furbetti. La mancanza di solidarietà degli stati membri è corresponsabile dell’emergenza migratoria nei paesi di primo approdo.
Dire che l’Europa è tutto rose e fiori non rende certo servizio alla causa europeista. Il problema è che la costruzione europea così come concepita è contorta e, soprattutto, non democratica. L’ascesa dei movimenti sovranisti deriva proprio da questo, dal desiderio dei cittadini di riappropriarsi del proprio destino. Una richiesta comprensibile alla quale non ci si può limitare a rispondere dicendo che non c’è alternativa.
Perché l’alternativa a questo deficit democratico c’è. E non è la disintegrazione dell’Unione, ma, al contrario, una maggiore integrazione. Un esempio: non si può risolvere il problema dell’ingiustizia fiscale ridando potere agli stati in materia di movimento di capitali e bloccandone la libera circolazione. Nel caso italiano, non produrrebbe effetti positivi. Ormai il pollaio è stato aperto e le galline più grasse sono volate via. A farsi spiumare resterebbe solo un ceto medio già provato. La risposta è ridurre il potere degli stati. Il parlamento europeo, unica istituzione europea democraticamente eletta, ha approvato varie proposte a favore del principio per cui le tasse si pagano là dove si produce. Ma gli stati membri si sono messi di traverso. La tendenza a cercare l’unanimità tra i 28 si traduce infatti in veti incrociati.
La democrazia in Europa si recupera rinforzando il ruolo del parlamento europeo. Certo, è difficile credere a queste proposte quando esse vengono dai gruppi politici che hanno espresso i leader europei degli ultimi decenni.
Chi ama l’Europa e ciò che rappresenta, una società aperta e plurale, isola felice in mezzo a un oceano di dittature, fatica a trovare un’offerta politica consona alle proprie aspettative. La scelta è tra i partiti che sostengono la causa europeista, di solito al governo da molti anni e quindi in parte corresponsabili della situazione attuale, e i sovranisti, che sognano un ritorno agli stati nazionali.
C’è uno scollamento sempre più profondo tra la generazione Erasmus, di cui Antonio è stato elevato a interprete e simbolo, e chi oggi governa l’Unione. Uno scollamento che rischia di tradursi in disimpegno.
L’alternativa è il superamento dell’attuale classe dirigente e delle sue logiche, ormai incapaci di interpretare la modernità. Non so quanto la generazione Erasmus, di cui peraltro faccio parte, possa contribuire a questo superamento. Però penso che questo sia il nostro compito; e anche la maniera migliore per evitare che il ricordo di Antonio Megalizzi si riduca a un’emozione partecipata, ma momentanea.