Omologare il Lagorai?
Il fascino di questo luogo deriva dal tragico passato, teatro di battaglie sanguinose, e dal suo odierno abbandono di boscaioli e malgari
Il caso Translagorai dimostra come l’asfittica contrapposizione tra conservazione e valorizzazione non consenta alcun utile dibattito. Si dice, ed è in gran parte vero, che non esistono luoghi incontaminati, che ogni angolo del Trentino (e forse del pianeta) è in qualche misura antropizzato. Il Lagorai non fa eccezione.
Concesso: e allora? Forse da questo deriva che ogni ulteriore trasformazione sia utile e opportuna? Si stenta a comprendere che quanti (inclusa Italia Nostra) si oppongono alla trasformazione di malghe e bivacchi in rifugi e ristoranti non si battono solo per conservare la parte incontaminata di una catena montuosa. Difendono il carattere aspro e inospitale di un luogo dove ogni sasso è silenzioso testimone di vicende umane che ancora echeggiano tragicamente. Qui si è combattuta più di una battaglia: dalla lotta per la sopravvivenza alla guerra di trincea. Il Lagorai non è un Eden idilliaco ma un’immensa pietraia solcata da strade militari costruite da prigionieri ridotti in schiavitù, sotto la quale il vasto mantello della foresta ha nascosto per secoli il duro lavoro di boscaioli e malgari. Tutto questo ha lasciato segni nel territorio e nel paesaggio. E quei segni, con le rispettive memorie, costituiscono oggi il carattere antropico (quindi culturale) di un luogo il cui fascino (quindi anche l’attrattività turistica) deriva proprio dalla monumentalità del suo tragico passato e del suo odierno abbandono.
Il Lagorai è un monumento, forse il più autentico e commovente, all’inumana asprezza della montagna. Quanto va protetto è proprio questo: il suo silenzio e la sua solitudine. Ciò non vuol dire che non possa essere frequentato, né che si debba necessariamente limitare la sua frequentazione. Si tratta però di stabilire come: trasformare le sue malghe abbandonate in ristoranti in quota sarebbe come trasformare un’oasi del deserto in un motel: una dimostrazione di miope autolesionismo, insensibilità culturale unita a dabbenaggine economica. Perché così facendo, per una ventina di posti letto che non saranno mai remunerativi si rovina irreversibilmente un tessuto paesaggistico prezioso e irripetibile. Si sperpera un potenziale patrimonio. Senza contare il rischio, se non la certa previsione, di nuove strade dal fondovalle per far quadrare i conti.
Per valorizzare il Lagorai basta conservarlo com’è, inaccessibile ai mezzi meccanici; realizzare i bivacchi indispensabili, magari recuperando le malghe abbandonate; fare della Translagorai un itinerario unico, complementare (quindi opposto) all’offerta banalmente standardizzata di autostrade pedonali e confortevoli rifugi. Se a questo fossero finalizzati i contributi provinciali, sarebbero soldi ben investiti. Se invece, come pare, s’intende spendere risorse pubbliche per omologare il Lagorai a tutto il resto, c’è solo da sperare che gli amanti della montagna e gli uomini di cultura riescano a far sentire chiara e forte la loro voce ai nuovi amministratori.
Beppo Toffolon Presidente della Sezione trentina d’Italia Nostra