Acciaieria di Borgo: ancora inquinamento?
L’allarme delle associazioni e l’atteggiamento della Provincia
Lo scorso marzo Antonio Mittempergher, presidente dell’associazione ValsuganAttiva, scriveva agli organi di stampa per “denunciare l’inefficacia dei controlli pubblici sull’impatto ambientale” dell’acciaieria di Borgo Valsugana.
La società BVS, la controllata da Acciaierie Venete che gestisce l’impianto, non avrebbe segnalato emissioni non filtrate, documentate invece dai filmati ripresi dall’associazione; il tutto all’oscuro di APPA e SAVA, che si affiderebbero per le loro valutazioni al sistema di videosorveglianza gestito dalla stessa azienda.
Da quasi dieci anni ValsuganAttiva si occupa di questioni ambientali legate alla valle. L’acciaieria, con le sue emissioni, è una di queste. Nel 2012 è stata affiancata proprio nella battaglia contro l’acciaieria dal Comitato 26 gennaio, di cui fa parte Laura Zanetti. “Quando a suo tempo il professor Valdagni portò a Borgo il primo centro termomammografico in Italia, il tumore alla mammella in Valsugana praticamente non esisteva; ora c’è una forte incidenza anche in donne al di sotto dei quarant’anni” - sostiene Zanetti, e l’acciaieria potrebbe essere una concausa. “Studi condotti in altri territori sembrerebbero confermare ciò”, e non solo per quanto riguarda il tumore alla mammella, ma anche – ad esempio – quello al pancreas, la cui incidenza in valle è in aumento anche in soggetti molto giovani.
Per questa ragione il Comitato 26 gennaio ha deciso di monitorare cinque casi di linfoma, che pare essere molto frequente (più del normale) in Valsugana. I risultati, sostiene Zanetti, rilevano la presenza di particolato ferroso nel midollo.
Da dove viene il particolato metallico e le sue conseguenze
Ora, che il particolato provenga dalle emissioni andrebbe dimostrato, sebbene i materiali trattati dall’acciaieria (metalli a base ferro) e la localizzazione del problema (i dintorni dell’impianto) lo lascino ipotizzare.
Ad ogni modo, partendo dal presupposto che il particolato metallico sia pesante e relativamente poco volatile, sarebbe più probabile assumere che questo possa andare a contaminare il terreno e le colture, più che l’aria; e magari non tanto attraverso le emissioni gassose, quanto piuttosto eventuali sversamenti (di cui però non c’è testimonianza). Certo, qualunque sia la sua provenienza, la presenza del particolato potrebbe essere in tutti i casi collegata all’incidenza delle neoplasie.
Il dottor Roberto Cappelletti, ortopedico e presidente di Isde (l’associazione internazionale medici per l’ambiente) del Trentino, nonché membro del collegio scientifico del Comitato 26 gennaio, ha pubblicato alcuni articoli scientifici sull’argomento. “Il particolato sotto certe dimensioni passa attraverso le membrane, ad esempio dei polmoni o dell’apparato digerente, e arriva al sistema linfatico: da lì potenzialmente al fegato e al cervello. I tessuti tumorali, spugnosi, sono in grado di raccogliere le particelle; non sappiamo con certezza se poi queste siano causa della neoplasia o siano semplicemente arrivate lì dopo che il tumore è già formato”. A questo proposito però Cappelletti cita uno studio di Stefano Montanari sulla leucemia mieloide acuta (che non ha micro-vascolarizzazione), nel quale si dà evidenza della presenza di particolato in quantità significativa.
Qui si apre il capitolo “politico” della vicenda. Stefano Montanari, farmacista, e la moglie Antonietta Gatti, fisica, sono due ricercatori autonomi che operano per mezzo di un microscopio a scansione elettronica (strumento utile in molti settori, ma probabilmente non sufficiente – da solo – a condurre analisi di questo tipo). Il capitolo è “politico” perché si dice che il microscopio sia stato acquistato con l’aiuto di Beppe Grillo; e i nomi di Gatti e Montanari sono legati al movimento no-vax intorno al quale, di questi tempi, non manca la polemica politica.
Il problema va comunque ben al di là dell’eventuale oltranzismo militante delle parti coinvolte; e non è interesse di chi scrive affrontare ora l’argomento. Piuttosto, tornando sui dati a disposizione, ciò che si può dire senza grandi dubbi è che i cinque casi presi in esame dal Comitato 26 gennaio rappresentano uno studio troppo ristretto per potersi lasciar andare a considerazioni di carattere generale su cause ed effetti.
Un approccio industriale inadeguato?
Ciò non toglie che l’impianto di Borgo Valsugana non si possa definire esattamente all’avanguardia, dal punto di vista tecnologico e dell’attenzione agli aspetti ecologici.
La perizia del 2011 richiesta dal GUP (giudice per le udienze preliminari) all’ingegner Angelo Borroni è abbastanza chiara. Si tratta di una perizia piuttosto equilibrata che non parla di particolare obsolescenza, ma che pone comunque l’attenzione su alcuni aspetti critici.
In sintesi, la perizia rilevava che “in circostanze specifiche si determinano eventi incidentali durante il versamento e raffreddamento scoria che andrebbero assolutamente esclusi dall’attività, comunque minimizzati, principalmente per motivi di sicurezza del personale addetto e anche per porzioni del territorio esterno prossime al confine”.
Anche sui propositi all’epoca fissati dalla dirigenza dell’impianto la perizia non era particolarmente tenera: “L’obiettivo di conseguire prestazioni ambientali che garantiscono la captazione e l’abbattimento pari almeno al 98% delle polveri complessivamente prodotte dal forno durante l’intero ciclo di lavorazione costituisce una frontiera di retroguardia, cioè una prestazione ambientale ampiamente superata da decenni in questo insediamento produttivo e in altri simili, e quindi non significativa come riferimento di quanto effettivamente implementabile allo stato attuale”.
Suona infine sinistra una frase che fa riferimento alla gestione del fenomeno delle esplosioni dovute al versamento della scoria: “Sembrerebbe che chi in azienda ha ruolo di conduzione, controllo e prevenzione non sia consapevole e faccia fatica a riconoscere le condizioni preliminari di rischio; con questo approccio difficilmente queste condizioni diventano elementi costruttivi nell’ambito degli strumenti gestionali e operativi”.
Anche la relazione tecnica sull’incidenza ambientale dell’acciaieria di Borgo commissionata ai professori Marco Tubino e Marco Ragazzi dell’Università di Trento nel 2012, sebbene per certi versi più morbida rispetto al documento di Borroni, in particolare rispetto agli effetti benefici legati all’introduzione delle migliorie tecniche (BAT) del 2009, non escludeva almeno prima della metà degli anni novanta “un ruolo significativo dell’acciaieria nella presenza di metalli nei suoli sopra i limiti di riferimento”.
Il dossier della Provincia: l’inquinamento c’è?
C’è anche un dossier di approfondimento sull’incidenza ambientale dell’acciaieria di Borgo Valsugana predisposto nel 2013 dalla Provincia di Trento, che comprende anche lo studio dell’Università appena citato.
La valutazione complessiva dei dati e delle informazioni ambientali e sanitarie raccolte ha escluso livelli di contaminazione ambientale superiore ai limiti o a quanto imposto dalle norme, così come situazioni di rischio sanitario per la popolazione. Le misure effettuate sembrano indicare che l’incidenza dell’impianto sia compatibile con l’utilizzo del suolo nella zona.
Lo studio multianalitico, tuttavia, non esclude (e anzi ammette) la presenza di inquinanti, pur in quantità che rientrano nei limiti di legge; e la relazione di Cisma s.r.l. in esso contenuta riporta, in riferimento ai risultati della modellazione di qualità dell’aria eseguita e al confronto con i dati misurati, come ci sia un impatto mediamente contenuto relativo alle polveri sottili, che diventa “rilevante” nella zona immediatamente adiacente all’azienda.
Le ragioni contrapposte
Dati alla mano, non è dunque semplice capire quale sia l’atteggiamento più giustificato: se l’allarmata apprensione delle associazioni o la rassicurante serenità dell’ente pubblico.
Se da un lato i cittadini, animati da una legittima preoccupazione, hanno forse preteso di raggiungere un livello di approfondimento scientifico dimostratosi difficile da gestire, dall’altra la Provincia ha l’onere di non liquidare con sufficienza questo turbamento e anzi di procedere a effettuare tutti gli approfondimenti necessari, pretendendo dall’azienda (qualora venisse a mancare) un’inequivocabile assunzione di responsabilità.
D’altronde l’industria pulita è ancora lontana dall’essere una realtà consolidata, specialmente in settori che scontano limiti di innovazione e di sostenibilità economica. Se si può ipotizzare di scendere a determinati compromessi in nome dell’occupazione, ciò non significa che vada accettato qualunque compromesso, specialmente quando in ballo c’è la salute dei cittadini. Né significa che vada abbassata la guardia: sia rispetto all’operato del controllato che a quello del controllare.