“Educare all’odio. L’antisemitismo nazista in tre libri per ragazzi”.
Una pedagogia ripugnante. A cura di Ivano Palmieri. Sommacampagna, Cierre, 2018, pp. 190, euro 19.50.
I regimi autoritari, di qualunque orientamento, puntano ad una rottura col passato, alla creazione di un uomo “nuovo”, e in questo programma è fondamentale l’educazione delle giovani generazioni: da qui una particolare attenzione alla scuola, ma anche l’istituzione di organizzazioni giovanili gestite direttamente, senza la mediazione di un personale docente che potrebbe seguire le direttive senza la necessaria convinzione e diligenza: il Komsomol in URSS, i Balilla e la Gioventù Italiana del Littorio in Italia, la Hitlerjugend in Germania. Lo Stato interviene quindi pesantemente nel settore dell’editoria scolastica, e a questa produzione si accompagnano poi le opere dell’editoria privata, naturalmente sottoposte ad un rigoroso controllo ideologico.
A quest’ultima categoria appartengono i tre libri per ragazzi riprodotti in questo volume, pubblicati fra il 1936 e il 1940 dalla casa editrice di Julius Streicher (gauleiter della Franconia, condannato a morte e giustiziato nel 1946 a Norimberga), già nota per il settimanale illustrato Der Stürmer (L’assaltatore), che a partire dal 1923 condusse una violentissima campagna antisemita.
“Educare all’odio” è un libro bello e tremendo. Bello: di grande formato, splendidamente illustrato, è introdotto da un corposo saggio sullo sviluppo dell’antisemitismo in Germania, soprattutto in ambito educativo, e riporta integralmente – testi e illustrazioni – tre libri per ragazzi: “Non fidarti di una volpe in una verde radura. Non fidarti nemmeno di un ebreo quando giura” dedicato ai più piccoli; “Il fungo velenoso”, per i ragazzi delle scuole medie; e, per i più grandi, “Il bastardo” (traduciamo così il titolo originale “Pudelmopsdackelpinscher”, una creazione linguistica che sarebbe lungo spiegare).
Ma perché abbiamo parlato di un libro sconvolgente quando ormai sappiamo tutto degli orrori del nazismo? Perché un così virulento antisemitismo, instillato attraverso piccole storie esposte in termini pacati, a volte umoristici, con una creatività assolutamente congeniale a dei piccoli lettori, suscita un orrore particolare, col suo ingegnoso abbinamento fra rassicurante, allettante quotidianità e mostruosità velenose.
Il primo passo dell’indottrinamento consiste nel riconoscimento fisico del nemico, i cui tratti somatici, sgradevoli quando non ripugnanti, vengono interpretati come evidenti sintomi di malvagità e perversione: “Il naso degli ebrei è ricurvo verso il basso, ricorda il numero 6. (…)...labbra generalmente turgide; spesso il labbro inferiore pende in fuori, prendendo una forma che si dice a ciabatta. (…)... sopracciglia più spesse e carnose delle nostre. Lo sguardo è pungente, come di chi stia in agguato. Dagli occhi si può capire come l’ebreo sia falso e subdolo. (…) Gli ebrei... hanno le gambe corte. Anche le braccia in genere sono corte. Molti ebrei le gambe le hanno storte, e i piedi piatti. Spesso hanno fronte bassa e obliqua, la stessa che hanno molti criminali... I loro capelli sono per lo più scuri e crespi, come quelli dei negri; le orecchie sono molto grandi e ricordano il manico di una tazza da caffè. (…) L’ebreo oscilla con la testa avanti e indietro. La sua andatura è trascinata e insicura. (…) La voce ogni tanto gli va nel falsetto e sembra parlare attraverso il naso. Ha poi spesso un odore dolciastro e ripugnante”.
Questa è una classica “lezione frontale”, riservata ai più grandicelli, mentre ai piccoli la repulsione nei confronti degli ebrei viene inculcata soprattutto tramite colorati, eloquenti disegni, accompagnati da filastrocche esplicative: “Ora nella scuola diventerà tutto più bello,/ perché gli ebrei, grandi e piccoli, /se ne devono andare, /e poco gli servirà piagnucolare e lamentarsi/ e poco anche la rabbia e il furore. /Via la genìa ebraica!”.
“Il fungo velenoso” si propone, in brevi racconti, di dimostrare come effettivamente il laido aspetto degli ebrei abbia un risvolto morale. Dovunque essi operino, all’interno della società, la loro azione è nefasta: strapazzano le domestiche ariane, fanno soffrire gli animali, fingono di convertirsi al cristianesimo, i commercianti e gli avvocati imbrogliano, i medici stuprano... La conclusione – è il titolo dell’ultimo racconto: “Se non si risolve la questione ebraica non ci può essere salvezza per l’umanità”.
Una volta declassati gli ebrei a razza umana inferiore, sembrerebbe che non si possa andare oltre. Ma no: nell’opera dedicata ai giovani delle scuole superiori, una perversa creatività va oltre, assimilandoli, in undici apologhi, ad altrettanti animali nocivi, che con gli ebrei presenterebbero insospettabili affinità: la iena, il serpente, la cimice, la locusta, il verme solitario...
Una volta ridotto il nemico alla dimensione animale, il passo successivo non può essere che la legittimità, anzi, il dovere di sterminarlo, ed è questo l’obiettivo proposto ai giovani col quale si conclude il libro, ossia l’invito a “terminare il lavoro iniziato dal Führer”: quello di “distruggere definitivamente la minaccia ebraica”.