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Yemen, una guerra criminale

Una tragedia dimenticata in cui anche l’Italia ha gravi responsabilità. Da “L’Altrapagina”, mensile di Città di Castello.

Antonio Rolle
Bombe a grappolo

“È come fossimo davanti alle porte dell’inferno” - dichiara Stephen O’ Brian, responsabile delle operazioni umanitarie del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Una potente coalizione sunnita con Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, oltre a Egitto, Marocco e Oman, hanno scatenato da più di due anni una guerra ai milioni di yemeniti Huthi di religione zaidita, una branca della galassia sciita dell’Islam. Col vezzo di nominare con espressioni attraenti ogni operazione di guerra, i sauditi hanno chiamato la prima fase dell’attacco allo Yemen “Decisive Storm”, e in un secondo tempo, in modo più moderato e appetibile, “Restoring Hope”. Ma i risultati sono stati gli stessi: massacri e annientamento di massa.

Alfredo Scognamiglio, responsabile del Movimento dei Focolari, ci tiene a dire: “Non si tratta di una guerra fra buoni e cattivi, ma fra cattivi e pessimi, in cui la prima condizione da imporre deve essere la garanzia sull’invio e l’arrivo a buon fine degli aiuti umanitari. Perché le istituzioni non rispondono? Perché gli appelli di Papa Francesco sono inascoltati?”.

Intanto 200 tonnellate di alimenti sono completamente bloccati fra Gibuti e lo Yemen.

Senza mai nominare l’Arabia Saudita, Ismail Ould Cheik Ahmed, inviato speciale delle Nazioni Unite, ha così sintetizzato la situazione attuale: “La morte, venendo dal cielo, da terra e dal mare, aleggia sugli yemeniti”. Nel paese, su 27 milioni di abitanti, i due terzi sono in una condizione di malnutrizione avanzata, 7 milioni sono minacciati dalla carestia e 16 milioni non hanno accesso all’acqua potabile, con conseguente epidemia di colera. Il capo delle operazioni umanitarie dell’ONU, Mark Lowcock, ha avvertito: “Siamo di fronte alla peggior carestia degli ultimi decenni, con milioni di morti se l’Arabia Saudita non toglierà l’embargo totale verso lo Yemen dai principali accessi via terra, dal cielo e dal mare, oggi completamenti bloccati. La tragedia in Somalia, con 250.000 morti, rischia di diventare poca cosa, in confronto”.

Mercanti di morte

L’hanno chiamata l’area geografica Mena (Middle East and North Africa). Negli ultimi 5 anni, i più grandi importatori di armi in quest’area sono l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti; rispettivamente con l’8% e il 12% dell’intero export. E qui l’Italia fa la parte del leone: da 2 miliardi di materiali (armamenti) esportati nel 2014, è passata nel 2015 a 8,4 miliardi e a 15 miliardi nel 2016. In pratica, l’area Mena importa dal Belpaese quasi il 60% delle sue forniture offensive.

Faceva una certa impressione vedere il presidente americano Trump che durante la sua visita in Arabia Saudita ballava impugnando una spada, in compagnia di alcuni rappresentanti della dinastia regnante. La spada ha una sua forte simbologia guerresca nel mondo islamico. Sembrava una danza macabra e che si volesse celebrare il trionfo della morte: poco prima, Trump aveva fatto con i sauditi affari per miliardi in armamenti.

E che tristezza osservare i benevoli sorrisi del nostro primo ministro Gentiloni, in visita ufficiale a Riad, mentre salutava il principe ereditario saudita Mohamed Ben Salam, naturalmente dopo aver firmato anche lui alcuni contratti miliardari! O ancora, sentire il presidente francese Emmanuel Macron affermare che gli Emirati Arabi Uniti sono “un partner essenziale con il quale condividiamo la stessa visione e interessi comuni nella regione”.

Gli Emirati Arabi Uniti sono diventati negli ultimi anni il quarto importatore al mondo di materiale bellico. Non è un caso che Abhu Dhabi, la capitale degli Emirati, venga soprannominata “la Sparta del Golfo”.

È un conflitto sporchissimo in atto da più di due anni, di cui non si parla (a parte, esasperato, Papa Francesco), e quindi si ignorano i crimini di guerra e gli attacchi indiscriminati contro obiettivi civili (centri abitati, scuole, moschee, ospedali...) anche con bombe italiane”.

È Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, che ci ricorda: “A togliere la vita ai bambini yemeniti – migliaia fino ad oggi – potrebbero essere state delle bombe italiane vendute dal nostro governo alla coalizione saudita nel conflitto yemenita”.

Una certezza, più che una possibilità: “Sono stati ritrovati i resti di ordigni italiani nelle zone bombardate” - precisa Francesco Vignardi di Rete Disarmo.

In questo modo l’Italia ignora la legge 185 del 1990 che proibisce l’esportazione di armamenti in Stati dove è in atto un conflitto con gravi violazioni dei diritti umani; e viola naturalmente l’articolo 18 della nostra Carta Costituzionale, secondo il quale l’Italia ripudia la guerra. Ma a quanto pare, le leggi del mercato debbono avere la prevalenza sulle nostre leggi nazionali.

Cosa sta succedendo

Gli Huthi, un gruppo armato prevalentemente sciita zaydita, diedero inizio nel 2004 ad una protesta violenta contro le discriminazioni che colpivano le loro comunità e la loro regione, il Nord del paese, particolarmente povera. Ma tre anni fa l’insurrezione è diventata una vera e propria guerra civile che presto ha portato gli Huthi a giungere fino alle porte di Aden, sede del governo del presidente Hadi, che a quel punto è fuggito in Arabia Saudita. Subito una coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita insieme con altri paesi arabi, è intervenuta militarmente, soprattutto con attacchi aerei, contro gli Huthi, ma coinvolgendo pesantemente le popolazioni civili, allo scopo di restaurare il deposto governo di Hadi, il quale a sua volta accusa gli Huthi di avere contatti e aiuti da potenze straniere, in particolare dall’Iran (a maggioranza sciita), nonché di voler instaurare nel paese la legge islamica.

È una guerra confusa, con frequenti rovesciamenti di fronte e alleanze fra gruppi politico-tribali che si formano per ribaltarsi subito dopo. Ad esempio, è del 30 gennaio scorso la notizia che un gruppo separatista dello Yemen del sud, fin qui alleato del presidente Hadi nella lotta contro gli Huthi, avrebbero conquistato Aden strappandolo al controllo delle forze alleate. Il loro obiettivo sarebbe quello di ricostituire lo stato indipendente dello Yemen del Sud, esistente fino al 1990. In questo continuo cambiamento di scena, un solo elemento non cambia: la tragedia dei civili.