Legge elettorale: tutto cominciò così
La prima legge elettorale della Repubblica fu l’ultima del Regno, promulgata nel marzo 1946 dal Luogotenente Umberto II di Savoia, su proposta del governo Degasperi formato dai partiti del CLN. Con quella legge il 2 giugno 1946 fu eletta l’Assemblea costituente, a suffragio universale con voto diretto, libero e segreto, attribuito a liste di candidati concorrenti secondo il metodo della rappresentanza proporzionale. Per la prima volta in Italia furono chiamati al voto tutte le donne e gli uomini maggiorenni, con facoltà di esprimere preferenze. L’Assemblea così eletta si occupò del sistema elettorale sia nella seconda sottocommissione, detta “dei 75”, sia in adunanza plenaria. Tre punti, tra quelli ancora attuali, emergono da quelle discussioni. Fu anzitutto stabilito per entrambe le camere di non introdurre nella Costituzione un determinato sistema elettorale. Sostennero questa scelta azionisti come Calamandrei, il liberale Einaudi, diversi democristiani, repubblicani, autonomisti, socialisti, deputati dell’Uomo Qualunque; prevalsero su altri democristiani come Costantino Mortati e sui comunisti. La ragione di fondo fu delineata da Emilio Lussu, azionista autonomista: una Costituzione non può contenere particolarità tecniche, ma solo principi generali, dato il suo carattere permanente. L’adozione di un sistema elettorale richiede invece un’apposita legge ordinaria, modificabile anche poco dopo la sua entrata in vigore.
Il secondo punto fu la decisione di tenere distinta l’elezione della Camera da quella del Senato, pena la sovrapposizione e la conseguente superfluità della camera alta. Per il Senato, non gradito ai fautori del monocameralismo, si prospettò il collegamento alle Regioni mediante elezione da parte dei loro consigli, oppure la derivazione dalle categorie sociali e produttive, come sostennero i democristiani, ovvero, almeno in prima composizione, la nomina da parte del Presidente della Repubblica. Togliatti, capo dei comunisti, preso malvolentieri atto che il Senato si sarebbe fatto, appoggiò il suffragio universale diretto a collegio uninominale, assieme a liberali, socialisti, demolaburisti, esponenti dell’Uomo Qualunque. Lussu per contro notò che il collegio uninominale era sempre stato fonte di corruzione, e con lui pure i socialisti di Nenni propugnarono l’elezione a suffragio universale e diretto con sistema proporzionale e per circoscrizioni regionali. Terzo conseguente, punto: i costituenti dibatterono l’alternativa tra sistemi proporzionali e maggioritari. Comunisti come Terracini, democristiani come Mortati e Piccioni, repubblicani e socialisti si schierarono per il proporzionale alla Camera; onde consentire la rappresentanza di tutte le forze politiche e porre inoltre un freno allo strapotere della maggioranza. Per Mortati era comunque necessario armonizzare le elezioni delle due Camere, e tener presente che il sistema elettorale adottato avrebbe influenzato la scelta del Capo dello Stato, se eletto dal Parlamento. Si spesero per il maggioritario sul fronte opposto i liberali con Luigi Einaudi, poi primo Presidente della Repubblica, il quale pose addirittura il dubbio che il proporzionale fosse contrario alla democrazia, incentrata sul principio della maggioranza. Pure Calamandrei segnalò che dal sistema elettorale dipende la stabilità del governo, e che il proporzionale, assicurando la rappresentanza anche ai partiti più piccoli, porta al governo non di maggioranza, ma di coalizione, senza garanzie di stabilità. Nella seconda sottocommissione fu alla fine approvato quest’ordine del giorno: “La seconda Sottocommissione ritiene che la Camera dei deputati debba essere eletta col sistema proporzionale.” In conclusione, nel testo della Costituzione si pervenne a identiche formulazioni: la Camera è eletta a suffragio universale e diretto (art. 56), e così i Senatori (art. 58). Il Senato, in aggiunta, è eletto a base regionale (art. 57), e non è una differenza da poco tuttora in vigore. Fino al 1993 gli italiani votarono per entrambe le camere col sistema proporzionale introdotto dalla legge del ‘46, mantenuto con marginali modificazioni per la Camera (legge n. 20 del 1048) e con consistenti adattamenti (legge n. 29 del 1948) per adeguare il Senato al precetto del riferimento regionale. Questo, nonostante qualche fallito tentativo di sostituirvi il maggioritario, in particolare con la cosiddetta “legge truffa”, voluta dal governo Degasperi, fieramente avversata dalle opposizioni, utilizzata senza frutto per le elezioni politiche del 3 giugno 1953 e in vigore tra il marzo di quell’anno e il luglio del 1954, quando fu sostituita. Il sistema maggioritario finì però per trionfare dopo che la caduta del muro di Berlino aveva cambiato il mondo. Il referendum abrogativo del 18 aprile 1993 abbatté il proporzionale al Senato, e il 4 agosto dello stesso anno furono introdotte con leggi n. 276 e 277 le nuove norme per l’elezione con un sistema maggioritario-misto sia del Senato che della Camera. Fu, maccheronicamente, il “mattarellum”, con quel che ne è seguito sino ad oggi.