Il vertice europeo e l’invasione islamica prossima ventura
60 anni dalla fondazione della Comunità Europea: una festa poco convincente, mentre i cosiddetti sovranisti, coi loro muri, avanzano ovunque.
Nel giorno del vertice europeo che celebra i 60 anni dalla fondazione della Comunità nel 1957, molte nubi si addensano sul cielo d’Europa. Il clima di festa era già stato guastato dal recente attentato di Londra, che ha ricordato a tutti che la guerra dell’ISIS (e all’ISIS) non è mai finita; e lo spettro della Brexit aleggiava sui rappresentanti dei 27 tra cui qualcuno, come il primo ministro polacco e quello greco, ha fino all’ultimo momento lasciato in forse la firma che rinnova il patto di fiducia tra i partner.
Ecco, la fiducia reciproca tra i partner europei sembra essere oggi il “bene” scarso e a tratti latitante. Gli esempi sono innumerevoli: dalle recenti improvvide dichiarazioni di un commissario olandese, che candidamente addebita ai paesi mediterranei la tendenza incomprimibile a scialacquare risorse in “donne e alcol”, ai primi ministri dei paesi balcanici che continuano a fare muro contro la richiesta della Commissione Europea di ripartire più equamente il flusso degli immigrati e dei profughi; dalla diffidenza del Nord Europa verso i PIGS (acronimo simpatico ma poco decoroso per i paesi super-indebitati: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna), alla granitica resistenza del ministro delle finanze tedesco verso riduzioni della austerity dei bilanci; dalla rancorosa attitudine di giornali e opinione pubblica dei paesi mediterranei, che vedono nella Germania il responsabile della attuale stagnazione dell’economia, alle storiche resistenze della Francia a promuovere forze armate europee unificate, che inevitabilmente comporterebbero anche un controllo europeo sul suo arsenale nucleare, la “force de frappe” faticosamente costruita e gelosamente sottratta a qualsiasi ingerenza esterna.
La festa comunque c’è stata, con tanto di cerimonie e inni, risate e battimani; una festa però che rischia di essere ricordata dai posteri come l’ultimo momento di (più sbandierata che reale) unità europea. Una festa in cui tutti gli oratori ufficiali non a caso si sono spesi in pomposi discorsi sulla necessità di “marciare uniti” proprio perché, in fondo, si è consapevoli che la convinzione di poterlo fare ancora a lungo sta vistosamente calando a tutti i livelli, da quelli politici a quello del popolino, sfiancato da anni di crisi, il ventre molle dei paesi europei.
Un cancro ormai divora l’Europa, e pervade il discorso politico, quello dell’ideologia che, in mancanza di meglio (o per evitare imbarazzanti confronti col passato), si è voluto etichettare come “sovranista”, supportata inizialmente dai partiti populisti di Le Pen (padre e figlia) e Bossi-Salvini, che ormai hanno emuli se possibile ancora più aggressivi nei partiti e movimenti fratelli sorti in ogni stato europeo.
L’aspetto più preoccupante è che il discorso sovranista, lentamente ma inesorabilmente, sta filtrando anche nella propaganda politica di partiti tradizionalmente moderati, preoccupati dalle elezioni future, che non esitano a riprendere alcune argomentazioni di Le Pen e Salvini per timore di rimanere troppo scoperti sul versante molle del loro elettorato, quello che potrebbe facilmente migrare altrove. In questo processo si inserisce il nuovo, insidioso discorso sovranista alla Trump, che, in virtù del ruolo-guida esercitato dagli USA in Occidente, rischia di diventare nei prossimi anni un discorso egemone anche nel panorama della destra moderata europea.
La versione Trump riveste il sovranismo di una nobile e rispettabile facciata ideale: dobbiamo difendere i valori di libertà e democrazia che sono l’essenza dell’Occidente dalla nuova barbarie di marca islamista, e perciò ci è lecito chiudere le frontiere, anzi, se possibile – era il programma iniziale di Trump – dobbiamo fare un bel repulisti rispedendo a casa loro qualche milione di immigrati indesiderabili.
Non si può a questo punto non ricordare che questo programma, che forse a Trump sarà impedito di realizzare fino in fondo ma che (ed è qui il fatto grave che segna una cesura con il “prima”) è entrato come una possibilità concreta nel suo discorso politico – ha dei precisi precedenti storici: dalla cacciata di ebrei e musulmani dalla Spagna dopo la Reconquista del 1492, ai periodici sanguinosi pogrom della Russia zarista; dalla deportazione e dal massacro degli Armeni nell’ultima Turchia Ottomana, al programma hitleriano di annientamento della “feccia ebraica”; dalle pulizie etniche a danno dei Tutsi in Africa Centrale, a quelle ben note a danno dei musulmani dei Balcani negli anni ‘80-’90. Il muro che Trump vorrebbe costruire alla frontiera con il Messico ha un degno precedente nel muro che Israele ha fatto costruire in Palestina, o nelle barriere spinate allestite in fretta e furia dai vari Orbàn ed emuli suoi negli ultimissimi anni.
Questa deriva generale verso il sovranismo, questo sommovimento “ideale” che a qualcuno non a torto ricorda il clima degli anni ‘30, che tanto favorì l’avvento dei grandi totalitarismi, ha le radici più recenti in fatti eclatanti come gli attacchi alle Torri Gemelle e gli atti di terrorismo che negli ultimi decenni hanno sparso diffidenza e timori a piene mani nei confronti dell’altro; ma hanno anche dei padri spirituali, o meglio sarebbe dire due madri: l’ebreo-egiziana Bat Ye’or, autrice del bestseller “Eurabia. Come l’Europa è diventata anticristiana, antioccidentale, antiamericana, antisemita”, uscito negli Stati Uniti nel 2005 (e in traduzione italiana nel 2007), e l’italiana (o italo-americana se si preferisce) Oriana Fallaci, autrice di un libro che sputava odio e rancore da ogni pagina nei confronti del “diverso”, dell’islamico, spacciato da molti per un capolavoro. Questi due libri cui sono seguiti a valanga testi e pamphlet di altri noti e meno noti autori, hanno fornito legittimazione ideale e persino intellettuale al sovranismo oggi dilagante in Europa e in America. E hanno fornito, aspetto non meno insidioso, un quadro pseudo-scientifico in cui sono stati grossolanamente analizzati i fenomeni dell’immigrazione e del “pericolo” del meticciato culturale, visto come anticipatore di una Europa conquistata dall’Islam. Se non addirittura di un suicidio dell’Europa o persino di un genocidio europeo, che sarebbe favorito dalla inarrestabile invasione islamica.
Le argomentazioni – cioè le bufale – dei sovranisti
Vediamo alcuni di questi punti in dettaglio, a partire dal mito dell’invasione islamica dell’Europa. Mark Steyn, coniatore dell’espressione “genocidio europeo”, stimava che nel 2020 la popolazione musulmana di “Eurabia” potesse arrivare al 40%! Sappiamo che attualmente, primavera 2017 a tre anni dal fatidico 2020, per l’Europa questi dati sono mediamente intorno al 4 o 5%, insomma una bella truffa mediatica e nella migliore delle ipotesi un clamoroso (e non certo innocente) abbaglio statistico. In Gran Bretagna grande clamore suscitò la pubblicazione di dati (The Independent, 4 gennaio 2011) che parlavano di un boom di conversioni all’Islam; ma ipotizzando un ritmo, già elevatissimo, di 5.000 nuovi convertiti all’Islam all’anno, si è calcolato che ci vorrebbero 6.000 (seimila) anni per avere una Gran Bretagna a maggioranza islamica!
Anche sul tasso di fertilità delle donne musulmane (altro cavallo di battaglia dell’islamofobia imperante) le bufale spopolano: nella gran parte dei paesi musulmani il tasso di fertilità è ormai vicino a quello della media europea (salvo l’Iran, dove è persino minore) e, tra le donne musulmane immigrate, il tasso in questione è dal 2.000 pari a quello relativo alle donne europee.
Ma la bufala più grossa rimane quella dell’invasione islamica dell’Europa. Qui siamo a uno spudorato rovesciamento dei fatti, come si evince dai pochi dati su accennati, relativi alla Gran Bretagna, ossia al paese che ha conosciuto negli ultimi decenni i tassi di immigrazione e di conversione più alti. Nel mondo sta avvenendo esattamente il contrario: è la cristianizzazione (perlopiù di marca evangelica e pentecostale) che avanza a ritmi impressionanti, soprattutto in Cina e in Africa, dove in alcuni paesi si registrano secondo fonti attendibili fino a 10.000 conversioni al giorno (Patrice de Plunkett, “Les Evangéliques à la conquête du monde”. Perrin, Parigi 2009).
Certe narrazioni su questa presunta invasione islamica ricordano da vicino analoghi discorsi che era dato leggere sulla stampa antisemita polacca e tedesca negli anni ‘30 e il conseguente clima di incipiente caccia al diverso, così bene ritratto in alcune pagine dei due grandi romanzieri ebreo-polacchi Isaac Bashevis Singer (“La famiglia Moskat”) e Israel Joshua Singer (“I fratelli Ashkenazi”).
In certa stampa si farnetica di futura conquista armata dell’Europa da parte di eserciti musulmani…
Ma anche qui siamo all’evidente rovesciamento della verità dei fatti. Basterebbe chiedersi: quanti eserciti musulmani occupano oggi terre cristiane, europee o americane? E quanti eserciti cristiani occupano invece terre musulmane? Con i pretesti più vari, dalla caccia al defunto Bin Laden, che giustificò l’invasione dell’Afghanistan, alla “missione” di propagare la democrazia che coprì la guerra in Irak e la cacciata di Saddam Hosseyn; dalla missione di pace in Libano (allorché negli anni ‘80 sotto il governo Spadolini, i primi fanti armati italiani sbarcarono oltremare dopo la seconda guerra mondiale), alle missioni di Peace Keeping (ironia delle parole) in Somalia o Yemen; dalle operazioni di bombardamento aereo e di kommandos in Libia promosse dalla Francia (cacciata di Gheddafi), alle sciagurate interferenze occidentali in Siria (sempre la Francia in prima fila), che hanno distrutto uno dei più bei paesi del Medio Oriente. Per non parlare delle basi aero-navali americane e inglesi permanenti, sparse negli stati del Golfo, e della flotta americana che presidia stabilmente le rotte del petrolio sull’Oceano Indiano.
E poi si continua a dire nella retorica dei sovranisti e islamofobi che gli invasori sarebbero i musulmani…