“La cucina”
Un lavoro corale
Il tempo dei casting e delle prove è finito: martedì 25 ottobre al Teatro Cuminetti di Trento è arrivata l’attesa ora del debutto per la nuova Compagnia Regionale. In scena, “La cucina” di Arnold Wesker per la regia di Marco Bernardi, prima tappa del progetto triennale di Teatro Stabile di Bolzano, Centro Servizi Culturali Santa Chiara e Coordinamento Teatrale Trentino teso a valorizzare e perfezionare le risorse artistiche presenti in regione.
Lo spettacolo, che dopo Trento toccherà Bolzano e le altre principali piazze regionali, è una commedia con ben 25 attori in scena, tutta basata sulla coralità e su un ritmo incalzante e serrato. Al centro della vicenda, una giornata di lavoro nella multietnica cucina di un grande ristorante del West End della Londra anni ‘50, nel quale la quantità di coperti e portate e la velocità del servizio sono più importanti della qualità del cibo. Lavoro e denaro sono tutto. Si parte al mattino presto con l’arrivo alla spicciolata di cuochi, sguatteri e cameriere, si passa per la frenesia infernale dell’ora di punta, transitando per il riposo del primo pomeriggio e chiudendo alle sette di sera con un colpo di scena sorprendente che crea un finale lasciato irrisolto e aperto. Wesker, drammaturgo inglese recentemente scomparso, scrive “La cucina” nel 1957, in un clima di critica al sistema sociale creatosi tra secondo dopoguerra e boom economico ben descritto anche da altri “giovani arrabbiati” come John Osborne (“Ricorda con rabbia” è del 1956) e Harold Pinter. Questo disagio nel testo affiora nell’insieme, attraverso tematiche sociali (il lavoro che rende matti, il razzismo, la pena di morte, ma soprattutto l’individualismo, l’amicizia e i sogni) tutt’al più appena accennate, come accade nella vita quotidiana.
In ossequio alla linea secondo cui i classici vanno traditi e i contemporanei rispettati, Marco Bernardi si attiene fedelmente al testo (tradotto da Alessandra Serra) e alla volontà dell’autore, seguendolo fin nelle pedanti e puntigliose avvertenze per la messa in scena e senza prendersi alcuna libertà. Il lavoro maggiore è stato riprodurre il ritmo e la coralità reclamate dalla drammaturgia. In una regia classica (come la scenografia naturalista e i costumi di Roberto Banci), precisa, puntuale e ordinata, il contributo più originale è il senso di claustrofobia della cucina teatro della vicenda. Per uno spettacolo corale senza un centro preponderante come questo, lo spazio non grandissimo del teatro Cuminetti è parso adatto.
La messa in scena funziona naturalmente anche e soprattutto per la dedizione e la disciplina degli attori, il cui affiatamento di gruppo non può che andare migliorando di replica in replica; poco importa che nella seconda (ovvero quella a cui si fa riferimento) l’energia non sempre fosse al top: un calo fisiologico da mettere in conto. È vero che a dominare è la coralità, ma alcuni interpreti spiccano: è il caso di Paolo Grossi, convincente nella parte di Peter, il personaggio principale, o di Giulio Federico Janni per la presenza scenica e la credibilità di un carattere pur più marginale come il macellaio Max. Positivo anche Andrea Castelli, che appare in alcuni camei nelle vesti del proprietario del ristorante.
Risultano un po’ sacrificate (ma già dal testo) solo le cameriere, il cui ingresso, specie al momento dei pasti, movimenta comunque la scena.
Nel complesso, un esordio promettente per la neonata Compagnia Regionale, che nei prossimi due anni lavorerà prima con Fausto Paravidino e poi con Serena Sinigaglia.