“Bankomat” fa tremare i potenti del Sudtirolo
Un libro che getta una luce inquietante sulle vicende economico-politiche legate alla Sparkasse di Bolzano. E lorsignori cercano di boicottarlo.
Chi scrive non è un’esperta di banche. Mi scuso fin dal principio per le incertezze di linguaggio. D’altro canto vale la pena di provare a raccontare qualcosa della storia della Cassa di Risparmio di Bolzano, dei suoi 165 anni nel 2016, storia antica e contemporaneità bruciante. L’ha fatto in tedesco (e per ora purtroppo sembra difficile che ci sia una traduzione) il giornalista e scrittore Christoph Franceschini, in un libro dal titolo “Bankomat. Le perdite milionarie della Cassa di Risparmio della Provincia di Bolzano”. Il libro va a ruba, nonostante un chiaro boicottaggio da parte dei mass-media (all’Athesia sotto i Portici lo tengono per terra dietro il banco), che qui sostengono sempre i potentati economico-politici di cui fanno parte. Come è stato possibile, si chiede l’autore, che un’impresa di tanto e lungo successo in poco tempo sia finita con un’enorme buco (231 milioni nel 2014, ma forse 334, e gli ispettori della Banca d’Italia parlano di 648 milioni di perdite previste) e che a pagare siano i piccoli azionisti?
Un’ ispezione (la terza in pochi anni) della Banca d’Italia durata da ottobre 2014 a marzo 2015 ha messo in luce verità finora ignorate. Già in passato le ispezioni avevano messo in evidenza il mancato rispetto dei profili di rischio dei clienti, violazioni di regole, consociativismo, privilegi ai conoscenti, conflitti d’interesse, e nulla si era mosso. Ma mentre finora si credeva che la maggiore responsabilità della crisi della banca fosse da addebitarsi alle politiche espansive troppo aggressive e alle speculazioni immobiliari in altri luoghi d’Italia, ora si scopre che la maggior parte dei crediti in sofferenza (il 49%) sono stati dati in Sudtirolo. Si parla di “malinteso localismo”.
La relazione della Banca d’Italia, nella terza ispezione condotta in pochi anni, osserva: “Le attuali perdite sono altresì da ricondurre alle menzionate deviazioni nella politica creditizia e all’atteggiamento dilatorio del cessato Consiglio, che ha mancato di intraprendere iniziative idonee al superamento delle criticità e ha procrastinato la rilevazione degli esiti negativi delle erogazioni; in particolare, è stato perpetuato il sostegno ai principali operatori economici dell’area di origine, anche in presenza di iniziative decotte, sovente di matrice speculativa e di importo elevato”.
E ancora più chiaramente: “Il problema di fondo sono i conflitti di interesse. Si tratta sempre di nuovo di imprese sudtirolesi che hanno legami familiari, professionali e/o politici con membri della Cassa di Risparmio e godono di un trattamento speciale nella concessioni di crediti e quando emergono problemi di rimborso”.
Franceschini descrive dettagliatamente con documenti e testimonianze molti esempi di trattamenti speciali e di conflitti anche macroscopici: la cordata di imprenditori locali per una compagnia aerea sudtirolese, dove i vertici della banca sono insieme iniziatori (come privati) e finanziatori (come banca) destinata al fallimento; la finanziaria, per partecipare agli affari del tunnel del Brennero e altre grandi opere, in cui ci sono perfino la diocesi di Bressanone e le clarisse; le modalità di acquisto della Luis Gasser AG (grande produttore di speck e salumi) da parte del concorrente Senfter, in cui i rappresentanti della Sparkasse erano anche i consulenti dell’impresa; e tanti altri.
L’ispezione della Banca d’Italia ha costretto molti consiglieri di amministrazione o di sorveglianza alle dimissioni. Tuttavia in Sudtirolo manca l’attenzione ai conflitti d’interesse. I cambiamenti sembrano avvenire solo su costrizione esterna. E la trasparenza non è considerata. Se è vero che di recente, prima degli ultimi avvicendamenti al vertice della banca, lo statuto è stato modificato per ridurre i diritti dei piccoli azionisti e le norme sulla trasparenza nell’assemblea, che in Italia erano state introdotte recependo la direttiva europea del 2010, non c’è da essere ottimisti sul futuro.
La Sparkasse è una banca nata a scopi sociali, per permettere ai ceti bassi di risparmiare e investire e contemporaneamente per aiutare la comunità a svilupparsi economicamente e socialmente, come si legge nello statuto della prima Spar-Casse, fondata a Vienna nel 1819 (a Bolzano e Rovereto nel 1851). Nel tempo ha finanziato importanti opere di modernizzazione (ospedali, treni, teatri, scuole di nuoto comunali, centrali elettriche, ecc.) e sostenuto progetti culturali e sociali. A Bolzano c’è una strada che si chiama via Cassa di Risparmio, costruita all’inizio del ‘900 proprio dalla Cassa, per ovviare alla mancanza di residenze nella città.
E ora?
Manovre e intrecci
Franceschini, con un’ammirevole inchiesta, ha avuto accesso alle relazioni (una ufficiale di 19 pagine e una riservata di 40, molto meno diplomatica) e si è fatto raccontare da molti protagonisti anche interni aspetti e avvenimenti in un libro scritto con stile semplice e perfetto, e ne ha tratto un racconto che si legge come un giallo. Ci sono i documenti e i pranzi e le cene “di lavoro”, dove più che negli organismi democratici e istituzionali si decidono i destini della piccola patria. E i contatti con personaggi “famosi”, come Giampiero Fiorani, il grande capo della Banca Popolare di Lodi, finito in prigione dopo il crollo del suo impero bancario, nella cantina del Laimburg con Durnwalder, o all’ Hotel Rainer con l’allora governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio e con Brandstätter.
Il libro si apre con un capitolo sul tentativo di intimidazione da parte dei vertici della Sparkasse verso l’autore e verso la coraggiosa piccola casa editrice Raetia.
Alla fine degli anni ‘90 le nuove normative europee sulle banche, e il decreto Ciampi che impedisce alle fondazioni di possedere la maggioranza delle azioni delle banche, - norma che verrà a cadere per le Provincie autonome per iniziative di Hans Rubner (prima senatore e poi presidente della fondazione Sparkasse) - spingono la Cassa di Risparmio a cercare collaborazioni a nord e a sud. Wendelin Weingartner, per 9 anni presidente della Hypo Bank tirolese e poi Landeshauptmann del Tirolo, e Durnwalder sembrano portare avanti una sorta di Euregio Bank. Nel consiglio di sorveglianza della Hypo siede anche il caporedattore, direttore e co-proprietario del Dolomiten, il che garantisce il silenzio stampa sulla lunga fase preparatoria. L’ipotesi di espansione a sud della Hypo, di proprietà del Land Tirol, scatena una lotta all’interno della Övp e una campagna di risentimento anti-italiana. Weingartner sarà costretto a dimettersi e neppure il suo antagonista Eberle riesce ad avere la meglio. Van Staa, il nuovo Landeshauptmann del Tirolo, nel 2002 ripropone la faccenda, ma senza successo.
La Sparkasse vuole allargarsi a nord e a sud. Trattative vengono portate avanti con la Bayerische Landesbank. A sud si guarda anzitutto alla Banca popolare del Trentino di Luigi Lunelli, che però sta per essere comprata dalla Popolare di Lodi. Sarà con questa che verrà firmato il contratto di vendita del 20% delle azioni, che Lodi paga tre volte il loro valore. La proposta ottiene il voto unanime dei consiglieri, ma all’interno della banca e sul piano politico ci sono diverse posizioni, cordate, lotte intestine. Anche se l’acquisto alla fine si rivela un successo (una parte dei guadagni finirà addirittura in paradisi fiscali esotici), la politica, cioè la Svp, non vuole perdere il controllo sulla propria banca. Questo avviene nell’ambito dell’ubriacatura degli anni ‘90, in cui il rapido arricchimento fa perdere il senso della misura a molti di coloro che stanno ai vertici dei potentati economici e politici. Hans Rubner, a lungo senatore Svp, che sembrava destinato a succedere a Magnago, presidente della Fondazione, cerca di rendere più autonoma la banca, meno dipendente dal potere politico locale. La Fondazione finanzia anche editrici e iniziative artistiche e sociali non sottomesse all’egemonia Svp. Contro di lui si scatena sulle pagine del Dolomiten una lunga e feroce campagna denigratoria, che lo accusa di voler svendere la banca. Rubner ne esce distrutto e si dimette. Il suo vice, Sandro Angelucci, e il consiglio continuano nell’operazione e la concludono, convinti di fare il bene della collettività.
Il libro getta una luce inquietante su un periodo storico che sottotraccia ha ancora forti strascichi nell’attualità. Lo dimostra il modo con cui il presidente della banca liquida sprezzantemente la proposta del presidente della giunta provinciale, proposta condivisa dalla Banca d’Italia, di fare una fusione fra banche locali, per rafforzare il sistema locale. Si narra che Durnwalder nel 2003 nasconde in un cassetto il parere (negativo) del Ministero delle Finanze sulla sua proposta di nomina di Brandstätter alla presidenza della Fondazione Sparkasse e procede come nulla fosse. Il ministro era Tremonti, amico della Svp e quindi non poteva essere il solito “nemico italiano”.
Inquietante è la figura di Brandstätter, consulente di decine di imprese, seduto in dozzine di C.d.A., presente a tutti i tavoli, da un lato e dall’altro, anche contemporaneamente, dal 2003 presidente della Fondazione, dal 2014 presidente della banca (suo padre lo era stato per 26 anni), auto-incaricato a fare pulizia (o a cercare capri espiatori) per un disastro di cui è difficile credere non si sia mai accorto. La Banca d’Italia scrive che il presidente “deve astenersi dallo svolgere..., qualsiasi forma di influenza sulle attività gestionali”. Chissà come farà con tutti i clienti che ha, come consulente e come presidente della banca, a tenersi fuori? Dal 27 novembre all’ 11 dicembre è stato fatto l’aumento di capitale, 270 milioni. Vedremo come andrà a finire.
In un dibattito a Rai Südtirol, il giornalista gli ha chiesto: perché ha denunciato Franceschini e l’editrice Raetia chiedendogli un milione di euro e non i responsabili della gestione precedente della banca, come chiedono tanti azionisti che hanno perso i loro soldi? Risposta evasiva. Un piccolo azionista, che prima della pensione era un consulente della Sparkasse, ha detto che la gente non investe in azioni, ma nella Cassa di Risparmio. Ora la fiducia è sparita e questo è il disastro.
Ho chiesto a un conoscente “interno” alla Sparkasse un giudizio sul lavoro di Franceschini. Mi ha detto che è tutto vero, parola per parola.