Quanto sono buone le mele? E a qualcuno importa?
“Hai comperato delle mele?” “Noo - sorriso trionfante - ho comperato delle Melinda!” Questa frase non è tratta da qualche spot, ma è ricorrente in tante parti d’Italia, dove si pensa che Melinda non sia un consorzio di commercializzazione dei melicoltori nonesi, ma una particolare varietà di frutti, forse un po’ più cari, ma sicuramente più gustosi.
Questo risultato è probabilmente dovuto a diversi fattori: un’accorta campagna di pubblicizzazione e commercializzazione, certamente; ma anche le particolarità della Val di Non, ottimale per altitudine, esposizione ed inclinazione dei terreni, natura degli stessi; ed infine l’introduzione di nuove varietà, forse più buone, sicuramente più resistenti alla conservazione e soprattutto più belle. Sì, perché, dicono gli esperti, “si acquista con gli occhi”.
Tutto questo però si può ritorcere nel suo contrario. Il successo ha spinto ad accrescere le quantità, sia aumentando la resa per ettaro, sia andando a coltivare terreni meno vocati. “Le rese sono aumentate di molto, arrivando anche a 1000 quintali all’ettaro, contro i 2-300 di quarant’anni fa - ci dice Geremia Gios, direttore del Dipartimento di Economia e docente di Economia Agraria all’Università di Trento - E più produci più devi trattare, mentre la qualità del frutto fatalmente si riduce”.
Lo scorso anno, complice una meteorologia particolare, c’è stata una produzione record, eppure qualitativamente mediocre. Nei supermercati si potevano trovare le Golden Delicious Melinda sotto l’euro a chilo, per il sollievo del portafoglio, ma non del palato.
“La nostra frutticoltura, fatta di piccole e piccolissime aziende, può vivere solo se punta decisamente sulla qualità - ci dice Flavio Pezzi, già presidente della sezione trentina della Confederazione Italiana Agricoltori, ed attualmente a capo del Consorzio frutticoltori di Campodenno, nonché nel cda di Melinda e della FEM - Ci troviamo a competere su mercati internazionali dove sono presenti gli stessi frutti prodotti a costi molto inferiori ai nostri. È perciò indispensabile trovare il giusto equilibrio tra qualità e quantità”.
Imperativo che però noi non siamo sicuri che sia vissuto come così stringente. Quando alcuni mesi orsono abbiamo intervistato l’uomo a capo di Melinda, egli ci omaggiò con un plateau di Golden, da lui personalmente scelte nel negozio Mondo Melinda: bene, non vorremmo rispondere a un atto di gentilezza con una scortesia, ma dobbiamo confessare che quelle mele furono tra le peggiori che abbiamo assaggiato. Della serie: ai vertici del Consorzio, sanno cos’è la qualità? Gliene importa qualcosa?
Abbiamo cercato la risposta al massimo livello scientifico: alla Fondazione Edmund Mach di San Michele, dove da una parte si studiano nuove varietà di mele, dall’altra se ne testano le qualità organolettiche. E abbiamo scoperto una cosa forse sorprendente: nessuno verifica la qualità della produzione.
L’équipe con a capo il dott. Fulvio Mattivi, in un laboratorio di metabolomica che analizza plasma, urine, acque fecali, riesce a tracciare il percorso della mela nel corpo umano, individuarne i composti che vengono assorbiti e studiarne, in collaborazione con un’università londinese, gli effetti sull’organismo. Si lavora quindi per arrivare a varietà sempre più salutari, per esempio nella capacità di prevenire i tumori, di abbassare il colesterolo o contrastare la glicemia.
Invece il gruppo di ricerca sulla Qualità sensoriale, guidato dalla dott.ssa Flavia Gasperi, indaga sull’interazione del prodotto con il consumatore, in un laboratorio dove dei tester, in cabine a ambiente rigorosamente controllato valutano le qualità percepita di prodotti rigorosamente anonimi. Sono procedure complesse, che testano in maniera scientifica il gradimento sia delle nuove varietà come dei prodotti in commercio.
Tutto interessante, anzi ottimo. Però in entrambi i laboratori ci si guarda bene dal valutare la qualità della produzione attuale, magari confrontando le annate. Come mai? La nostra impressione, nettissima, è che sia la politica che i produttori non accetterebbero valutazioni non positive.
“La produzione non viene monitorata perché si ritiene che le qualità organolettiche siano concetti sfuggenti, che il consumatore non riesce in realtà ad apprezzare - ci risponde Gios - E quanto più esalti la fase della commercializzazione, pubblicità compresa, tanto più dai la qualità come un dato scontato”.
A noi non sembra la strada giusta per affrontare la concorrenza globale, dalla Polonia alla Cina. Anche perché la credibilità, o se vogliamo il mito, di un prodotto come Melinda, si impiega decenni per costruirlo, poche annate per distruggerlo.
Flavio Pezzi concorda: “La competizione sarà vinta non solo da chi sarà meglio organizzato, ma anche da chi offrirà le mele con la più alta qualità organolettica. E per raggiungere questo l’apporto della Fondazione Mach, con i suoi laboratori, sarà essenziale. Se per quantificare le spettanze di ogni contadino, aggiungessimo ai parametri che si usano oggi anche parametri relativi alla qualità organolettica, faremmo un bel passo in avanti”. Ottimi propositi.