LaVis: le barricate
L’affiancatore Girardi dovrebbe diventare commissario e mandare a casa Zanoni & C. Ma questi si oppongono con le unghie e i denti.
Alla fine, anche Ugo Rossi è arrivato alla conclusione: con la LaVis non c’è niente da fare. Aveva lungamente pensato, in quanto residente in paese, di coltivarsi (coi soldi pubblici naturalmente) i contadini della Cantina, trasformandoli in un gruzzoletto di voti personali, in base ai collaudati principi della politica dorotea, che il Presidente non disdegna. E quindi aveva battuto i pugni sul tavolo, impegnandosi a dare alla Cantina 10 milioni, un’enormità. E poi ne prometteva altri 2,5; e ancora, quando LaVis proprio non riusciva a soddisfare le condizioni per accedere al supercontributo (presentare un piano di rilancio attestato da un professionista) e le relazioni della Revisione cooperativa si facevano sempre più drastiche, chiedendo in pratica un commissariamento, Rossi trovava ancora una via d’uscita: non un commissario, che avrebbe mandato a casa l’Ad Zanoni e il cda, ma un “affiancatore”, che avrebbe svolto un’ azione di “tutoraggio dell’attuale governance aziendale... al fine di valutare l’effettiva possibilità di attuare il piano di risanamento proposto”.
Insomma l’affiancatore (il dott. Girardi, uomo di fiducia di Rossi) doveva creare i presupposti perché i milioni provinciali non fossero del tutto versati a fondo perduto, come si sospettava che potessero finire con “l’attuale governance aziendale”.
Questo il 27 marzo. Nemmeno due mesi dopo, il 20 maggio, Rossi cambia idea: basta mezze misure, con quella gente - Zanoni e soci - non si va da nessuna parte, la Cantina va commissariata, a Girardi, che gli ha riferito l’impasse totale in cui versa la Cantina (“criticità legate alla mancata riapertura degli affidamenti bancari... difficoltà dell’attuale Cda e dell’Ad nello sbloccare la situazione”) vanno dati pieni poteri.
Finalmente, meglio tardi (molto tardi) che mai! (A proposito, Presidente, non dovrebbe fare un minimo di autocritica, è da anni che le segnaliamo la cosa, e lei niente...).
Solo che Rossi fa un’ultima furbata. Per non mostrare di aver ingranato la retromarcia, non opera il commissariamento su due piedi, ma lo posticipa al 5 giugno. Ponendo due clausole: il commissariamento sarà effettivo a meno che LaVis presenti il famoso piano di rilancio attestato e che le banche creditrici, ritenuto tale piano credibile, riaprano le linee di credito. In poche parole Rossi passa il cerino alle banche: saranno loro, le cattivone, a decretare la fine della LaVis, o meglio della gestione Zanoni, e il subentro del commissario Girardi.
Troppo furbo. Perché Zanoni e il presidente Paolazzi non hanno nessuna voglia di mollare l’osso. E così, dopo che per quasi un anno non hanno presentato alcun piano di rilancio, alla fine scovano in quel di Verona un tributarista disposto ad attestarne la credibilità. Così, quando alle 10.30 del 29 maggio la LaVis si trova con le banche, alle 10.36 salta fuori il coniglio del piano attestato. Che in realtà è un’operazione di puro equilibrismo: l’attestatore infatti subordina la buona riuscita dell’operazione a tutta una serie di condizioni: “se i dati sono quelli forniti dal management... se si verificano le condizioni... se... se...”. Le banche danno un’occhiata al malloppo, vedono di cosa si tratta e rifiutano di firmare la moratoria del debito.
Game over? Neanche per sogno. Zanoni e Paolazzi la mettono giù dura: le banche non hanno avuto tempo di valutare il piano di rilancio, nei giorni a seguire c’è il ponte, non possono esprimersi compiutamente prima del fatidico 5 giugno, prima di passare al commissariamento (e al loro, di Zanoni e Paolazzi, siluramento) deve essere concesso altro tempo, una moratoria.
Nel frattempo attizzano un po’ di contadini (soprattutto quelli che, dalle precedenti gestioni e dall’attuale, sono risultati privilegiati e ottengono più soldi nei conferimenti dell’uva grazie all’inserimento dei loro vigneti in discussi “progetti qualità”) che strepitano, minacciano marce su Trento con i trattori, ritiro dei risparmi dalle Casse Rurali. E tutto questo trova compiacente eco soprattutto sulle pagine de L’Adige, che se ne fa cassa di risonanza (ne scriviamo in “Sfogliando s’impara”).
Mentre scriviamo non sappiamo come andrà a finire, in sostanza se Rossi concederà ulteriore tempo e le banche (ne dubitiamo) ulteriori soldi.
Il fatto è che, come noto, nelle situazioni di difficoltà finanziarie il tempo non va buttato via. Già ora si sono creati gravi pasticci.
Cesarini Sforza risulta svenduta per quattro soldi alla veronese Azienda Tommasi (anche Zanoni è di Verona, ma non pensiamo male...).
Sono state presentate dagli ex soci, cui Zanoni non voleva restituire l’autofinanziamento a suo tempo lasciato alla Cantina, istanze di fallimento. E LaVis ha finito col pagare.
Ed è facile prevedere che altri soci faranno analoghi passi. Il che crea ulteriori problemi, perché vengono così liquidati creditori non privilegiati, mentre altri, come i dipendenti, che privilegiati lo sarebbero e che si sono visti decurtare lo stipendio, rimangono a bocca asciutta. Insomma, il continuare a tergiversare con un’azienda allo sbando, non fa che creare nuovi, più gravi problemi.
Su questa storia penosa sarebbe ora di tirare una riga.