“Mia madre”
Un film toccante di Nanni Moretti
Margherita, regista, sta girando un film sulla crisi italiana dove si racconta lo scontro tra gli operai di una fabbrica e il nuovo proprietario americano che promette tagli e licenziamenti; un film corale, politico, con un set complesso e difficile da gestire. Anche perché deve fare i conti con le bizze della star italo-americana che interpreta il ruolo del nuovo proprietario: classico attore hollywoodiano in crisi e decadenza che accetta di fare un film in una realtà cinematografica e produttiva provinciale.
Nella vita privata Margherita è separata, ha una figlia adolescente che frequenta malvolentieri il liceo classico, come da tradizione familiare (la nonna è stata insegnante di latino e greco), ha un amante, attore nel film, mollato all’inizio delle riprese. Insomma una vita nella quale in più momenti si ritrova sola, incerta, confusa. L’impegno richiesto per girare un film va ancor più in conflitto con il privato quando Margherita deve confrontarsi con l’aggravamento della malattia della madre. Un percorso difficile e doloroso, che condivide con il fratello Giovanni, un ingegnere che si è preso un periodo di aspettativa dal lavoro per accudire la madre malata di cuore, ricoverata con poche speranze in un ospedale della capitale.
“Mia madre” è un film toccante. Non per tutti e non con la stessa intensità. Di certo può emozionare chi in età adulta ha perso un genitore per malattia, chi non ha sempre avuto un buon rapporto di comunicazione e comprensione con questo genitore, chi soffre di sensi di colpa, chi ha nell’individualismo il motore della propria vita (e creatività) e poi soffre delle sue mancanze relazionali, chi è insegnante. Infine, e non ultimo, chi ha sempre sperato e si è impegnato per un progresso della nostra società e si è ritrovato deluso, estraniato.
Se ci si ritrova in qualche maniera in questo film se ne esce emozionati, non solo commossi, ma con una stratificazione di stimoli, visioni, riflessioni.
La morte fa pensare come sempre alla vita. Quello che facciamo, come lo facciamo, le cose che riteniamo importanti, le relazioni, gli affetti, il senso che ha. Il distacco da un genitore implica, inevitabilmente, la riflessione sul rapporto con lui e attraverso questo noi stessi, la famiglia, gli altri, non ultima la pena verso il decadimento suo e nostro. Emoziona questa dimensione intimista sincera e profonda del film che porta anche a riconsiderare il lavoro, le ansie, le paure, i sogni, gli schemi comportamentali e culturali, il passato, le proiezioni. Una quantità di strutture, maschere, schemi che ci allontanano dalle cose importanti: le persone, gli affetti, la capacità di accettare ed essere accettati, i sentimenti.
Moretti si fa doppio e quadruplo e si racconta regista, traslato nel personaggio di Margherita Buy, quindi attore, interprete del personaggio del fratello. Un ampio spettro per mettersi a nudo, osservarsi più approfonditamente, criticarsi e un po’ giustificarsi delle miserie, dei suoi stessi limiti. Non è certo il primo confronto di Moretti con i suoi alter-ego cinematografici, ma questa volta è diverso, come liberato della sua stessa maschera e moltiplicato nei personaggi per guardarsi veramente in faccia.
Così questa proliferazione morettiana non si chiude nella sola realtà privata, familiare, ma si sviluppa come testimonianza di un mondo che non si capisce, non piace, non interessa più. Il mondo del fare cinema è metafora caotica delle proprie incertezze, popolata di incapaci, per non parlare del vuoto narcisismo dell’attore hollywoodiano. E la finzione del film politico in lavorazione racconta un conflitto sociale che ci pare vecchio, schematico, retorico, poco interessante e rappresentativo, al quale la stessa regista non sembra credere più di tanto.
Moretti prova ancora attraverso sé a raccontare una nostra contemporaneità. Lo fa ancora con elementi autobiografici, senza l’isteria (anche ironica e divertente) del Michele Apicella, ma suggerendo temi di altro tipo: il rapporto tra realtà e finzione, realtà e sogno, genitori, studenti e insegnanti, rapporti di forza politico/economici. Lo fa con sguardo disilluso. Sembra dire: ho sempre detto e raccontato in modo diretto e sincero la mia e nostra realtà, assumendomi il ruolo di critico antipatico, ma adesso non lo so più cosa sia la realtà e devo anche fare i conti con il senso della mia storica sincera antipatia.
Le sequenze più belle e commoventi alla fine: il pianto della nipote, il ricordo degli studenti della mamma professoressa, la battuta finale.