“Duel”
I bambini che salveranno la danza
Dopo la recente esperienza di “Made in Rovereto”, performance coreutica che per due giorni ha tenuto aperte le porte del teatro Zandonai al pubblico cittadino, la Compagnia Abbondanza/Bertoni torna a calcare il palco del teatro ritrovato per presentare alla città il suo nuovo lavoro. “Duel” (nella doppia accezione di duello e dualismo) è prima di tutto un incontro-scontro con le opere dell’artista gardenese Adolf Vallazza, allo stesso tempo essenziali ma intrise di arcaici significati simbolici, che aggiungono un tocco di mistero alla già scarna ambientazione.
Davanti - e dietro, intorno, sopra - a questi totem trascendenti si confrontano tre diverse generazioni di danzatori, chiamate a interagire una dopo l’altra con la materia solo apparentemente inerte del legno al rintocco dei martelli che scandiscono lo spettacolo.
In secondo luogo lo spettacolo è una riflessione sulla storia dell’uomo ispirata dall’inizio del Libro della Genesi. I primi “duellanti” sono un uomo e una donna che, come risucchiati da una sorta di macchina del tempo, si spogliano lentamente delle loro vesti per tornare alla nudità primigenia del Paradiso terrestre, evocato in scena dai rumori ancestrali e dai vapori di una giungla pluviale. Il loro è un vorticoso e lirico corpo a corpo, una danza di unione interrotta bruscamente dalla scoperta del primo totem (albero della conoscenza del bene e del male), che viene dapprima adorato e, in un secondo tempo, esplorato da Eva, sostenuta e assecondata nei suoi movimenti dalle forti mani di Adamo. In uno dei momenti più incisivi della rappresentazione il corpo della donna diviene tutt’uno con quello della scultura: fusione perfetta quanto precaria, emblema dell’instabilità dell’animo umano condannato fin dall’inizio dei tempi ad un’eterna oscillazione tra il bene e il male.
Il secondo totem è invece simbolo di divisione; di forma triangolare e dotato di due punte acuminate, s’intromette minaccioso tra il duetto di due fratelli apparentemente identici ma diversi nell’animo. Dapprima i due scherzano e si scimmiottano in uno scattante passo doppio, ma ben presto l’alleanza diventa scontro e si conclude con il tragico epilogo: l’omicidio di Abele perpetrato da Caino.
Dal sangue versato è però destinata a crescere una nuova generazione, depositaria della salvezza dell’umanità, interpretata in scena dalla compagnia de I Bambini: nove giovani e giovanissimi interpreti, alcuni dei quali già esibitisi qualche anno fa ne “Il ballo del qua”. Il gruppetto irrompe sul palco salendo di corsa la scaletta laterale e, pochi secondi dopo, si trova immerso nel pieno di un’agitata tempesta a bordo di un’arca tondeggiante (metafora del Diluvio Universale). Dapprima in bilico sulla scultura traballante, poi a bordo di un triciclo e infine a piedi nudi sulla terraferma, i bambini s’impadroniscono della scena con la loro energia e la loro vitalità contagiosa. Si esibiscono in una sorta di danza tribale di gruppo, costellata da fugaci assoli d’intenso slancio lirico come quello - impossibile non notarne la naturalezza - del “figlio d’arte” dei due coreografi, i quali lasciano comunque piena libertà d’espressione all’individualità dei giovani interpreti. Ognuno a modo suo, tutti contribuiscono infatti alla riuscita della rappresentazione, in un coinvolgente crescendo di corse e intrecci che culminano con la caduta del velo che copre l’ultimo totem e la conquista della sua vetta da parte del più giovane danzatore della compagnia. La fierezza di questo piccolo “messia” inerpicato sull’antichissimo legno con lo sguardo rivolto verso il futuro profetizza la speranza di rigenerazione dell’umanità e... della danza.
Un’ultima ma doverosa menzione per il deus ex machina che orchestra sapientemente la scena dal fronte del palco, intervenendo nei momenti topici ad “aggiustarla”: presenza silenziosa ma simbolicamente ingombrante quella di Michele Abbondanza, che vigila attento sul passaggio di testimone da una generazione all’altra.