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Alessandro Carbonare e Mozart

La perfezione della misura

E ad un certo punto arriva quella successione di note discendenti, una manciata, che a vederle scritte sembrano solo brandelli di scale d’esercizi tecnici, quelli del primo anno di studio dello strumento. Però stanno lì, in quell’Adagio del Concerto per clarinetto ed orchestra K622 di Mozart, e nonostante questo sia uno dei brani per strumento a fiato più conosciuti al mondo, quella malinconica melodia riesce sempre ad aprire il cuore, perché non ci si capacita mai appieno della magia della penna del compositore salisburghese, che riesce con quasi nulla a dar vita a capolavori supremi come questo concerto. E d’altra parte, per la sua notevole cantabilità e per una difficoltà tecnica niente affatto eccessiva, è un brano che ormai rientra nel novero di quelle opere d’arte talmente conosciute, abusate e inflazionate che nell’eseguirla risulta difficile avere ancora qualcosa di nuovo da dire. Ma sul palco c’è Alessandro Carbonare, probabilmente il miglior clarinettista a livello internazionale, tanto che Abbado lo ha voluto a tutti i costi nell’Orchestra Mozart (e se non c’eravate, a questo concerto dell’Orchestra Haydn, andate su You Tube a vedervi il video dell’Adagio del Concerto per clarinetto con Carbonare e Abbado, così vi fate un’idea di quello che vi siete persi); e in effetti ci si rende conto di quanto ancora Mozart possa raccontare, dietro ogni piccola piega e anfratto della sua musica.

Incanta per misura e compostezza il Concerto K622 questa sera: Carbonare non ha bisogno di stupire con tempi funambolici, soprattutto nel terzo movimento, al servizio di un’abilità tecnica così superlativa che invece non necessita ostentazione, dove virtuosisitica è piuttosto la levità del fraseggio che modula e cesella ogni frase con infinite sfumature di timbro e volume, a rendere il carattere più affettuoso e gaio dell’Allegro iniziale e quello più energico e festoso dell’ultimo tempo. Sono senza dubbio i variegati colori timbrici senza eccessi e i giochi preziosi di dinamiche quelli che rendono così magistralmente spettacolare, nella sua semplicità, quest’interpretazione: cos, la ripresa del tema, nell’Adagio, diventa un sussurro quasi impercettibile, d’una spiritualità luminosa e commovente, un pianissimo lungo l’intera frase, immobile e vibrante d’emozione, che tiene anche l’orchestra con il fiato sospeso.

Il suono di Carbonare sembra scaturire dal nulla sospeso prima della musica, senza soluzione di continuità: così anche nel bis, un indiavolato brano klezmer con il quartetto d’archi dell’orchestra, il lento preludio non si capisce bene quando inizi, semplicemente il suono affiora da quello che un attimo prima pareva solo silenzio. C’è un’aura speciale, in Mozart così come in Carbonare, che ancora riluce sull’orchestra nel secondo tempo della serata, dove la Terza Sinfonia di Brahms profuma ancora di quella levigatezza sonora e di quella estasiata concentrazione che ci è parsa mancare nel primo brano in programma, Solaria, di Ferran Cruixent, un’interessante lettura dell’omonima opera di Asimov, dove i timbri orchestrali si stagliano a raccontare i paesaggi diversi dell’immaginario tecnologico dell’autore, in dialogo con suoni elettronici che arrivano direttamente ai cellulari degli orchestrali presenti sul palco.

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