Il pasticcio dei due marò
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono due fucilieri di marina, forse persino ossessionati da una tale qualifica. Sono trattenuti in India perché accusati di aver ammazzato due pescatori indiani. L’episodio risale a circa tre anni or sono e si verificò nelle acque dell’Oceano Indiano.
I due marò erano a bordo di un mercantile italiano e avevano il compito di proteggerlo da eventuali aggressioni da parte di pirati. È infatti accaduto che, scoprendo un’imbarcazione, non so perché ritenuta sospetta, i due fucilieri hanno sparato, uccidendovi due persone che in realtà risultarono due innocenti pescatori.
Fatto avvenuto in acque internazionali (sembra, e ci si perdoni i dubitativi, ma l’intera vicenda è avvolta in troppe indeterminatezze) e quindi soggetto alla giurisdizione della nazione della nave, cioè quella italiana. Solo che il comandante della stessa, ricevuta dalle autorità indiane l’intimazione a rientrare in un porto indiano, prontamente obbedì, consegnando i marò alla giustizia indiana.
Subito i due marò sono diventati, in Italia, due eroi, simbolo dell’italica fierezza, osannati da Fratelli d’Italia e da tutto il centro-destra, e definiti eroi anche dal Presidente Napolitano. E per converso, in India, sono diventati non solo due assassini, ma anche il simbolo vivente dell’alterigia neocoloniale dell’Occidente, che reputa zero la vita di chi occidentale non è.
La questione, già ingarbugliata dal punto di vista giuridico, si è quindi trovata ad assumere significati squisitamente politici come pure emozionali, in Italia come in India, il che la rende di ardua soluzione. Col risultato che dopo tre anni non si vede ancora una possibile conclusione.
Il fatto è che - oltre alle lentezze della giustizia indiana (campo in cui peraltro non abbiamo nulla da insegnare) e alle locali strumentalizzazioni elettorali - ci sono anche diverse responsabilità italiane, oltre a quelle, primigenie, dei due soldatini, che dall’alto delle murate di una nave ritennero un piccolo peschereccio un pericolo incombente.
C’è anzitutto una disarmante confusione sul ruolo dei militari. Distaccati, secondo una disposizione dell’allora ministro Ignazio La Russa, a scorta delle navi civili. Ma con quali regole di ingaggio? Obbedendo a quale linea di comando? Agli ordini di chi? Del comandante - civile - della nave? Da questa confusione di ruoli e compiti la tragica decisione di sparare sui presunti pirati, e quella - grottesca - di invertire la rotta, verso la costa e la giustizia indiana. Ora, dopo quest’incidente soldati a bordo di navi civili non ce ne sono più. Ma il danno è stato fatto.
Il secondo punto a nostro avviso riguarda più nel profondo l’Italia e gli italiani. Tutti, soprattutto noi trentini, ricordiamo con indignazione il caso del Cermis, quando dei piloti delle forze aree americane, giocando a fare i cow boy, passarono sotto i tiranti della funivia, tranciandoli e facendo precipitare la navicella, con conseguente massacro dei turisti. Il pilota se ne tornò a casa, fu giudicato e assolto da un tribunale americano, e in seguito ottenne anche una promozione. E ora, a parti invertite, pretendiamo anche noi di giudicare i nostri militari, naturalmente per assolverli, anzi per acclamarne le virtù.
In questo atteggiamento sta, a nostro avviso, tutta l’inadeguatezza italiana. Vorremmo essere come gli Stati Uniti nei loro lati peggiori, francamente imperialisti. Naturalmente non siamo in grado di sostenere la parte, siamo solo la rana che si gonfia per assomigliare al bue. E per converso rinunciamo a quello che potrebbe essere invece il nostro ruolo: quello di partner leali, paritari, dei paesi in via di sviluppo o, come nel caso appunto dell’India, già avviati verso una rilevanza politico-economica di primissima grandezza. Un ruolo, questo, che a suo tempo ricoprì, e con grande successo (da dover essere fermato con un omicidio) l’Eni di Enrico Mattei.
Ma l’Italia di oggi, che non sa le lingue estere, che non si cura delle culture altrui, che pensa che fuori dall’Europa ci siano solo pezzenti, e che pertanto pasticcia ed esalta i suoi marò, non è certo all’altezza di quel compito.