Lontani dall’Austria
È la “madrepatria”, per la SVP; che però si guarda bene dal prendere a modello le coraggiose misure che in quel paese si stanno prendendo per contrastare la crisi
Il nuovo presidente della giunta altoatesina si dà molto da fare per dar vita all’Euregio Tirol, operazione di vertice ben poco sentita dal popolo, e a risvegliare i rapporti con la vicina Austria, la “madrepatria” come si dice da noi. Bene, se si tratta di un avvicinamento a ciò che in Austria si fa per affrontare i problemi del nostro tempo.
Dell’Austria tuttavia in Sudtirolo si ammira la buona situazione economica, che la vede quasi esclusa dagli effetti della terribile crisi seguita al 2008, ma non si guarda a sufficienza alle ragioni di questa fortuna. L’Austria è lontana dal Sudtirolo tanto quanto, forse, un secolo fa Carl Techet, con lo pseudonimo Sepp Schluiferer vedeva il Tirolo lontano dall’Europa (in cui si comprendeva Vienna) nel libello satirico “Fern von Europa. Tirol ohne Maske”, che era allora territorio del regno d’Austria.
I governi austriaci, composti da due partiti molto simili, il socialdemocratico (centro-un po’ sinistra) e il popolar-democristiano (piuttosto conservatore e qualche volta francamente reazionario), accettati come male minore, subiscono indubbiamente il fascino della signora Merkel e della sua Germania. Tuttavia si sono ben guardati da introdurre riforme come quelle tedesche degli anni post-unificazione, che hanno smantellato lo stato sociale e i diritti del lavoratori, favorendo il surplus germanico ma gettandone il costo sulle spalle dei ceti più deboli e sulle nuove generazioni destinate al precariato e al dumping salariale. Al contrario, in Austria il lavoro stabile è molto forte. E di questi tempi, in cui i paesi europei non riescono a reagire alla crisi conseguente al crollo del 2008, - paralizzati dalla volontà tedesca di non perdere l’egemonia e di impedire dunque una vera Unione politica europea e continuare a imporre ai paesi debitori riforme sbagliate dalle conseguenze drammatiche, - il paese alpino è sede di un intenso dibattito sulla proposta di riforma fiscale del cancelliere Werner Faymann, presentata con lo slogan “Distribuire il benessere con giustizia”.
La riforma, su cui entro il prossimo marzo si dovrà trovare un accordo con i partiti di coalizione, sembra ispirarsi ai principi di economisti come Thomas Piketty, che individua gli aspetti preminenti della crisi mondiale nella crescita esponenziale della disuguaglianza di salari e patrimoni.
Tutto il mondo si chiede oggi che fare per uscire dalla crisi senza fine causata dal crollo del 2008, senza che i politici riescano trovare un accordo che metta l’interesse generale davanti a quelli del proprio gruppo di riferimento (ceto sociale o nazione che sia), essendo essi stessi spesso riferimento delle banche o dei grandi ricchi proprietari, eletti più dai loro mass-media che dal popolo, che va sempre meno a votare, perché non ha chi votare.
Per quanto riguarda l’Europa, l’immagine più efficace della sua situazione è quella di una cordata di alpinisti, legati da un’unica corda; quando il più debole cade, viene trattenuto dalla corda, mentre il suo peso si redistribuisce sugli altri, e l’aggravamento del peso causa altre progressive cadute, senza che se ne veda la fine. L’immagine “alpina” è di Janis Varoufakis, economista greco-australiano, nell’ultimo capitolo del libro “Il Minotauro globale”, un libro sull’economia illuminante (il mio libro preferito del 2014 e che consiglio vivamente).
L’Austria prova a reagire, forse perché, essendo un paese piccolo, i politici devono tener conto maggiormente dell’opinione degli elettori. La proposta del cancelliere socialdemocratico prevede una riduzione del peso fiscale sui lavoratori dipendenti e sui pensionati, e per finanziarne il costo, oltre all’effetto di maggiore disponibilità di spesa da parte di coloro che ne godono, si punta a un maggiore impegno sull’evasione, a una tassazione dei redditi superiori al milione di euro (patrimoni, eredità e donazioni) e a un credito d’imposta che andrebbe a vantaggio delle donne, che hanno redditi e pensioni più bassi.
La federazione dei 13 sindacati austriaci ÖGB e la camera del lavoro (AK) hanno raccolto e consegnato al governo 882.184 firme per sostenere la riduzione dell’imposizione fiscale sui salari dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti e dei pensionati. Ciò non risolve certo i problemi dell’architettura malata (o morente) dell’Unione, che avrebbe bisogno di trasformare la Banca europea degli investimenti nello strumento di riciclo delle eccedenze che oggi le manca, ma si tratta di una politica finalmente ragionevole.
Perché in Sudtirolo, che nelle occasioni di festa si propone come terra-ponte, non se ne parla?
Un misero dibattito
I parlamentari sudtirolesi, nella discussione sulla riforma del lavoro e la legge di stabilità, e perfino sulle riforme costituzionali, si limitano a difendere i piccoli interessi locali e i privilegi fiscali dei ceti che li sostengono o interessano al partito. Non una critica al piano dell’oligarchia ignorante che - pure in ritardo e nel momento più tragicamente sbagliato - fa ciò che Margaret Thatcher e i governi tedeschi hanno fatto negli anni rispettivamente ‘80 e ‘90: distruggere il diritto e la dignità di chi lavora e di chi ha lavorato, nell’illusione di una crescita per cui non ci sono né i presupposti né le misure. E per dare qualche mancia elettorale riduce i servizi in campo sanitario e sociale e non fa nulla per la giustizia fiscale, ma al contrario, nel tentativo di riempire le casse, si accanisce su chi già paga, accusando a torto o a ragione di irregolarità, sperando che qualcuno rimanga nella rete. In queste materie, purtroppo, la “madrepatria” non viene presa ad esempio.
In Sudtirolo, il dibattito sulle misure di revisione della spesa imposte dalla politica (pur sbagliata) dell’Unione Europea (delle banche e dei paesi forti) viene trasformato in uno scontro fra centro e periferia (una volta erano italiani e tedeschi), con i sindaci dei piccoli paesi in cui hanno sede lussuosi e vuoti ospedali che si trasformano in “Wutbürger”(cittadini arrabbiati), tanto di moda, e tanto utilizzati per le lotte intestine del partito, e dai mass-media per distrarre la cittadinanza da una visione complessiva dei problemi e dalla possibilità di aggregazioni diverse da quelle espresse da chi li paga.
Faymann cerca di reagire anche all’unica opposizione degna di nota, il FPÖ, nato come populista e liberista e ora attento alle istanze sociali, ma “solo per gli austriaci”, così come non è più contro l’euro, ma contro il sostegno ai paesi debitori del Sud-Europa. Con questo il partito fondato da Haider ha conquistato i ceti subalterni e chiede ai socialdemocratici di rompere la Große Koalition con la ÖVP e di governare insieme!
Una trasformazione che i Freiheitlichen hanno avuto anche in Sudtirolo, avvicinandosi pericolosamente alla Svp, che non ha mai voluto, e forse ancora osteggia, una società inclusiva, fa della questione etnica il proprio principio fondante e tratta con l’Italia come se non ne facesse parte. Ma tuttavia ne copia il modello di oligarchia ignorante, nel senso che ignora volutamente la volontà del popolo, si inchina alle pressioni dei potenti, fingendo di credere nel trickle down, l’effetto percolazione, per cui qualcosa dell’arricchimento ricade anche sui poveri, un effetto a cui non crede più nessuno al mondo.
L’autonomia non partecipata, che non sviluppa la democrazia, è più debole, e peggio fa l’illusione di rafforzarla con modifiche costituzionali in un parlamento ostile al federalismo e ignara dell’ancoraggio internazionale della nostra autonomia.
A parere di chi scrive, convivenza e maggiore giustizia sociale continuano a essere le due parole chiave per rafforzare l’autonomia, capaci di dare cittadinanza concreta ai sudtirolesi vecchi e nuovi di ogni lingua. Di fronte a uno stato come quello italiano, che ha perso la ragionevolezza, e dove il governo produce a colpi di esclusione del parlamento (=fiducia) leggi illeggibili (provate a tradurle in tedesco o in un’altra lingua!) e modifiche incomprensibili, i nostri rappresentanti dovrebbero raccogliere il messaggio di Faymann, quando dichiara di ritenere indispensabile che “si faccia la riforma fiscale, che si garantisca il finanziamento e che l’Austria diventi un po’ più giusta”. In Austria si discute di questo, senza colpi di mano e senza offendere chi la pensa diversamente. In democrazia si discute. Ecco, una madrepatria così a me piacerebbe, e ancor più se si chiamasse Europa.
Nota finale: Mi rendo conto che “Europa” di per sé è concetto ambiguo. Janis Varoufakis ricorda che, nel mito greco, Europa non è solo la giovane rapita da Zeus apparso in forma di toro bianco e portata a Creta, dove dà alla luce il re Minosse, ma è anche la nonna del Minotauro, il mostro che nel labirinto di Cnosso si nutre di giovinetti e giovinette forniti dai paesi sottomessi a Creta. Almeno finché Teseo, figlio di Egeo re di Atene, lo uccide, per liberare la sua città dall’obbligo di questo orribile tributo. E nasce la democrazia.
Chi è Creta? Chi sono i paesi che sacrificano i loro giovani al mostro? Chi lo leverà di mezzo? Non lo so, “but I try, but I try” cantavano i Rolling Stones, in un tempo in cui i giovani si organizzavano per non farsi mangiare. ?