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Ecologia prenatale

L’utero non è la barriera insuperabile che si pensava un tempo, ma un filtro attraverso cui possono passare agenti inquinanti. Da “Una Città”, mensile di Forlì.

Carlo Bellieni

Svolgo da vent’anni la mia professione in un reparto neonatale, dove mi occupo di assistenza, lotta al dolore e prevenzione dello stress. In questi anni è diventata sempre più frequente la sopravvivenza di piccoli prematuri nati poco dopo la metà della normale gravidanza. Per questo possiamo studiare questi feti nati precocemente, accudirli e valutarne la fisiologia. Solo che lo facciamo “all’aperto”, in un’incubatrice, mentre sarebbero dovuti restare ancora per due-tre mesi al riparo dell’utero. In pratica sostituiamo l’incubatrice all’utero. L’incubatrice è certamente meno sicura, ma anche l’utero non è una cassaforte di protezione ermetica, piuttosto è come un filtro e per questo è importante parlare di ecologia prenatale.

Dentro l’utero arrivano al feto, attraverso il sangue materno, le sostanze che la mamma respira e mangia, e se queste sostanze sono pericolose possono intaccare processi metabolici importanti. Quello che accade in condizioni di inquinamento è che la mamma inconsapevolmente fa da trasportatrice al feto di sostanze pericolose che fanno male prima a lei stessa e dopo al feto, che è paradossalmente più a rischio della madre, perché le sostanze che arrivano in un organismo all’alba del suo sviluppo lo trovano più fragile.

Non bisogna dimenticare che oltre all’inquinamento chimico esiste quello da agenti fisici, come l’inquinamento acustico o da campi elettromagnetici. Nel primo caso l’utero è una modesta barriera ai rumori che, se sono eccessivi, sono pericolosi per l’udito in sviluppo; nel caso dei campi elettromagnetici, l’utero non li blocca assolutamente e arrivano al feto in ragione della distanza dalla loro sorgente: ad esempio, attenzione a chi vive in zone troppo vicine a sorgenti elettriche quali ripetitori o alta tensione.

Esistono poi alcune categorie di sostanze che somigliano ai nostri ormoni; se queste arrivano al feto lo ingannano, facendogli sentire che essendo disponibili nell’ambiente non ha bisogno di produrli lui; e a quel punto il feto rallenta la propria produzione ormonale. L’esempio classico è la riduzione di volume dei testicoli fetali: ingerendo alcune di queste sostanze ingannatrici, la donna rischia non solo per sé, ma anche... di non diventare nonna.

Le principali sostanze pericolose che possono arrivare al feto sono di tre tipi: i solventi (per esempio delle vernici), gli insetticidi e certi composti delle plastiche, di cui alcuni sono molto diffusi, gli ftalati. Poi ci sono i metalli pesanti, per esempio il mercurio che può arrivare mangiando certi pesci vissuti in mari inquinati, il piombo (da vernici o vecchie tubature o dallo smog), ma è possibile anche l’arrivo al feto del cadmio e dell’arsenico, provenienti dagli scarti di certe fabbriche o dalle batterie elettriche nel caso del cadmio, o nel caso dell’arsenico dal legno truciolato, dove può essere usato per prevenire le muffe.

Oltre alla contaminazione diretta c’è il problema dello stress materno: la madre stressata, per esempio da un grave trauma, attraverso la produzione ormonale modificata dallo stress, manda segnali al feto e questi addirittura possono in certi casi condizionare la sua reazione allo stress in età adulta.

Il latte materno:un’arma formidabile

Il corpo materno è uno strumento meraviglioso, ma non fa miracoli: l’allattamento al seno è la prima arma che la natura fornisce per salvare la vita al neonato ed è un’arma formidabile; ma se la donna assume sostanze pericolose come certe medicine o sostanze inquinanti, il rischio che arrivino al bambino attraverso il latte va valutato. Anche perché la capacità di eliminare le sostanze tossiche nel neonato è ridotta, data la relativa immaturità del fegato e dei reni.

La normale dieta che ogni mamma segue è ottima per il suo bambino: ovviamente ci sono delle piccole regole da seguire, suggerite dal ginecologo, che riguardano soprattutto l’attenzione ai rischi infettivi, e il divieto di tabacco e alcol, pericolosissimi per il feto. Per quanto riguarda le scelte alimentari, il consiglio è che, senza eccedere, la mamma mangi quello che le piace: addirittura oggi sappiamo che il feto nell’utero si abitua ai sapori di quello che la mamma mangia e questo influisce sui suoi futuri gusti alimentari.

Ma il problema dovrebbe essere affrontato ben prima della gravidanza: certe sostanze si accumularno nelle ossa o nel grasso della madre e in certi casi, per la richiesta di calcio o di calorie da parte del feto, vengono rilasciate durante la gravidanza nel sangue materno e di qui arrivano al feto. Dunque la cura della gravidanza inizia molti anni prima di restare incinta.

Conoscere il bambino prima che nasca

Ma c’è un altro aspetto dell’ecologia prenatale. Occupandosi dei problemi della gravidanza, conoscendola meglio, oltre a scoprire i rischi di questo particolare e unico periodo biologico, si possono scoprire anche tante altre opportunità, cioè la possibilità reale di entrare precocemente in contatto col proprio figlio ancora nel pancione, di iniziare un viaggio di conoscenza con lui/lei. L’ecologia è - etimologicamente - la “conoscenza della casa”, del luogo in cui abitiamo, e nella casa-utero la donna può iniziare a entrare in contatto col feto che comincia a dare segni della sua presenza e della risposta agli stimoli.

Uno studio che conducemmo pochi anni fa mostrò che questo approccio di contatto mamma-feto basato su appositi corsi che ne spiegano le modalità ha l’effetto di aumentare l’attaccamento al figlio. Esistono studi e associazioni che attraverso lo yoga, o con la cosiddetta “aptonomia” (comunicazione attraverso il massaggio e il contatto), danno una possibilità di conoscenza prenatale nuova e una rasserenante visione della gravidanza.

La donna ha naturalmente questa capacità di vedere tante cose che gli altri non vedono riguardo in particolare la propria fisiologia e il proprio figlio. Anche il semplice cullare il bambino nell’oscurità dopo la nascita è ricreare quell’ambiente uterino sereno dove il neonato si sente di nuovo al sicuro e si rilassa addormentandosi. In particolare ho avuto esperienza di gruppi in cui babbo e mamma accarezzando il pancione sentono le risposte dei calcetti del feto e parlano a voce alta per stimolare l’attaccamento; esistono anche tentativi di inviare musica attraverso il pancione, ed è dimostrato che questa musica ha anche la capacità di rilassare il bambino se la riascolta dopo la nascita.

Per concludere, questo particolarissimo momento della vita deve essere ripreso in mano dalle donne per diminuire l’ipermedicalizzazione e favorire la serenità. Il desiderio di salute talvolta si confonde col desiderio di controllo, e questo si allarga anche alle età successive in cui, dopo la nascita, si cerca che il figlio rispecchi le nostre aspettative. Un po’ di “gratuità” nel vivere l’arrivo di un figlio dovrebbe entrare nella mentalità occidentale, pressata dalle richieste del mercato del lavoro e dal consumismo esasperato: meno programmazione e meno ansia.Ma per questo occorre un lungo processo culturale e sociale di riappropriazione della gravidanza e del significato dell’infanzia. ?

(a cura di Enzo Ferrara)

* * *

Carlo Bellieni è neonatologo presso l’Università di Siena e fa parte del Comitato di Bioetica della Società Italiana di Pediatria e della European Society for Pediatric Research.

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