Vaghe speranze
Le elezioni in Trentino hanno dato il risultato atteso dai più, anche se si sono accentuate tendenze che alla vigilia sembravano più sfumate. Vince la coalizione di Ugo Rossi, con una percentuale oltre le aspettative, un 58% che non lascia spazio a commenti, anche perché lo sfidante non arriva al 20%. Vince pure l’astensione; pure in questo caso l’atmosfera che si respirava in campagna elettorale lasciava presagire un allontanamento dalle urne, ma non in misura così ampia: più di un terzo dell’elettorato è rimasto a casa, un dato mai visto da noi e che va valutato con attenzione. Crolla il movimento di Grillo, sparisce la destra.
Su quest’ultimo punto, quasi scontato in Trentino, occorre soffermarsi. Neppure ai tempi d’oro di Berlusconi la destra era mai riuscita a contendere il potere al centro-sinistra, ma ora, con la cura Biancofiore/Bezzi “Forza Trentino” si ferma al 4%. La Lega finisce al 6% (più che dimezzata rispetto a 5 anni fa). Il resto sono briciole, con pezzi di destra finiti nel fallito progetto di Grisenti o nello stesso PATT. Si era attribuita la debolezza del centro-destra all’abilità di Dellai: ora lui non c’è più e la tendenza è confermata, segno che le ragioni sono profonde e congiungono una struttura sociale ancora solida e solidale all’intrinseca inadeguatezza di una cultura e di una dirigenza che si conferma avulsa dalla tradizione trentina.
Ciò spiega anche l’insuccesso di Mosna. Utilizzare metodi berlusconiani (come il regalo di 500 euro in buoni benzina, ma solo per i residenti da 10 anni) e presentarsi come campione del rinnovamento e della trasparenza a braccetto con Grisenti, proponendo un tentativo civico e centrista, è apparso minoritario e poco credibile.
Resta ancora una volta il centro-sinistra autonomista. Saldo come mai. QT ha più volte denunciato il blocco di potere che sorregge da vari lustri la compagine governativa. Quel blocco resta e noi saremo lì a controllare, criticare, smascherare gli sprechi e le connivenze.
Ma forse ci sono pure elementi positivi di novità in cui sperare. Rossi ha fatto una campagna sobria e attenta, mai sopra le righe e pure con qualche contenuto. Continuerà così? Vedremo come imposterà la nuova Giunta e se saprà fare un surplus di riflessione sulle cosiddette grandi opere (noi le chiamiamo “grandi sprechi”). Il nuovo presidente dovrà “accontentare” soltanto tre partiti, in quanto nessun altro delle liste della coalizione ha eletto consiglieri. Rossi quindi può avere maggiore libertà di manovra.
Il suo partito, il PATT, vince ancora. Diventati immagine perfetta del loro leader Panizza, gli autonomisti raddoppiano i voti, fanno 7 consiglieri, umiliano il partito di Dellai e sono sempre più determinanti. La squadra degli eletti tuttavia è debole, orientata a destra, più vicina all’ala tradizionalista rispetto a quella innovatrice di Rossi. A volte anche l’eccessiva vittoria procura difficoltà.
Anche il PD ottiene un risultato oltre le previsioni. Dopo i disastri primaverili ed estivi, il PD (anche perché gli italiani dimenticano velocemente) raccoglie i frutti di una lista che presentava i nomi migliori. Le anime del partito sono ben rappresentate dai 9 eletti, con sorprese che indicano un possibile cambio di passo rispetto alla gestione precedente: le oltre 10.000 preferenze di Donata Borgonovo Re dimostrano la vitalità di un PD che ancora sa intercettare la società civile. Il futuro dipenderà dagli assetti esterni (chi farà l’assessore) e da quelli interni (a chi andrà il partito). Ancora una volta però si chiede al PD di parlare di cose concrete, di contenuti: quello che non ha mai fatto. Abbiamo spesso criticato il PD burocratico all’interno e rinunciatario nei contenuti (quello di Pinter e di Pacher, per intenderci); vedremo se ora riuscirà a instaurare una dialettica positiva con l’ala più critica e propositiva, che, pur frammentata, ha trovato nelle urne notevoli consensi in barba al pubblico ostracismo proprio di Pacher (le preferenze della Borgonovo Re, il risultato di Luca Zeni e di altri).
Il fatto è che la sinistra in generale è ancora troppo frammentata. In un vero Partito Democratico ci dovrebbe essere posto per la tradizione laica, per istanze ambientaliste (finora, a differenza che a Bolzano, mortificate) per settori più esigenti e radicali. Sarebbe ora di aprire le porte. Anche perché ora, per la prima volta dal dopoguerra, il centro democristiano e post democristiano è marginale.
L’UPT tiene soltanto per merito dei due assessori Gilmozzi e Mellarini, ma diventa terzo partito. Al centro della scena, un’inedita alleanza sinistra autonomista: ricordiamo una cosa simile nel 1996-97, con la Giunta Andreotti bis. Fu una breve stagione di speranze riformatrici. Ora potrebbe aprirsi una nuova finestra. Lo speriamo per il Trentino, che oggi ne ha assolutamente bisogno.