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L’obbedienza disobbediente

Solo così si potrà recuperare lo spirito del Concilio. I ricordi di don Giovanni Franzoni a 50 anni dal Vaticano II. Da “L’altrapagina”, mensile di Città di Castello.

Achille Rossi
Giovanni Franzoni

Giovanni Franzoni, ex abate di S. Paolo a Roma, è uno dei pochi testimoni ancora viventi del Concilio Vaticano II. Gli chiediamo quali siano i ricordi più significativi che vorrebbe trasmettere a chi non ha vissuto quella stagione.

“Prima di tutto la percezione di un fervore che proveniva dalle varie chiese. Il Concilio non era un parlamento con differenti schieramenti, ma un’assemblea di collegi episcopali che avevano fatto le loro esperienze e che, a seconda delle circostanze, potevano essere più o meno aperti all’innovazione”.

Franzoni porta l’esempio del patriarca melchita Massimo IV e del vescovo maronita di Beirut, sempre molto critici nei confronti della teologia e della liturgia cattolica, giudicata “molto povera di Spirito Santo”. “Questo stesso episcopato orientale però, quando si trattò di scollare dal popolo ebraico l’etichetta di ‘deicida’, fece una grossa resistenza”.

Franzoni ricorda anche l’atteggiamento dei vescovi statunitensi: “Molto papisti nel difendere l’autorità suprema del romano pontefice, addirittura freddi quando nella ‘Gaudium et Spes’ si voleva parlare della pena di morte o della condanna della guerra, ma estremamente decisi e impegnati nella difesa della libertà religiosa. Quando la dichiarazione fu rimandata per la seconda volta in commissione, il cardinale di Boston fece un intervento talmente concitato che pensavo gli prendesse un colpo apoplettico”.

In fondo – spiega Franzoni – ogni episcopato arrivava al Concilio con la sua esperienza, cercava di confrontarla con gli altri, di collaudarla, e ne usciva per proseguirla dopo aver ricevuto un consenso collettivo. “C’era comunque uno stretto rapporto fra l’esperienza pastorale e le situazioni geoculturali in cui le diverse comunità si trovavano a vivere. Le Chiese tedesche, olandesi e anche francesi, che avevano un rapporto di carattere ecumenico abbastanza forte con i protestanti, fecero respingere la prima stesura della ‘Dei Verbum’, che conteneva la dottrina teologica di natura neoscolastica delle due fonti della rivelazione, ossia Scrittura e Tradizione”.

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Concilio
p]Franzoni fa un’osservazione che getta un po’ di luce sul tormentato periodo postconciliare: “Quando siamo usciti con questi documenti sotto il braccio, alcuni hanno pensato che questo era il minimo che si potesse dire tutti insieme per poi proseguire quello che già stavano facendo; per altri era il massimo, che andava poi attuato con estrema cautela. Per questo tutti i documenti conciliari sono infarciti di locuzioni del tipo: ‘se i tempi sono maturi’, ‘se il vescovo lo consente’, e così via”. A parere di Franzoni, era proprio l’interrelazione fra episcopati e Concilio a essere stimolante: “Io sono entrato in Concilio come un moderato e ne sono uscito come un sostenitore fervente”.

Il periodo successivo al Concilio è stato segnato da lotte e contrasti che per lei hanno significato l’ingresso nella marginalità. Cosa non ha funzionato in quegli anni? 

“Quando monsignor Pericle Felici, segretario del Concilio, aprì la quarta sessione e scandì con voce ferma: ‘et erit ultima’ (e sarà l’ultima), si capì subito che era un imperativo a concludere. Poi arrivò la notizia che il papa avocava a sé due tematiche brucianti, quella del celibato dei preti e quella della contraccezione. Ricordo ancora lo sconcerto di un vescovo latinoamericano che si volse verso di me e mi disse: “‘Io ho i frati e otto preti tutti concubinari. Che devo fare, li mando via tutti? Sono venuto in Concilio proprio per la questione del celibato’”.

Secondo Franzoni, tutte le esitazioni del Concilio, le cautele contenute nei documenti hanno gettato i presupposti per gli avvenimenti successivi: “Chi si è trovato in un episcopato piuttosto vivace come quello olandese, che ha fatto un sinodo e ha elaborato un catechismo, ha potuto procedere nel rinnovamento conciliare; chi invece ha dovuto fare i conti con un episcopato più moderato come quello italiano, cercando di applicare alcuni punti fondamentali del pensiero di Paolo VI in materia di giustizia e pace, si è trovato sospinto verso la marginalità”.

Paolo VI

Nella rievocazione del Concilio fatta all’Eur il 15 settembre scorso, lei ha ritcordato un gesto di Paolo VI che è stato equivocato. Potrebbe raccontarlo? 

“Prima vorrei ricostruire il contesto. Il patriarca dei melchiti Massimo IV era intervenuto su una osservazione di un vescovo italiano, il quale aveva affermato che la Chiesa era sempre stata per i poveri, e aveva aggiunto sarcasticamente: ‘La Chiesa è stata sempre per i poveri, ma li ha sempre lasciati poveri. In un periodo segnato dai movimenti di liberazione è tempo che la Chiesa sia non per i poveri, ma con i poveri’. Dopo due o tre sessioni si celebra un grande pontificale in rito bizantino presieduto proprio da Massimo IV. Al momento dell’offertorio Paolo VI si toglie dal capo il triregno, attraversa tutto il presbiterio e va a deporlo sulle ginocchia del patriarca. Era come dire: l’unica cosa che la Chiesa può fare è rinunciare al potere temporale simbolizzato dal triregno”. Un gesto in sintonia con tutto il pensiero di Montini, che aveva fatto della lotta al temporalismo uno dei cardini della sua azione.

“Una volta, in occasione del 20 settembre, affermò dal balcone del Quirinale che quello era un giorno di festa per la Chiesa cattolica, perché col 20 settembre si era liberata del potere temporale. L’avevano capito bene anche i nostalgici della civiltà cristiana, che proprio dirimpetto all’Ateneo lateranense avevano scritto a caratteri cubitali: Moro, Montini, Mostri”.

Franzoni racconta che nel 1971, per ricordare la ‘Rerum Novarum’, Paolo VI non fece alcuna enciclica, ma inviò una lettera al presidente di Justitia et Pax in cui, dopo aver elencato i mali del mondo, faceva questa coraggiosa affermazione: “A tutto questo noi non abbiamo risposta, tocca alle chiese locali affrontarli in collaborazione con gli uomini di buona volontà. E per Paolo VI gli uomini di buona volontà potevano provenire anche da orizzonti ideologici diversi da quello cattolico”.

Le cause dell’arretramento

Come mai la stagione conciliare non ha avuto gli sviluppi che ci si sarebbe aspettati?

“A parte gli oppositori oltranzisti come Ottaviani e Siri, il quale aveva dichiarato che era stata una pessima idea quella di convocare un Concilio e chissà quanti anni ci sarebbero voluti per riparare il danno inferto alla Chiesa, c’era nell’episcopato italiano un numero cospicuo di persone abbastanza disponibili ma piuttosto tentennanti e variabili”.

Franzoni rievoca la sua polemica sulla collegialità con monsignor Poma, preoccupato che venisse compromessa l’autorità del papa. “Gli feci notare che una decisione presa collegialmente, come avviene nelle Chiese orientali, è un aumento e non una diminuzione dell’autorevolezza, anche da un punto di vista dell’immagine esterna e dell’influenza sulla società”. A parere di Franzoni, verso la fine del Concilio prevalse una specie di ideologia del consenso che, per far passare tutti i testi, li riempì di “se” e di “ma” che autorizzavano le interpretazioni più disparate.

Da parte sua come ha cercato di attuare le decisioni conciliari?

“Ho cominciato a riunire i laici, a promuovere il volontariato, l’obiezione di coscienza, a modificare le manifestazioni pubbliche della religiosità. Mi consideravo una specie di avamposto di Paolo VI e teorizzavo il fatto che la Chiesa camminava come un lombrico e non come un treno in cui il vagone di coda viaggia alla stessa velocità del locomotore. Io ritenevo che il papa stesse trainando e che noi non lo seguissimo”.
Giovanni Franzoni ci raccontainfine  le sue peripezie a seguito delle contestazioni all’interno della basilica, le varie visite canoniche, l’incoraggiamento del papa a restare, e infine l’episodio cruciale: “Una domenica mattina alla preghiera dei fedeli un giovane si alza e dice testualmente: ‘Signore, ti prego che quando avrò dei figli possano crescere in una Chiesa che non viene deplorata perfino dall’Organizzazione mondiale delle banche’. Qualche giorno prima lo Ior aveva fatto un’operazione speculativa che era stata riprovata proprio da questo organismo. Fui richiamato dal Vaticano e capii che era giunto il momento di dimettermi”.

Cosa potrebbe suggerire ai cattolici impegnati per recuperare lo spirito del Concilio?

“Imboccare la via dell’obbedienza disobbediente. Si ama anche disobbedendo, naturalmente con ragionevolezza, con discussione e collettivamente. Disobbedienza però sempre in vista di un incontro, di un dialogo. Il dissenso vuol dire soffrire la diversità di opinioni e dibatterla”. 

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