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Stagione teatrale, tempo di bilancio

Non ci sono più, le stagioni, o ce ne sono troppe, frammentate? Sarà, ma la stagione di prosa, a nostro avviso, termina troppo presto. Non si potrebbero diluire i numerosi spettacoli di febbraio, allungando il cartellone fino a maggio almeno? Forse l’Auditorium, da metà aprile in poi, ha altre destinazioni: concerti, festival, convegni...? La stagione di prosa 2011-2012, ultima dell’era Oss Noser, iniziata il 3 novembre 2011, è terminata il 4 marzo 2012, con tre spettacoli della rassegna “Trento Oltre” a coprire il periodo fino al 4 aprile.

Nella stagione di prosa “maggiore”, contando anche la replica (fuori abbonamento) del fortunato “Avevo un bel pallone rosso” di Angela Dematté, gli spettacoli sono stati 13, per un ammontare di 23, contando anche i 9 andati in scena al teatro Cuminetti per “Trento Oltre”.

“Il racconto d’inverno”

La direzione artistica uscente ha affidato la rappresentanza del teatro italiano a Pirandello, Ugo Chiti, Angela Dematté e Pietro Grasso: un classico, un contemporaneo, una esordiente e un outsider. Sul lato straniero, ricca e autorevole la rappresentanza: Ibsen, Agatha Christie, Balzac, Molière, un doppio Shakespeare, Veber, Brecht, Orwell (quest’ultimo, adattato per il teatro).

Quanto a scelta dei titoli, saranno stati contenti gli amanti dei capolavori come «Spettri» (Ibsen), «L’avaro» (Molière), «Sogno di una notte di mezza estate» (Shakespeare), «Così è (se vi pare)» (Pirandello), «La resistibile ascesa di Arturo Ui» (Brecht), «Mercadet l’affarista» (Balzac), senza disdegnare la sorpresa di uno Shakespeare poco frequentato («Il racconto d’inverno»). Il teatro “etnografico” di Chiti («Paesaggio con figure») avrà forse accontentato gli estimatori del regista toscano, presenza fissa a Trento, e i cultori del teatro di ambientazione vetero-rurale; certamente avrà accontentato tutti la leggerezza della commedia investigativa di Agatha Christie («Trappola per topi»), così come il facile umorismo della coppia Solenghi-Micheli in «L’apparenza inganna» di Francis Veber.

I fan del teatro civile avranno infine avuto un maggior appagamento, oltre che dalla parodia hitlerista di Brecht, anche da «Per non morire di mafia» con l’arcigno Sebastiano Lo Monaco, e dall’angosciosa parabola antitotalitarista del ridatato «1984» di George Orwell.

Tutto sommato, di tragico s’è visto ben poco, con sollievo di chi a teatro va per ridere o almeno sorridere: l’unico vero e proprio antidoto all’allegria è stato proposto dallo Stabile di Bolzano, con «Spettri», alla pari con il biopic di Dematté sulla paleobierre Mara Cagol (visto e recensito nella passata stagione); tutt’altro intento, sia pure con amaro sarcasmo, abbiamo riscontrato in «Per non morire di mafia»; mentre la profezia di un presente-futuro videomanipolato, formulata da «2984» su ispirazione di Orwell, ha più incuriosito che angosciato.

Una mescolanza di tragico e comico, come di costume, abbiamo apprezzato nel lavoro della toscana “Arca Azzurra” con il testo di Chiti, vivacizzato dalla verve meridionale di Isa Danieli. Lo stesso mélange tragicomico avrebbe dovuto caratterizzare entrambe le opere di Shakespeare, se non fosse che, messo il Bardo inglese al servizio dei “comici di Zelig”, il «Sogno di una notte di mezza estate» a nostro parere ha snaturato la deliziosa ambiguità originaria, rendendo ancor più pregevole, viceversa, il rispetto ad essa tributato dall’interpretazione del «Racconto d’inverno» da parte del duo Bruni-Capitani.

Cosicché, muovendo lungo l’asse tragico-comico, consideriamo che certamente intendeva divertire «L’avaro» costruito da Marco Martinelli per la moglie Ermanna Montanari, salvo mostrarsi irritante in taluni aspetti drammaturgici e nel narcisismo del regista. È toccato al «Così è (se vi pare)» pirandelliano, diretto da Michele Placido, rappresentare con perfetta ironia pirandelliana l’ingenua follia che pervade ogni comportamento umano. La parodia brechtiana dell’ascesa di Hitler al potere, tra espressività da commedia dell’arte e gusto cabarettistico d’antan, non sempre ha suscitato divertimento, ma certamente non ha solleticato catarsi degne di una tragedia; mentre la maestria clownesca di Glejieses-Mercadet ha puntato direttamente sul comico. Resta, in ultimo, «L’apparenza inganna», tributo al gusto di chi s’accontenta e ne gode, con tripudio di doppi e tripli sensi, allusioni tanto birichine e sorrisetti ammiccanti.

Voci di corridoio danno per possibile una svolta delle scelte cartellonistiche nella direzione solenghiana-micheliana: qualora ciò si avverasse, forse il pubblico potrebbe aumentare, in corrispondenza di tali spettacoli; ma certamente qualche abbonamento potrebbe andar perduto.

Posto che ogni anno in Italia girano centinaia di spettacoli, e che impossibile è trovare tutto quel che si vorrebbe, ci piacerebbe suggerire di cercar bene e di scovare spettacoli che ci portino a conoscenza di opere e autori inspiegabilmente poco o punto considerati a Trento, negli ultimi nove anni: perché non si riesce mai a vedere qualcosa del teatro iberico e ispanoamericano? Gil Vicente, Calderón, Lope de Vega, Lorca, il teatro sulla Guerra Civil... Due anni fa Branciaroli ci aveva portato il suo «Quijote» meta-cervantesco, ma si trattava di un (geniale) adattamento e comunque di una proposta isolata. Dal Brasile, continente nel continente, nulla arriva in Italia e a Trento? E il teatro francese, è solo Molière e Balzac? Quello anglosassone, solo Shakespeare e Christie? Oppure, restando in Italia, riusciremo mai a vedere qualcosa dei secoli precedenti il Novecento? E nel XX secolo, ci sarà qualcosa oltre e in mezzo a Pirandello e Chiti?

È vero, c’è “Trento Oltre”, con il suo teatro povero di mezzi ma ricco di idee e di energia; tuttavia, a parte un doppio Steven Berkoff («Kvetch» e «L’amore segreto di Ofelia»), il palcoscenico del Cuminetti ha ospitato soprattutto (e comunque con merito) autori italiani e trentini, non ancora considerabili, nonostante il talento e l’impegno, “classici”.

A parte una certa disomogeneità qualitativa, anche la selezione di «Trento Oltre» ha offerto una panoramica di autori, stili e testi che comunque, per documentazione o per mero piacere, quando possibile, valeva la pena di conoscere. Probabilmente lo spettacolo di maggior impatto è stato «The End» della coppia Raimondi-Castellani, un’intensa e poetica meditatio mortis; ma ci sono piaciuti anche il monologo di Cosentino, «Angelica», per i suoi discorsi “a scatole cinesi” e, per l’originalità, «Elektrica» di Giordano. Il collaudato «Tonight Lenny Bruce» di Ciardulli-Brunello e Colavini, «Il ritorno» del premiato Sergio Pierattini, le due menzionate pièces di Berkoff, «Post-It» (proposto dal “Teatro Sotterraneo”) e il non molto convincente «Stampatore Zollinger» del pur bravo Abbiati hanno completato una stagione “oltre” tutto sommato ampiamente positiva.

In conclusione, poiché la fame di teatro non è mai soddisfatta, ci auguriamo di essere sempre più preda di imbarazzo della scelta, piuttosto che preda di scelte (altrui) imbarazzanti.

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