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QT n. 1, gennaio 2012 Servizi

Piano Regolatore? Lo fanno gli impiantisti

Da Fassa a Campiglio, da Folgaria al Tesino una impressionante sequela di casi scandalosi

Foto di Marco Parisi.

Un mese fa un imprenditore turistico del bellunese rivendicava con sereno orgoglio l’apporto positivo che aveva offerto al Comune nel preparare, a sue spese, la variante del Piano Regolatore. Variante che veniva approvata dal Consiglio Comunale 15 giorni dopo l’avvenuto deposito, in assenza di informazioni di dettaglio ai consiglieri. L’uomo nemmeno era sfiorato dal dubbio che quella variante era l’imposizione di una visione dello sviluppo basato sugli interessi di una società privata, che non incrociava interessi più diffusi della popolazione: quell’imprenditore rappresentava la sintesi dello sviluppo turistico di una intera vallata: l’agordino.

In Trentino, provincia che da fuori viene vista come terra di amministrazione virtuosa, un laboratorio politico per il rilancio dei valori del centro-sinistra, cosa succede? Se seguiamo la cronaca dobbiamo dire che le distanze dal Veneto sono minime. Anzi, la disponibilità di elargizione economica pubblica ai privati accentua il degrado della trasparenza amministrativa. In questa terra baciata dall’autonomia amministrativa, si promuovono occasioni mediatiche che altrove non possono permettersi: convegni sul paesaggio, sull’economia, investimenti in programmi d’azione basati sulla qualità e, almeno a parole, sul rispetto delle più avanzate convenzioni europee, paesaggio, turismo, biodiversità, documenti recepiti dai vari dipartimenti della Provincia e approvati dalla giunta provinciale, perfino da Trentino Marketing. Ma la cronaca e i fatti reali raccontano ben altro.

Lo spunto ci viene offerto dall’autodifesa del presidente dell’associazione albergatori che risponde stizzito al presidente onorario del WWF, Francesco Borzaga che si era permesso di accusare gli albergatori di non essere sensibili alla tutela del territorio.

Ma già pochi giorni prima i consiglieri di minoranza di Folgaria sferravano un duro attacco alla maggioranza (centro-sinistra) e all’ex sindaco Olivi accusandoli di fatto di farsi sostituire nella progettazione urbanistica dalla locale società impiantistica, la Carosello Ski. Infatti, da oltre un decennio a Folgaria, grazie a 70 milioni della Provincia, la Carosello Ski ha imposto al Comune, in assenza di ogni confronto pubblico (ex sindaco Olivi e Presidente Dellai) il collegamento col Veneto. Ora si sta imponendo, con la scusa della mobilità alternativa, l’avvio di un nuovo impianto dal centro del paese, in un’area già satura che comprende le strutture del palasport e le scuole medie. Nessuna riflessione viene fatta sull’impatto sociale e urbanistico di un simile impianto, sulla mobilità locale, sui reali problemi del turismo degli altipiani. Certo è che l’insieme degli investimenti guidati da Trentino Sviluppo un problema lo risolve: l’indebitamento delle società sciistiche locali, che aveva raggiunto livelli da fallimento (solo nel 2010 una ulteriore perdita d’esercizio di 725.000 euro).

Andando a ritroso nella storia, le similitudini con la vicenda Val Jumela si sprecano: la società locale di Pozza di Fassa era vicina al baratro. La società impone alla Provincia e al Comune un nuovo collegamento, costosissimo e inefficace, fatto passare per mobilità alternativa. Una dura lotta sociale, che aveva coinvolto l’intera società provinciale, vedeva ancora sconfitta la cultura ambientalista. Oggi, a cinque anni di distanza, il traffico da Pozza verso Canazei non è diminuito, l’alta montagna è stata urbanizzata con nuovi locali, il Botrichium simplex (un fiore endemico) è scomparso e la società Buffaure ha ripreso ad accumulare nuovi pesanti deficit.

Passiamo al Bondone, la montagna storica del turismo di Trento. All’inizio del confronto sui patti territoriali l’ambientalismo trentino aveva offerto all’allora sindaco Pacher una carta d’immagine e sostanza culturale importante da giocare: fare delle caserme delle Viote il grande museo delle Dolomiti (in vista di Dolomiti patrimonio naturale dell’UNESCO: siamo nel 2001, quando in Provincia nessuno credeva a questo obiettivo). Né Pacher né Andreatta accolsero la proposta e assecondarono invece i desiderata dei dirigenti delle Funivie di Folgarida-Marilleva (“O così, o abbandoniamo tutto”). E oggi il Bondone è montagna privata di anima, che ha assorbito milioni di euro pubblici in opere che non hanno risolto alcuna criticità: le nuove piste sulle rocce rosse hanno distrutto areali naturali importanti, il paesaggio è sconvolto, la ricettività alberghiera è rimasta priva di qualità e la piana delle Viote è stravolta da ettari d’asfalto che hanno sostituito i pascoli.

Andando in Valsugana, nella conca del Tesino, troviamo come il gruppo Patreno sia riuscito a imporre non solo ai comuni, ma alla Provincia, la sua visione dello sviluppo della montagna. Un solo passaggio non gli è ancora riuscito: ristrutturare e servire oltre 500 baite sparse nei boschi, a tutte le quote del Lagorai, come modello rurale-alpino di seconda casa. Al momento solo su un’area l’ambientalismo ha vinto: Tremalzo. Anche qui la Provincia e il comune di Tirano di Sopra avevano accettato quanto proposto dalla cordata Leali: oggi una commissione ha l’incarico di recuperare una proposta di sviluppo più equilibrata.

Gli strani inciuci Trento-Bolzano

Foto di Marco Parisi.

Ma è opportuno ritornare ancora in val di Fassa, a Moena. Già durante gli anni ‘80 l’imprenditoria locale aveva imposto al paese un centro servizi che oggi non si vuole aprire, nonostante sia costato oltre 30 milioni. Stiamo parlando di un grande sarcofago che contiene uno stupendo teatro e qualche parcheggio sotterraneo. Non si conclude l’opera perché anche solo con un parziale utilizzo, peserebbe sulle casse del Comune per almeno 400.000 euro l’anno, una cifra insostenibile. Nonostante ciò, gli imprenditori non demordono: vorrebbero realizzare un grande campo golf su un’area improponibile e, non contenti, albergatori e industria dello sci vogliono altro.

Pochi anni fa, sempre in un clima di contestazione, è terminato l’ampliamento dell’area sciistica del Passo di Costalunga-Carezza grazie agli investimenti dell’imprenditore Georg Eisath. Sono impianti che dispongono di un inadeguato bacino di utenti, turisti della Val d’Ega, di Nova Levante, e hanno fame di passaggi. Poco sotto, nel versante trentino, stanno Moena e Soraga, con quasi 80 alberghi e migliaia di posti letto in seconde case. Perché non inventare anche in questo caso un investimento basato sulla mobilità alternativa? Come? Ovviamente a scapito della natura: incidendo le colonnari foreste delle Palue di Moena, sconvolgendo il paesaggio delicato del prato di Sorte e incidendo la delicata area geologica che da Soraga porta verso il passo di Costalunga. Anche in questo caso i sindaci locali sostengono l’iniziativa e trovano come alleato l’assessore alla mobilità della Provincia di Bolzano, Thomas Widmann e imprenditori di Fiemme da tempo legati al potere provinciale, come Giulio Misconel (vedi Pinzolo-Campiglio).

Una domanda forse maliziosa dobbiamo porla. Da dove nasce tanto interesse, tanta sollecitudine dell’assessore bolzanino per risolvere presunti problemi di mobilità di Fiemme e Fassa? La proposta altoatesina configge con quanto già approvato sui temi della mobilità in valle di Fiemme (mondiali di sci nordico). Se realizzata, Moena perderebbe ogni sua identità e specificità ed ogni altra scelta urbanistica in paese sarebbe vincolata da una infrastrutturazione che priverebbe il comune di ogni autonomia urbanistica. E anche qui la società civile è tenuta lontana da ogni confronto.

Come avviane per la Panarotta, dove Trentino Sviluppo si è impegnata a investire 23 milioni per nuovi impianti, nuove piste, innevamento artificiale, senza valutare il pesante deficit di gestione che quest’area sciistica alimenta. Come avviene per le velleitarie proposte avanzate dall’ex consigliere provinciale ed ex sindaco di Lavarone Aldo Marzari: un collegamento funiviario che da Caldonazzo raggiunga l’area di Lavarone-Luserna. La fantasia permette a chiunque di sognare anche in assenza di valutazioni realistiche sulla compatibilità economica, sociale ed urbanistica delle proposte.

Lo sciagurato Pinzolo-Campiglio

Ma è il collegamento Pinzolo-Campiglio la scelta che in modo più incisivo vincolerà ogni futuro urbanistico e proposte di mobilità alternativa. I giornali locali, il Trentino in particolare, hanno offerto, ripetendosi fino alla noia, grande spazio al completamento dell’opera. Anche RAI 3 regionale si è chinata ad essere portavoce degli interessi dei poteri forti di quel territorio, non offrendo spazio al dissenso che ha caratterizzato progettazione e realizzazione dell’opera. Anche in questo caso il problema principale consisteva nell’abbattimento di un debito cronico della società funiviaria di Pinzolo, ormai irrisolvibile senza l’intervento della Provincia. Bisognava inventare qualcosa, ovviamente invasivo e imponente, reso possibile grazie al sostegno del Parco (il progetto venne presentato nel 2006, in modo provocatorio, da Dellai nella sede istituzionale del Parco Adamello- Brenta, a Strembo). La spesa complessiva prevista era di quasi 50 milioni, 27 solo per il collegamento. La motivazione si basava sul solito ritornello, la teoria della mobilità alternativa ed integrata, garantendo così alle società private l’80% di finanziamento pubblico, in deroga alle leggi dell’Unione Europea. Oggi la maxi area sciabile è aperta, 150 chilometri di piste, 62 impianti, un collegamento definito pomposamente “Pinzolo Campiglio Express”, che consiste in tre tronchi con 4.700 metri di lunghezza e 16 minuti per il trasporto complessivo

Non si è spesa una parola sullo scempio ambientale dell’opera, sui versanti sconvolti, su ettari di natura pregiata cancellata, su aree di tutela della fauna. Un argomento sul quale Dellai, “il trionfatore dell’opera” com’è stato descritto dal sempre supino Trentino, si è permesso una banale ironia. Subito, sindaci e imprenditori sciistici hanno rilanciato: non è finita qui, ora ci attendono le nuove piste per le gare di coppa del Mondo, a Campiglio ovviamente.

Per chiudere bisogna tornare a Folgaria, al modello fallimentare della mobilità alternativa per eccellenza. Carosello Ski ha pensato di sopperire alla mancanza di neve sulle nuove piste col trasporto in elicottero di tonnellate di neve artificiale. Al di là dei costi sostenuti, quanto è ritornato a livello di pubblicità è stato devastante: “Marketing disperato” lo ha definito la SAT. I siti internet di montagna di tutta Italia hanno riportato la notizia e i filmati dei voli. Sono migliaia i messaggi di indignazione. E intanto, nel fondovalle, il comune di Folgaria e la Provincia non sono nemmeno in grado di avviare il trasporto persone con il tradizionale skibus.

Da Folgaria al Tesino, da Pinzolo a Panarotta, non solo le società impiantistiche hanno bilanci in sofferenza, ma impongono anche scelte infrastrutturali pesanti, che stravolgono ogni logica urbanistica, ogni ragionamento sui reali bisogni del vivere nelle nostre vallate.

Nelle località a turismo maturo, Fassa e Campiglio, si investe invece in sola immagine, basata sulla quantità: chilometri di piste, numero di impianti, di posti letto. Senza accorgersi che con l’avanzare di questa traumatica crisi i contraccolpi sull’economia saranno più pesanti che altrove e assai costosi per le casse pubbliche. E il territorio trentino rimarrà segnato irreversibilmente, poiché ogni altra scelta dello sviluppo nelle periferie dovrà raccordarsi con queste imposizioni. Senza aver riflettuto, su tempi lunghi, sul futuro della nostra montagna.