A proposito del nuovo vescovo.
Al molto (non tutto) da condividere dell'analisi di Pier Giorgio Rauzi sul "dopo Sartori", pubblicata nei due ultimi numeri di Questotrentino, potrebbe essere aggiunto un capitolo scritto dal "popolo di Dio" che è in Trento, come si potrebbe dire usando il linguaggio conciliare. Ma anche, più in largo, dall'opinione partecipante agli eventi dell'epoca.
Su L'Adige don Marco Morelli ha scritto di "un tempo per tacere " e di un "tempo per parlare", citando l'Ecclesiaste, procedendo quindi con domande incalzanti. Vorrei precisare: adesso è tempo soprattutto di parlare.
E' abbastanza comprensibile che sulle successioni vescovili ci sia uno stile di comportamenti per nulla assimilabili a quelli mondani e politici, dal Quirinale in giù. Quanto esso derivi da sistema di promozione, dalla "difesa arcigna delle tradizioni" osservata da Rauzi, oppure dalla confluenza di eventi variamente "ispirati", non mi pare sia adesso da approfondire. Il dato è che un diritto d'opinione nella Chiesa è stato introdotto sin dai tempi di Pio XII ed è dire qualcosa. E' stato anche consolidato dal Vaticano II nella "Gaudium et spes", con argomenti ed esortazioni. Non ne è seguita molta chiarezza nelle modalità d'uso, così che l'iniziativa è stata molto spesso (quasi sempre) demandata ad addetti ai lavori, per comodità, incultura o smodato ossequio alle convenzioni curiali.
Nel caso trentino, diventerebbe quindi interessante un'ipotesi di opinione parlata, che vada oltre l'impostazione abbastanza ricorrente e piuttosto angusta del vescovo "trentino", pur tuttavia senza escluderla. Occorrerebbe superare il discorso del "chi" per addentrarsi in quello del "cosa", una indicazione insomma delle attese possibili, intorno al vescovo come "figura" inserita nell'identità trentina di storia ed esigenze, a delineare obiettivi di comunità ed una via di percorso, dopo una stagione intesa soprattutto alla "normalizzazione". Ne consegue che la provenienza del nuovo vescovo potrebbe risultare quasi ininfluente, ove fosse consolidato e compreso il discorso delle "attese" nell'azione pastorale utile al tempo e al territorio. Una qualche tendenza al sogno potrebbe quindi configurare qui e subito una assemblea della cristianità locale, anche spontanea, comunque illuminata dalla pacatezza dell'intelligenza e della prospezione. capace di elaborare una parola prima (certo non ad esigere una parola ultima), di fatto indicativa di obiettivi.
Tra questi, ad integrazione vitale delle prospettive eminentemente pastorale del Vaticano II, anche quella specifica propria della terra, un contributo ai temi della convivenza in regione, nella fase della terza autonomia prossima a definizione anche istituzionale. Su questo versante specifico, sarebbe da immaginare, a livello tutto prepolitico e di testimonianza, una traiettoria di principi sulla convivenza derivati sulla sensibilità cristiana, proposta addirittura in tre lingue tra Trento, Bolzano e Bressanone, concertata in dialogo, nella continuità con le testimonianze che furono di Gargitter e Gottardi. nei tempi dinamitardi. Potrebbe perfino sorreggere l'azione degli eletti del 22 novembre. Una assemblea delle "attese" andrebbe cosi a ragionare su un documento complessivo non un'enciclica - utile anche per l'esterno, da destinare quindi anche all'alto livello delle eminenze e delle curialità, in vista della decisione ultima.
Non basta più quindi dire che la "figura" del vescovo è già tutta scritta nel canone 376 del codice di diritto canonico. Sarebbe interessante anche precisare quello che deriva dall'esperienza compiuta: l'attesa per una paternità in dialogo e in accompagnamento, che potrebbe costituire la base di una autorità autorevole. Un poco al contrario del silenzio corrucciato all'epoca del caso Donini. Un modo di sostenere l'idea che oggi alla Chiesa non serve più diritto, ma meno diritto e più libertà di esperienze spirituali ed ecclesiali, dentro un'esperienza annunciata e partecipata.
In aggiunta a Rauzi, mi è parsa utile la precisazione sul ruolo propositivo, non meramente critico, della "parola". Forse appena un sogno nel lungo autunno.