L’A.N.P.I. e Pansa
L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, ANPI, ritiene opportuno formulare una valutazione dei contenuti che compaiono nell’ultimo libro del giornalista Giampaolo Pansa, La Grande bugia, considerata la diffusione mediatica che esso ha avuto e affinché si conosca l’opinione di coloro che, oltre 60 anni fa, alla lotta di Liberazione nazionale hanno direttamente partecipato.
E’ il caso di considerare in primo luogo le cosiddette ‘bugie’ che a detta dell’autore concorrerebbero a creare la ‘grande bugia’, che investirebbe tutta la Resistenza, vale a dire il percorso doloroso e drammatico attraverso il quale gli Italiani, dall’8 settembre 1943 alla fine della seconda guerra mondiale, si batterono contro il nazismo ed il fascismo aprendo la strada ad una nuova Italia democratica.
Il nucleo essenziale del pensiero di Pansa consiste nell’affermare che i dirigenti e i militanti della componente comunista che partecipò come forza essenziale alla conduzione della Resistenza, avrebbero inteso la lotta contro i nazisti che erano divenuti occupanti spietati dei nostro Paese e contro i fascisti di Salò che si erano posti al loro servizio, solo come una prima fase alla quale avrebbe dovuto seguire, con la forza delle armi, l’instaurazione di un regime autoritario di stampo sovietico anziché una democrazia parlamentare. Essenzialmente per questo la Resistenza, così come rappresentata dalla cosiddetta “vulgata antifascista”, sarebbe una bugia.
Si tratta, con evidenza, di affermazioni prive di fondamento storico, in quanto contraddette dallo svolgimento dei fatti di quell’epoca. In realtà la componente comunista della Resistenza, così come il Pci, hanno sempre assunto decisioni volte all’instaurazione di un sistema politico pluralistico e democratico di tipo occidentale e non certo di una qualsiasi forma di dittatura proletaria. Ciò è dimostrato dalla loro partecipazione ai Comitati di Liberazione Nazionale sorti dopo l’8 settembre 1943 in tutta l’Italia occupata con il compito di riunire in uno sforzo unitario i partiti politici antifascisti (liberale, d’azione, democratico-cristiano, socialista, comunista); dalla loro partecipazione al secondo governo Badoglio e ai governi Bonomi che ebbero vita nell’Italia liberata dei Sud; dal loro concorso all’elaborazione del percorso istituzionale attraverso il quale, particolarmente dopo la liberazione di Roma avvenuta nel giugno 1944, fu progettato e attuato il mutamento della forma istituzionale dello Stato da monarchia a repubblica; e infine dal loro contributo al progetto costituente e alla formulazione della nuova Costituzione repubblicana sotto la guida presidenziale del comunista Umberto Terracini. Non senza ricordare che tutti i partiti antifascisti, compresi i comunisti, furono d’accordo nell’attribuire il comando unitario del Corpo Volontari della Libertà (CVL) al generale Raffaele Cadoma, ufficiale di carriera, a-politico, designato congiuntamente dal governo del Sud e dagli alleati anglo-americani.
Per altro verso, tutti noi rappresentanti dell’ANPI siamo in grado di ricordare e testimoniare che oltre 60 anni or sono facemmo la scelta di passare alla lotta armata contro l’occupante tedesco e contro il secondo fascismo spinti non dalla prospettiva di instaurare una dittatura comunista, bensì interpretando l’aspirazione semplice e profonda alla libertà e alla pace di un popolo stanco e prostrato dalla guerra, che aveva aperto gli occhi sulla reale essenza dei fascismo.
La storia può essere costruita e scritta solo sui fatti realmente accaduti che sono quelli sopra richiamati e non, come fa Pansa, sulle irrealizzate intenzioni che possono esservi state di alcuni dirigenti o militanti comunisti.
Di problematica conciliazione risulta poi l’iniziale affermazione dell’autore - “Rammento che la Resistenza è, da sempre, la mia patria morale” - con un’opera divenuta da subito vessillo di coloro che coltivano antiche nostalgie.
La metodologia della ricerca impone che le intenzioni dei soggetti storici siano messe in relazione e interpretate alla luce della temperie generale di specifici periodi, quali gli anni dei dopoguerra e della Guerra fredda, caratterizzati dall’amnistia di Togliatti, l’oblio sul collaborazionismo, la progressiva riabilitazione delle persone compromesse col regime, l’insabbiamento e archiviazione dei procedimenti giudiziari a carico dei responsabili delle stragi naziste, i processi penali e forme di discriminazione politica e sociale a carico degli ex partigiani. Addebitare allo spirito resistenziale la responsabilità morale di violenze e omicidi avvenuti in un contesto storico decisamente mutato rispetto agli anni precedenti a causa della rottura dell’unità antifascista, significa ignorare la volontà di liberare il Paese dal nazifascismo che accomunò tutte le forze patriottiche, fossero esse comuniste o cattoliche, liberali o monarchiche.
Secondo Pansa le altre “bugie” riguarderebbero il consenso popolare al fascismo che fu grande e maggioritario anche dopo l’entrata in guerra dell’italia; il numero effettivo dei partecipanti alla lotta partigiana che sarebbe stato inferiore a quello celebrato dalla vulgata antifascista; l’ampiezza della cosiddetta “zona grigia’ di coloro che non si schierarono a favore di nessuna delle parti in lotta, che sarebbe stata superiore a quanto generalmente ammesso dagli storici; il sostegno alla Resistenza delle popolazioni contadine, che a sua volta sarebbe stato minore di quanto celebrato dall’antifascismo; il grado di coesione fra le varie componenti della Resistenza armata, che spesso sarebbe venuto meno con conseguenze anche tragiche.
Tutte queste affermazioni sono affidate a valutazioni approssimative, ignorando che almeno da vent’anni la storiografia più accreditata ha approfondito criticamente ciascuno di tali argomenti fornendo dati e valutazioni esenti da ogni amplificazione retorica. A fronte di queste problematiche l’autore si presenta come un cavaliere con la lancia in resta che tende a sfondare porte da tempo aperte.
Gli storici non hanno infatti aspettato le sollecitazioni di Pansa per operare seri studi sul biennio 1943-’45. L’aspetto più anacronistico de “La grande bugia” è che il suo autore sembra avere come riferimento una produzione storiografica ormai superata e forse da lui poco o per nulla conosciuta. Basti osservare come alcune tra le opere più significative e documentate di questi ultimi anni (da “Una guerra civile” di Claudio Pavone a “La repubblica delle camicie nere” di Luigi Ganapini, da “La Resistenza in Italia” di Santo Peli alla copiosa produzione saggistica. della rete degli Istituti storici della Resistenza - abbiano sviscerato, con rigore scientifico, temi e vicende che Pansa presenta come inedite e mai trattate.
Un’ultima osservazione. Noi “uomini di marmo”, come Pansa ci definisce, siàmo oggi qui a discutere e confrontarci con lui. Se avessero vinto “loro’, da tempo le nostre bocche (e anche quella di Pansa probabilmente) sarebbero state tappate. Per sempre.
Associazione Nazionale Partigiani d’Italia