Postilla a “Paris v/s Ratzinger”
Se le parole hanno un senso, cosa significa definire Dio, la libertà e l’immortalità come "postulati della ragione pratica, senza la quale non è possibile alcun agire morale", se non che senza Dio non c’è etica? E che quindi l’umanità tutta, per vivere una civile convivenza, deve sottomettersi a Dio e ai suoi rappresentanti?
Caro Paris, cito la sua risposta (Ratzinger-Paris 2-0) al mio breve appunto sulla questione Ratzinger, etica e ragione, non per fare polemica fine a se stessa, ma per cercare di chiarire il senso del mio intervento.
La prima parte della sua risposta ("senza Dio non c’è etica") forse esplicita il pensiero di Ratzinger, ma non quello di Kant (a cui Ratzinger rende omaggio per cercare un punto in comune con il cosiddetto pensiero laico): per Kant la morale ha la supremazia e la priorità sulla religione.
La seconda parte della sua versione del Ratzinger-pensiero ("l’umanità tutta, per vivere una civile convivenza, deve sottomettersi a Dio e ai suoi rappresentanti") non coglie il bersaglio sia rispetto a Kant che a Ratzinger. La Chiesa cattolica ha sempre osteggiato la tendenza a fare della morale un comando imperscrutabile della divinità e dei suoi sacerdoti. Per la Chiesa la morale è oggetto di analisi razionale (e non è un caso che fior di razionalisti atei abbiano alle spalle studi in severe istituzioni educative cattoliche).
Che poi i preti (come del resto gli psicologi, i sociologi, i sessuologi...) ambiscano da sempre a ritagliarsi una specie di monopolio professionale come interpreti di questa morale razionale, è umanamente comprensibile...
Ma questo non cambia la sostanza della questione: oggetto della critica di Ratzinger non è chi, come Ettore Paris, sostiene di poter sentire l’obbligatorietà dell’etica senza bisogno di rendere omaggio a Dio, ma coloro che invece sostengono che non c’è una morale valida per tutti, perché tutto è relativo mutevole o transitorio.