Lo tsunami e il futuro del mondo
Non sono fra quelli che si sono commossi perché la metà degli italiani che posseggono un telefonino (soprattutto giovani) hanno inviato un euro ciascuno per i soccorsi alle vittime del maremoto.
Intanto considero triste che il 50% delle persone alle quali era stato rivolto l’appello, dunque una grande massa, si sia rifiutato persino di schiacciare cinque tasti e di elargire ai miseri una minuscola parte dei soldi spesi ogni giorno per chiacchiere, inutili se non peggio. Ma poi, anche se è vero che i soldi comunque raccolti sono importanti per aiutare (realmente, spero) qualche popolazione devastata da una nuova miseria, mi turba l’dea che si possano esorcizzare problemi e grida di dolore o di allarme (anche per il nostro futuro) attivando quasi distrattamente un ingranaggio per il dono di una briciola di pane. E’ una specie di automatismo tecnologico di un’elemosina fatta per togliersi di torno un molesto accattone.
Ma non parlo soltanto degli aiuti privati. Il cerchio dell’egoismo dominante nelle terre del benessere si chiude quando alla pochezza della capacità di condivisione dei singoli si aggiunge la miserabilità degli aiuti statali. Ha scritto l’autorevole The Guardian: "Il governo USA ha stanziato per le vittime dello tsunami 350 milioni di dollari, e il governo inglese 96 milioni. Gli Stati Uniti. hanno sinora speso148 miliardi di dollari nella guerra in Iraq, mentre gli inglesi ne hanno speso11,5. La guerra in Iraq dura da 656 giorni. Lo stanziamento USA per lo tsunami equivale dunque a ciò che essi spendono in un giorno e mezzo in Iraq. Lo stanziamento inglese equivale al prezzo di cinque giorni e mezzo di operazioni belliche".
Di più, i sette cosiddetti Grandi, riuniti a Londra, non sono riusciti ad accordarsi sulla cancellazione del debito estero dei paesi colpiti da maremoto (misura già di per sé insufficiente) a causa del netto rifiuto del governo americano. Anche la miseria del cosiddetto Terzo Mondo può giovare alla gloria di Bush e del suo impero…
E l’Italia? L’Italia, invece di onorare gli impegni presi a suo tempo in sede Onu, secondo i quali gli stati dovrebbero destinare alla cooperazione internazionale lo 0,47% del proprio bilancio, offre la desolante realtà di uno scarso 0,11%. Quando Berlusconi e Fini si affacciano agli schermi del grande Circo massmediatico della Bontà per informarci dei prodigi della solidarietà italiana, si guardano bene dall’indicare le dimensioni di quella che è invece sordida avarizia, l’abbandono di grandi sacche di povertà alle quali avevamo promesso aiuti.
Lo tsunami non sarà stato soltanto una terribile catastrofe se le sue dimensioni riusciranno a farci capire alcune scomodissime verità: che la Madre Terra violentata da uno sfruttamento selvaggio, non può che nutrire i suoi figli con un latte avvelenato dal sangue della disperazione; che è dalla condizione dei poveri che si definisce una civiltà; che questa condizione è responsabilità di tutti, e il dovere della solidarietà non va evocato soltanto davanti alle apocalissi; che solidarietà non può voler dire semplicemente elemosina: Paolo VI ci ha ricordato che la giustizia è la misura minima della carità e papa Giovanni ci ha insegnato che il nostro superfluo va calcolato sui bisogni altrui; infine che la violenza di certe epidemie e quella del terrorismo ci mostrano che è del tutto illusorio pensare di potersi chiudere in fortezze inespugnabili.
Non può esserci una vera realpolitik che non sia una politica della ragione e che, in quanto tale, non lavori a spostare l’asse della vita internazionale dalla fame di possesso e di potere a quella di una possibilità di vita per tutti i popoli della Terra. Come non capire che, altrimenti, è l’intera umanità ad essere mortalmente minacciata? Non un pericoloso bolscevico ma Francis Fukuyama, consulente del Pentagono e assertore, qualche anno fa, della fine della storia perché il mondo aveva, secondo lui, trovato un suo assetto accettabile e dunque definitivo, oggi descrive a questo modo la situazione planetaria dopo la crisi del bipolarismo e degli stati-nazione: "Un’accozzaglia eterogenea di multinazionali, organizzazioni non-goverrnative, organizzazioni criminali, gruppi terroristici e così via": La salvezza che egli propone è ancora una volta affidata alla forza degli stati e, in particolar modo, degli Stati Uniti.
La realtà, io credo, è che l’unica salvezza proponibile è quella dell’utopia, perché ormai l’utopia coincide con la ragione. I governanti, i partiti, il modello consumista, cancellando o riducendo a entità simboliche la fraternità umana in nome di un benessere materiale da incrementare incessantemente nei paesi già privilegiati, preparano guerre sempre più crudeli, distruzioni del creato, insicurezza per i nostri figli, problemi di terribile entità per i nostri nipoti.
E’ necessario far crescere questa consapevolezza e la volontà di liberarsi dalla schiavitù del materialismo genocida del Mercato. Davanti alla ferocia dell’egoismo imperiale e al nanismo politico dei nostri partiti, cui sembra mancare gni sensibilità a proposito delle comuni responsabilità planetarie è necessario che continui a crescere di dimensioni numeriche ma anche di progettazione creativa il movimento di chi pensa - e vuole - che un altro mondo sia possibile.
Famiglie, scuole, comunità di fede, associazioni culturali ma anche legami d’amore o d’amicizia, reti di libera informazione, gruppi di solidarietà devono diventare i luoghi di una speranza difficile ma testarda: la quale scopre nel suo cammino che la vita è bella quando si apre a essere dono.