Il Trentino “in pillole”
Il boom di vendita degli psicofarmaci fotografa uno scenario preoccupante, in un’isola felice qual è il Trentino. Lo dice un rapporto appena sfornato, curato dall’Azienda Provinciale Sanitaria. Se scodelliamo le cifre e le confrontiamo con la media nazionale, scopriamo qualche dato curioso. Ad esempio: i trentini ricorrono ai medicamenti per l’anima, quali ansiolitici, ipnotici (sonniferi) e sedativi, in misura nettamente superiore rispetto ai connazionali, sebbene il trend dal 1997 al 2003 sia in lento calo (vedi grafico).
Ma va alla grande anche il mercato degli antidepressivi, che registra una bella impennata, in linea peraltro con il dato nazionale (vedi grafico sottostante). E se il consumo delle pillole anti-tristezza lievita con l’avanzare dell’età, è il sesso debole ad utilizzarle in misura doppia rispetto ai maschi, specie nella fascia fra i 55 e i 64 anni. Il primato spetta però agli anziani residenti nelle RSA. A fronte di ciò va sottolineato, come rileva il sondaggio, che le case di riposo accolgono una popolazione in condizioni critiche e spesso non autosufficienti.
Detto questo, non è facile vedere chiaro sulle cause del boom di certi psicofarmaci in Trentino, poiché le ricerche in materia latitano. Il perché, per ora, si può solo ipotizzare. Ad esempio - commenta il prof. Pinkus - "sarebbe importante verificare se il loro uso sia l’espressione adulta di ciò che per gli adolescenti rappresenta l’alcol. Io ho l’impressione, in ogni modo, che il fenomeno sia da collegare alla competitività di vita che le trasformazioni sociali hanno imposto e che sentiamo molto anche in Trentino".
Tirando le somme, va però aggiunto che anche da noi molti degli psicofarmaci acquistati non vengono poi effettivamente ingeriti.
Il problema, ci dice il dott. Reitano, che opera nella seconda Unità operativa di psicologia, "è che qui in Trentino c’è una gestione molto mutualistica e familiare del medico condotto: tu chiedi e io ti do. E’ chiaro, ad esempio, che quando c’è una crisi d’ansia il medico di base può intervenire consigliando un ansiolitico. Però non dice al paziente la seconda parte, ossia: vai al servizio di psicologia. Così il farmaco è preso a proprio piacere, con dosaggi del tutto personali ed inefficaci; oppure rimane nelle borsette e non si utilizza".