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QT n. 2, febbraio 2011 Monitor: Arte

Antiche Madonne d’Abruzzo

Immagini da un crocevia medievale

Nell’agosto del 1268, in una località dell’Abruzzo vicino a Tagliacozzo, le armate di Carlo I d’Angiò, fratello del re di Francia, posero fine al dominio degli Svevi sull’Italia meridionale, sconfiggendo l’ultimo discendente di Federico II, l’imperatore che aveva dato un’impronta di spiccata innovazione culturale al Regno di Sicilia. È nell’arco di tempo in cui avviene questo ricambio di dominazione straniera, e cioè tra la fine del XII e l’inizio del XIV secolo, che si colloca la mostra “Antiche Madonne d’Abruzzo” (Castello del Buonconsiglio, fino al l° maggio), rara e preziosa testimonianza di un contesto di cultura visiva medievale che viene significativamente influenzato dal gusto dei dominatori del momento, ma non espropriato di una propria più lunga tradizione, che trae linfa da diverse radici.

Rimasta fino a pochi anni fa poco nota al di fuori di una cerchia di esperti che ne andavano scoprendo l’importanza, quest’arte lignea e pittorica abruzzese viene proposta ora al grande pubblico, dopo il terremoto del 2009, attraverso un’intelligente operazione, forse difficilmente immaginabile in circostanze “normali”: una scelta di immagini della Madonna (tredici sculture e quattro tavole dipinte) salvate da edifici pericolanti, e provenienti da abbazie e piccole chiese del territorio.

Osservate al di fuori del proprio contesto originario, queste figure sono comunque più forti dello spaesamento cui sono costrette, emanano ciascuna una propria distinta forza. Ed è piuttosto sorprendente avvertire come un tema iconografico unico (la Madre col Bambino), che obbedisce a rigorose prescrizioni relative agli attributi teologico-dogmatici dei personaggi, non impedisca una risposta ogni volta diversa di questi artefici, per lo più sconosciuti (solo un paio di opere recano il nome dell’autore).

Negli esempi più antichi, come la Madonne di Lettopalena e di Castelli, pur molto diverse tra loro, l’accento è posto sulla dignità regale, che permane anche quando sono scomparsi la corona e il trono: ciò che viene esaltato è la missione divina della Vergine, piuttosto che il lato sentimentale della sua maternità. Ma in opere successive, come quelle di Pizzoli e di Penne, prendono un preciso rilievo le espressioni dei volti e i gesti, la relazione umana tra madre e bambino, che va in qualche modo a intrecciarsi con la verità teologica dell’Incarnazione. Del resto, il tema della natura anche umana del Cristo, oggetto di furenti dispute teologiche nei primi secoli del cristianesimo, risolte con il concilio di Efeso, venne più avanti a tradursi nel modello figurativo della Madonna che allatta (secondo una figura di accertata matrice medio-orientale precristiana: Iside che allatta Osiride) destinato ad avere una larga accoglienza popolare (insieme al culto delle varie sante “galattofore”), che possiamo qui osservare nelle tavole dipinte, dove più evidente è l’influenza bizantina anche sul piano stilistico.

L’aspetto che colpisce (ben evidenziato da Marta Vittorini nel catalogo) è la fusione tra la nobiltà e l’ufficialità dell’iconografia e qualcosa che, non solo nelle opere meno colte, è in grado di parlare un linguaggio consono alla devozione popolare.

Ci troviamo insomma dentro un crocevia culturale: il sostrato costituito dalla tradizione di intagliatori e scultori abruzzesi (che operano generalmente per la committenza degli ordini monastici ma sono capaci di intercettare la domanda della religiosità popolare) da un lato si alimenta di modelli figurativi provenienti dall’Oriente cristiano, che riaffluiscono nell’Italia meridionale non più solo sulla scia degli scambi commerciali, ma dei pellegrini e dei partecipanti alle Crociate; dall’altro dà spazio via via maggiore ai modelli transalpini. Il cambio di dominazione, dagli Svevi agli Angiò (che celebrarono la vittoria proprio con la fondazione di una chiesa sul luogo della battaglia finale, aprirono cantieri per monasteri e abbazie, chiamarono maestranze d’Oltralpe, divisero il territorio tra i nobili conquistatori) ebbe l’effetto di espandere una committenza di gusto francese, imprimendo una spinta a quell’influenza del gotico, che già aveva iniziato a manifestarsi nel periodo svevo. L’elegante, aristocratica, ma non per questo fredda “Madonna di Fossa”, ne è qui la testimonianza più evidente.

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