Statistiche e qualità della vita
Si vive meglio a Trento o a Reggio Emilia? Dipende...
Ci sono tre tipi di bugie, diceva Benjamin Disraeli: le bugie, le menzogne e la statistica. Nell’ultima categoria rientra la “Qualità della vita”, dossier pubblicato come di consueto in chiusura di 2009 dal Sole 24 Ore. L’intento è misurare la vivibilità delle 107 province italiane (quattro in più rispetto al 2008) attraverso una serie di dati statistici (vedi box). La classifica premia Trieste (già vincitrice nel 2005), ma anche Trento e Bolzano (rispettivamente quinta e ottava, in linea con i piazzamenti degli ultimi anni). Nonostante la scelta delle variabili risponda a criteri rigorosamente scientifici, i risultati lasciano perplessi.
Da una parte, non sorprende la clamorosa spaccatura che divide il Paese: da Benevento (all’82° posto) in giù, fino ai fanalini di coda Napoli e Agrigento, le ultime venticinque piazzate sono tutte città del sud; mentre, viceversa, i primi venti posti sono tutti per il centro-nord, con l’epicentro della vivibilità fissato nel triangolo Trieste, Belluno, Sondrio. Ma, dicevamo, molti risultati non convincono. Un dato che lascia stupiti, ad esempio, è quello relativo alle grandi metropoli. Quest’anno la “qualità della vita” migliora a Milano (dal 24° al 19° posto) e Roma (dal 28° al 24°), peggiora leggermente a Firenze (dal 12° al 14°), ma in generale, pur escluse dalla top ten, le grandi metropoli occupano buone posizioni in classifica. Spesso scavalcano perfino città che hanno un’ottima nomea in quanto a qualità della vita, rovesciando le tradizionali caratteristiche del beau vivre italiano (buon cibo, ritmi rilassati, paesaggi incantevoli). Tanto per fare un esempio, l’industriale Milano da bere è saldamente avanti alla grassa e dotta Romagna.
Milano ha certo i suoi pregi. Tuttavia, non sono certo che sotto il Pirellone si viva meglio che a Padova (37°) e Ferrara (41°). Anche Roma è una città magnifica, ma i miei amici capitolini certo non pensano che si viva meglio sulle rive del Tevere piuttosto che, tanto per dirne una, a Reggio Emilia (29°). La sensazione è che variabili come il traffico, il costo della vita e il ritmo di vita finiscano per essere sacrificate sull’altare dei dati economici. Gli economisti fanno notare che è una questione di scelte e che, volendo stilare una classifica scientifica, è inevitabile considerare il PIL anziché la qualità del cibo, o il tasso di consumo anziché la dolcezza dei paesaggi. Già nel 1968 Robert Kennedy diceva che “il Pil misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”.
Dove ci piacerebbe vivere?
In questi termini è chiaro, dunque, che la classifica in questione non misura tanto la qualità della vita (reale o percepita), quanto piuttosto l’efficienza ed il benessere delle singole città. Che questi si traducano in qualità della vita, non è automatico come potrebbe sembrare. Prendiamo l’esempio scandinavo: questo tipo di classifica applicata agli Stati finirebbe certamente con il premiare Svezia, Danimarca, Norvegia, Finlandia e tutti gli altri Paesi dove gli stipendi sono alti, c’è grande sicurezza sociale, pochi sono i crimini e c’è un grande rispetto ambientale. Tuttavia, qualcuno potrebbe notare che negli stessi Paesi il numero dei suicidi è il cinque volte più alto rispetto alla media europea e la depressione è molto più diffusa. D’altra parte, non servono studi tanto profondi per capire che tale criterio di misurazione per la qualità di vita è piuttosto effimero: a discapito di tutti gli indicatori di cui sopra, molti di noi preferirebbero vivere in Brasile piuttosto che in Finlandia, in Spagna anziché in Groenlandia. Il punto è che la scelta, ancora una volta, è determinata dal ritmo di vita, dal clima e dal cibo piuttosto che dai livelli di produttività economica e delle pensioni.
Trento e Bolzano: un paradiso?
Una riflessione del genere può servire anche nel caso delle nostre province. Trento e Bolzano sono rispettivamente quinta e ottava, in linea con i piazzamenti degli ultimi anni. I politici esultano: tali piazzamenti sono motivo di vanto. Tuttavia, siamo davvero sicuri che le nostre città siano così meritevoli? Prendiamo Trento. All’università, gli studenti “foresti” continuano a lamentarsi della nostra città. “Per carità, - dicono tutti - il centro storico è incantevole, e le persone sono gentili. Però la sera non c’è mai nulla da fare e gli spazi universitari sono ridotti all’osso”. Chi torna a Trento dopo un periodo di studi in altre città italiane, o all’estero, nota immediatamente la differenza. I giovani trentini si consolano pensando che, in fin dei conti, Trento resta pur sempre una città ideale per chi cerca una vita tranquilla e sicura, per chi ha famiglia, per chi è più avanti con l’età. Tale prospettiva giustifica il piazzamento di Trento e di Bolzano, ma tralascia, ad esempio la mentalità ancora chiusa e provinciale, un poco bigotta ed impreparata. Inoltre, tornando all’esempio scandinavo, anche a Trento si soffre particolarmente di depressione (la provincia trentina paga fortemente l’altissimo tasso di suicidi delle valli) e alcolismo.
L’altra classifica
In effetti, non è un caso che in un’altra classifica, pubblicata nel settembre 2009 sempre dal Sole 24 Ore in collaborazione con il Centro Studio Sintesi, le due province trentine risultino ridimensionate, se non addirittura con le ossa rotte (Trento 38°, Bolzano 80°). Si tratta di una classifica poco ortodossa e niente affatto scientifica (d’altronde, alla luce di quanto detto sino ad ora, pare ovvio che la statistica, scientifica o meno, va presa cum grano salis), un gioco senza pretese di serietà, basato su indicatori nuovi (vedi box), il cui focus è rivolto ai rapporti personali e alle attività individuali piuttosto che al tasso di ricchezza; in altre parole, al “benessere interno lordo”. Si tratta di un esperimento interessante, che sembra più in linea con la percezione tradizionale nelle province italiane (il Nord industriale che macina ricchezza è scalzato dai primi posti, occupati dal triangolo Romagna-Marche-Toscana; il Sud, invece, si conferma in fondo).
Il divario, rispetto alle classifiche del PIL, è netto; addirittura abissale nel caso di Trento e Bolzano, che perdono più posizioni di tutti assieme a Roma. Difficile spiegare questo tracollo: Trento e Bolzano pagano soprattutto la scarsa partecipazione alle urne e alla vita culturale. Sicuramente le valli, in questo specifico caso, sono motivo di difficoltà: qui sono scarse la partecipazione politica, il tasso d’iscrizione all’università e la spesa individuale per la cultura in senso ampio. I dati sono, ancora una volta, piuttosto fallaci. Ad esempio, nelle valli come in città, in fondo, ci sono svariati centri di cultura; ma nella classifica non viene contata l’offerta pubblica, quanto esclusivamente la spesa privata. Ingannevole è anche il dato relativo alla partecipazione politica, in quanto vengono prese in considerazione solo le ultime elezioni europee.
Il chimico Hans Kahn diceva che i politici usano la statistica allo stesso modo di come gli ubriachi usano i lampioni: non per l’illuminazione, ma come supporto. In effetti, fino ad ora, tutte le classifiche sulla qualità della vita hanno rappresentato un utile mezzo politico per i nostri amministratori. L’ultima classifica citata va nella direzione opposta e potrebbe spingere ad una riflessione sui problemi delle nostre province, quelli citati nel paragrafo precedente: città poco dinamiche, con poche opportunità per i giovani e un’offerta culturale che c’è ma spesso è poco valorizzata, caratterizzate da una mentalità ancora chiusa e provinciale.
Per valutare la “qualità della vita”
Il dossier “Qualità della vita” del Sole 24 Ore, pubblicato al termine di ogni anno, prende in considerazione sei parametri: tenore di vita; affari e lavoro; servizi, ambiente e salute; ordine pubblico; popolazione; tempo libero. Questi sono misurati attraverso una serie di indicatori quali, ad esempio, tasso di consumo per famiglia, livello delle pensioni, pratica e velocità della giustizia, numero dei reati e delle infrastrutture sportive, aspettativa di vita.
Per valutare il “benessere interno lordo”
Nella classifica elaborata dal Sole 24 Ore assieme al Centro Studio Sintesi figurano otto parametri: istruzione, partecipazione alla vita politica, rapporti sociali, insicurezza, condizioni di vita materiali, ambiente, attività personali e sanità. Questi sono misurati attraverso indicatori quali il tasso di iscrizione universitaria, il tasso di partecipazione alle urne, il numero di associazioni di volontariato, il numero di furti, la spesa pro capite per spettacoli e il tasso di CO2.