L’impero Iran: quale futuro?
Un Paese che aspira a recuperare l’antica grandezza
Si parla sempre più dell’Iran, almeno da quando con l’ascesa di Ahmadinejad si sono materializzate nuove paure: l’atomica iraniana, la minaccia a Israele. In queste settimane però ha preso piede una nuova speranza: l’Iran avrebbe accettato, con i buoni uffici della Russia dell’amico Putin, di porre il suo programma nucleare sotto il sostanziale controllo dell’AIEA. Si arriverà alla firma dell’accordo?
Probabilmente sì, anche se forse nessuno è convinto della sincerità dei contraenti: chi garantirà ad esempio che l’Iran non continui con programmi segreti paralleli a quelli ufficiali? Chi garantirà che Israele, scettico sulle buone intenzioni di Teheran, non decida un attacco preventivo? USA, Russia e Europa hanno dei dubbi, ma sembrano interessati a chiudere presto la partita con l’Iran, o almeno a trovare una soluzione che permetta di attutire la tensione per un po’ di tempo. Con la polveriera afghano-pakistana davanti, non è il caso di tenere aperto anche il fronte con l’Iran, paese rivelatosi fondamentale per gli USA nella “pacificazione” dell’Irak e dal quale ci si attende magari un aiuto discreto per affrontare l’incubo dei Taliban. Ora, questa esigenza pressante dell’Occidente si sposa con la vecchia aspirazione dell’Iran a contare di più, a vedersi riconosciuto un ruolo di potenza regionale, a ben vedere in perfetta continuità con la politica estera dell’ultimo scià, armato fino ai denti dagli americani che ne fecero per decenni la loro sentinella sul Golfo.
Per capire l’Iran di oggi occorre in effetti guardare indietro nel tempo. L’Iran non è un paese, una nazione, è sempre stato un impero. Nell’antichità le armate persiane si spinsero a ovest sino in Grecia con Dario e in Egitto con Cambise, a est sino alla valle dell’Indo e a nord sino alla Transoxiana (attuale Uzbekistan, dove è Bukhara, nel medioevo la culla delle lettere persiane). Dal XVI al XVIII secolo, con la dinastia safavide, l’Iran trattava alla pari con gli Ottomani e con i Moghul, e mandava ambasciatori a Venezia. Di questo antico impero plurietnico e pluriconfessionale l’attuale Iran conserva tuttora l’impronta: circa il 30% della popolazione è turco-azero o turcomanno e altre minoranze (curde, armene, siro-cristiane, ebraiche, arabe, beluchi ecc.) si prendono forse un altro 10 %. Ma, soprattutto, l’Iran conserva intatta l’antica vocazione imperiale a proiettarsi verso il Mediterraneo, concretizzatasi negli ultimi vent’anni con l’egemonia su movimenti islamisti che imperversano tra Gaza e il Libano, passando per la Palestina. Ne sa qualcosa l’esercito di Israele, scontratosi con le milizie di Hamas durante l’ultima guerra libanese.
Contemporaneamente l’Iran ha stretto solide alleanze con Russia e Cina nella SCO (Shanghai Cooperation Organization); ha fatto accordi di fornitura di petrolio con la Cina che, preoccupata del controllo americano sul petrolio arabo, esplora tutte le alternative possibili; e con l’India (una pipeline collegherà l’Iran all’India, passando per quel Beluchistan ch’è teatro di recenti attentati anti-iraniani cui non sarebbe estraneo il Pakistan, irritatissimo dal protagonismo di Teheran); infine, l’Iran fa i dispetti agli USA stringendo la mano a Chavez e a Castro.
È un paese insomma che sta pensando in grande al proprio futuro, che opera a 360 gradi per vedersi riconoscere urbi et orbi questo ruolo. E la presenza nello scacchiere di due potenze atomiche, Israele e Pakistan, lo induce a bruciare le tappe: la sua politica di grandeur lo esige. L’accordo forzato con l’AIEA in quest’ottica è forse solo una battuta d’arresto. Il confronto con Israele è invece destinato a acuirsi. Sembra un paradosso storico: Israele si trova oggi in rotta di collisione con l’erede dell’impero che lo liberò dalla schiavitù di Babilonia con re Ciro il Grande, che per questo nell’Antico Testamento è il “pastore” di Jahvè (Isaia, 44, 28).
Tradizionalmente i rapporti tra Persiani e Ebrei sono sempre stati più che buoni, sino al tempo dell’ultimo scià e oltre (pare che Israele aiutasse discretamente l’Iran nella guerra contro l’Irak di Saddam). Ma i tempi non sono più quelli. Ora l’Iran, forte di tassi di sviluppo economico e demografico impressionanti, vuole restaurare, sia pure in chiave regionale, l’antico splendore, il proprio impero. Ma, di traverso, s’è messo Israele, che ha alleati non dichiarati: i paesi arabi, sunniti, spaventati dall’espansionismo sciita. Insomma, oggi gli USA hanno bisogno dell’Iran, gli arabi di Israele... Non c’è più religione.