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QT n. 6, 21 marzo 2008 Cover story

Vivere con l’Aids in Trentino

Di Aids non si parla più. Eppure, anche se effettivamente si muore di meno, il pericolo c’è ancora. E il contagio anche. I problemi di oggi, e una cultura della vergogna che non aiuta.

La gente puntò subito l’indice contro gli untori della peste, devianti ed immorali. Gay vagabondi del sesso, a caccia delle gioie dell’amore. Oppure sbandati prigionieri della siringa. E quel virus che senza pietà s’infilava per sempre nel loro corpo, fiaccandolo, era una giusta punizione, uno scotto da pagare per quella vita sregolata.

Oltre un ventennio fa scoppiò la piaga Aids, accompagnata da campagne martellanti su come evitare il male del secolo, che faceva a pezzi il sistema immunitario.

Uno slogan circolava avvertendo a chiare lettere: "Se lo conosci, lo eviti". Per molti ciò significò semplicemente stare alla larga da certe categorie a rischio. Ma ben presto il virus iniziò a galoppare senza incontrare barriere. La psicosi del contagio dilagava. C’era chi aveva il timore di salire su un tram, di bere un caffè al bar o di usare i servizi igienici pubblici, altri erano diventati avari nelle strette di mano. Scienziati e medici si diedero un gran daffare per frenare paure immotivate con una corretta informazione. Chi non ricorda la scena dell’immunologo che, in diretta tv, baciò in bocca una sieropositiva, per scacciare lo spettro del contagio facile attraverso la saliva?

L’attenzione mediatica, poi, pian piano, si è affievolita. Le emozioni si sono smorzate per lasciare spazio all’indifferenza e all’oblio. I titoloni sui giornali sono spariti. Solo qualche star del momento fa capolino ogni tanto lanciando campagne di raccolta fondi per le popolazioni africane flagellate dal virus. Per dirla chiara, questa piaga non interessa granché. Fa poca notizia. E’ come se non fosse più un pericolo. Eppure basta dare un’occhiata ai dati per rendersi conto che non è il caso di abbassare la guardia. Secondo le stime, in Italia, i sieropositivi sono 150.000.

E in Trentino non c’è da stare allegri: cifre alla mano, dall’inizio dell’epidemia ad oggi, le persone risultate positive al test Hiv sono ben 1.400. Insomma, la piaga sotto la cenere brucia ancora. Certo, oggi l’Aids miete meno vittime, perché i nuovi farmaci frenano il decorso della malattia e la tengono sotto controllo.

AMMALATI AIDS IN TRENTINO: N. B. Prima del 1997 non venivano tenute le statistiche sul numero complessivo di ammalati di Aids, ma solo quelle relative ai nuovi casi.

"Infatti,  - ci spiega il dott. Claudio Paternoster, che lavora nel reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale Santa Chiara - se osserviamo il grafico 1 (vedi grafico sopra, n.d.r.) abbiamo una fotografia solo dei casi d’Aids conclamata, ossia la fase finale della malattia, con numeri piuttosto contenuti. Ciò non deve trarci in inganno. Su dieci persone che oggi s’infettano forse una arriva a questa fase, perché s’interviene subito con il trattamento farmacologico. In Trentino è preoccupante, invece, l’aumento dei casi di sieropositività. Fino a due anni fa, i contagi annuali erano 25-30. Poi sono lievitati a quaranta. In reparto, attualmente, seguiamo circa 400 persone".

Trento, due immagini di Casa Lamar, struttura dedicati a pazienti affetti da Aids in fase conclamata (foto Marco Parisi).

Frugando negli annuari statistici provinciali, alla voce "cause di mortalità", balza subito all’occhio un lungo elenco di decessi in base alle più svariate e specifiche patologie. I casi di morte per Aids, invece, non sono affatto menzionati. Questa dimenticanza importante suona come un non voler far sapere.

"In effetti, - chiarisce Paternoster - questi dati falsificano la realtà. Sembra che di Aids non si muoia più. Succede che una persona abbia un decesso per un tumore, scatenato dall’infezione Hiv, ma quest’ultimo aspetto non compare sulle cause di morte. Indubbiamente ciò andrebbe chiarito meglio e si dovrebbe pure spiegare che oggi è una malattia diventata cronica in seguito all’utilizzo di terapie più efficaci".

Omissioni a parte, vediamo di capire quale via utilizza il virus per circolare agilmente. Dopo la messa al bando delle categorie a rischio, oggi si è capito che bisogna raddrizzare le antenne sui comportamenti a rischio.

"Stiamo registrando - commenta il dottore - un netto calo dei pazienti che hanno contratto il virus con lo scambio di siringhe infette. Questo perché c’è più informazione e molte droghe sono assunte per via orale. Adesso la trasmissione avviene soprattutto per via sessuale, con rapporti non protetti. Questi casi colpiscono sempre più il sesso femminile.

Ma mentre il trend del contagio eterosessuale negli anni si è stabilizzato, rileviamo un aumento fra gli omosessuali. Sarebbero indispensabili nuove campagne informative, già a livello scolastico, sulle modalità d’infezione".

Insomma, questa malattia non è percepita, dai più, come un’insidia. Ma è bollata ancora come un’onta. In passato essere sieropositivi significava avere appiccicata addosso una data di scadenza che seminava isolamento e vergogna. Su questa brutta faccenda si doveva solo tacere. Pochi avevano il coraggio di uscire allo scoperto rivelando il segreto.

"La reazione verso questa diagnosi - puntualizza Paternoster - non è cambiata rispetto a vent’anni fa. L’impatto è ancora pesante e crea molti sensi di colpa. Chi è consapevole di aver attuato comportamenti a rischio è un po’ preparato alla notizia. Altri, come le donne in gravidanza che scoprono il problema in un esame di routine, subiscono un brutto colpo. In una realtà provinciale come la nostra, specie nei paesi, scatta subito la paura che la notizia circoli. Conosco donne sieropositive, con figli sani, terrorizzate all’idea che si sappia a scuola, perché temono l’emarginazione dei loro bimbi. Sul luogo di lavoro, generalmente, nessun paziente parla del problema. I giovani riescono a confidare il segreto a qualche fratello. Lo scoglio più difficile è dirlo al partner, oppure ai genitori anziani. Diciamo che c’è ancora molta confusione sulla malattia e l’ignoranza dei sani rende crudele la vita dei malati".

Glossario

Aids (Sindrome da Immuno-Deficienza Acquisita): E’ una malattia infettiva causata da un virus specifico, l’Hiv, che ha come bersaglio il sistema immunitario. Il virus attacca i linfociti CD4 (globuli bianchi del sangue), riducendo le difese dell’organismo. L’infezione si trasmette attraverso il sangue (ad alto rischio sono lo scambio di siringhe infette e le trasfusioni); attraverso i rapporti sessuali, poiché il virus è presente nello sperma e nelle secrezioni vaginali; attraverso la "via verticale", ossia la madre sieropositiva può contagiare il figlio con la gravidanza o l’allattamento.

Sieropositivo: Persona che è positiva alla ricerca di anticorpi Hiv nel sangue. Può trasmettere la malattia e per lungo tempo può non avere i sintomi dell’infezione in atto.

Malato di Aids conclamato: E’ una persona che ha già sviluppato la sindrome dell’Aids. Il malato è esposto a molte infezioni dette "opportunistiche". Quelle tipiche della sindrome sono circa una ventina. Frequenti sono le infezioni da virus (ad esempio, l’Herpes), micotiche (ad esempio, la Candida), oppure da batteri o protozoi. Possono inoltre sorgere delle neoplasie: il linfoma, il sarcoma di Kaposi (tumore raro della pelle) e il cancro al collo dell’utero. Gravi danni al sistema nervoso possono derivare dall’encefalopatia da Hiv.

Ringraziamo per la preziosa collaborazione l’Associazione Arcobaleno Aids di Torino.