Cohouse: il villaggio di domani
Un modo nuovo (ed economico) di metter su casa e di vivere.
Il cohousing è un modo di abitare che è anche un modo di vivere. Nasce in Danimarca negli anni ‘60, sulla scia di un periodo di grande fermento che, dal design all’urbanistica, porta a una reinvenzione della casa e della città, e così alla nascita, tra le varie utopie, del cohousing. Il villaggio di cohousing coniuga una dimensione abitativa privata con un’organizzazione a villaggio e con spazi condivisi, facilmente raggiungibili da ognuna delle abitazioni.
La ricostruzione della cultura e dell’economia del villaggio resta un’utopia sociale danese fino agli anni ‘80, dopo di che si diffonde negli Stati Uniti, in particolare in California, e nel resto del Nord Europa. Oggi in California sono più di 100 villaggi in cohousing. Non ci sono tipologie canoniche: il cohousing può nascere dentro la fabbrica ristrutturata, in una vecchia cascina, in un borgo medievale abbandonato, può essere costruito ex-novo in periferia… La vera peculiarità è il design dei servizi che in questo caso è anche il design delle forme di vita.
Vivere in cohousing è il desiderio di molte persone. Nell’agosto-settembre del 2005 lanciammo una ricerca a Milano e siamo stati sepolti da quasi 4000 interviste completate su Internet in dieci giorni e 2800 manifestazioni di interesse; proiettati su base nazionale, questi dati significano che in Italia ci sono quasi 300.000 famiglie che desiderano vivere in cohousing. Perché? La maggior parte sono giovani coppie con due redditi che hanno già scoperto quale sia la piacevole-diabolica complessità di una vita in città in cui alle quattro i bambini escono dall’asilo e vogliono andare a scuola di danza, e poi vogliono andare a trovare il loro amico e tu nel frattempo hai la riunione da finire, la presentazione a un cliente importante, tuo marito come al solito sta facendo le sue importantissime cose a cui non poteva rinunciare e i nonni non sono più quelli di una volta: disponibili, ma fino a un certo punto, e allora cominci con asili prolungati, ragazzine che vengono a prenderti i figli a scuola e poi però quel giorno sono ammalate… Insomma la vita urbana per le famiglie a doppio reddito è molto complicata e anche molto costosa.
Ecco allora l’importanza di vivere in un posto dove posso lasciare il bambino alla vicina, dove arriva a casa da scuola e c’è una nurse, una madre di tutti, una zia che lo accoglie, gli dà la merenda… Questo è il primo filone.
Il secondo è quello della "giovane terza età". Oggi molti over 50 stanno riprogettando la propria vita o desiderano farlo. Una volta che i figli sono grandi, non è detto che uno abbia voglia di vivere dove ha sempre vissuto. Con l’avvicinarsi della pensione si può pensare di andare a vivere al mare, in campagna, a Londra, in Provenza, o semplicemente accorgersi che il proprio appartamento è diventato troppo grande, che il quartiere non è più quello di una volta. Quando l’età aumenta subentra anche il problema della solitudine: sono morti i tuoi amici, alla bocciofila non ci sei mai andato… con cosa riempi questa terza età?
Ecco, la dimensione del villaggio può essere un’aspirazione profonda per questa terza età dinamica, che teme l’isolamento, che sa che non sarà autosufficiente per sempre e che ha però un atteggiamento aperto, disponibile.
La genesi di un progetto spontaneo di cohousing è complessa. Il 95% di progetti spontanei dei gruppi di amici che decidono di andare a vivere assieme abortisce per strada e le ragioni sono banali. Ci vuole una tale quantità di competenze, tempo, soldi e motivazioni, da renderla una missione quasi impossibile, perché occorre individuare l’area, fare gli accertamenti urbanistici, trovare gli architetti, farsi dare il permesso di costruire e intanto tenere assieme gli amici, che magari hanno idee diverse sull’abitare. E’ un’impresa disperata.
La nostra intuizione è stata quella di colmare questo vuoto, di inserirci in questo snodo e accelerare i processi. Ci siamo detti: se troviamo degli immobiliaristi intelligenti, che hanno terreni da edificare, fabbriche da ristrutturare, volumetrie da recuperare, e li convinciamo che esiste un’area di domanda interessante; se riusciamo ad avere dei prezzi ragionevoli per un intervento immobiliare che ha dei contorni abbastanza definiti, e in cui però ci siano ancora le maglie abbastanza larghe per apporre delle modifiche e decidere, ad esempio, dove mettere gli spazi comuni… Ecco, noi intercettiamo questi progetti, valutiamo se vanno bene e in quel caso proponiamo all’imprenditore di riservare per un certo periodo di tempo questo intervento al cohousing.
Chi arriva al cohousing poi avrà anche l’opportunità di passare 3-4 mesi incontrando i futuri vicini. E’ un vero e proprio progetto di comunità fra persone che condividono il desiderio di vivere in cohousing, ma che non si conoscono. Conoscere i propri vicini prima di comprare la casa è un grande privilegio ed è la ragione per cui siamo nati.
In questo processo noi usiamo dei facilitatori sociali molto bravi. Per quanto non ci sia un prototipo, in genere chi ha interesse al cohousing non è il possessore di un Suv nero e di tatuaggi sui bicipiti, cioè sono in generale tutte persone per bene, aperte agli altri, solidali, pacifiste, ecologiste…
Superata la fase della conoscenza e della messa in discussione delle proprie motivazioni e bisogni, si comincia a giocare a fare la casa, il villaggio. Il clima infatti è quello di un gioco emozionante ma molto serio. La prima cosa da capire è proprio cosa si vuole e cosa non si vuole condividere; anche su questo ognuno ha la sua disponibilità e la sua soglia di privacy. C’è chi non è disposto a condividere una lavanderia perché preferisce lavare i panni in casa, per dire. La maggior parte non ama condividere gli aspetti più intimi, spirituali - la religione, la meditazione - però per esempio la disponibilità a condividere l’educazione dei bambini è fortissima: l’avere tante zie e tanti zii… C’è una diffusa consapevolezza sui vantaggi dell’educazione "tribale" del villaggio rispetto all’educazione nucleare.
Poi i cohouser vogliono evidentemente condividere le loro passioni, i loro interessi, anche quelli più semplici, come coltivare l’orto, avere un gruppo di acquisto, adottare soluzioni per spendere meno.
Una volta stabilito cosa si vuole condividere, si comincia a discutere dove mettere le cose, come organizzare gli spazi. Il micro-nido dove va? La lavanderia ce la possiamo permettere? Dove la mettiamo?
Il nostro lavoro è anche quello di produrre informazioni e calcoli. I nostri facilitatori e i nostri architetti offrono tutta una serie di dati, di modelli che abbiamo fatto con il Politecnico. Se un gruppo ci chiede quanto costa una lavanderia condominiale, noi possiamo fornire una risposta immediata: apriamo il computer, inseriamo il numero delle famiglie, le specifiche della lavanderia e poi gli diciamo: costa 750 euro a testa. Scoprono quindi di risparmiare, e di potersi quindi permettere quelli che abbiamo definito "i lussi sostenibili" del cohousing: ad esempio, una hobby room, dove invece di impazzire con un Black & Decker hai un bel trapano a colonna con le punte come dio comanda, un tornio, una fresatrice, un compressore per verniciare, tutte cose che uno a cui piace il "fai da te" non si è mai potuto comprare anche perché non sapeva dove metterle. Un’officina condominiale costa 50 euro a famiglia e offre gli spazi e gli attrezzi che servono per tutto il "fai da te" del pianeta.
Ma un "lusso sobrio" è anche avere una portineria intelligente, che funziona come una concierge alberghiera, per cui alla mattina puoi dare delle consegne al portinaio: "Puoi pagarmi queste bollette?", "Alla tal ora arriva la spesa della Esselunga"; o ancora: "Mi prenoti i biglietti per stasera?". Un "lusso sobrio" è un gruppo di acquisto, ma anche una palestra: le nostre palestre costano 75 euro all’anno. A Milano, Torino o a Roma quello è il costo mensile di una palestra di basso livello… A Bovisa i nostri cohouser hanno una piscina all’aperto, privata. I costi per costruirla ammontano a 1.000 euro a famiglia. Avete un’idea di cosa vuol dire il bambino che arriva a casa alle quattro del pomeriggio in pieno giugno e va in piscina con gli altri amici che sono quelli della sua corte?
Trenta famiglie in cohousing possono permettersi anche un’insegnante materna, spendendo un quinto di quello che spenderebbero con una babysitter privata.
I servizi condivisi, poi, possono essere autogestiti o gestiti professionalmente da terzi, o anche in una forma mista, da qualcuno dei cohouser che ha un rimborso spese. Ad esempio, se la zia Pina è in pensione, cucina da dio, le piacciono i bambini, era anche insegnante elementare, allora, le diamo tutti 500 euro all’anno, lei raddoppia la sua pensione e siamo tutti contenti. Il cohousing è un’autogestione in cui non necessariamente si fanno tutte le cose da sé e non necessariamente si fanno le cose gratis, anzi.
Ci vogliono ancora 16-18 mesi prima di inaugurare il primo villaggio, dopo di che credo che queste esperienze si moltiplicheranno, perché nella grande città questa è una domanda fortissima.
La cosa funziona così. Noi prima definiamo un intervento in cohousing, quindi alziamo un cartello in cui, ad esempio, diciamo che abbiamo 15 case in tre corti settecentesche a sette chilometri da Milano. Appena il gruppo è al 70-80% degli appartamenti disponibili, parte il percorso di formazione della comunità, che avviene in due fasi.
La prima ha a che fare con i valori e i principi guida, il regolamento, gli spazi condivisi, cosa vogliamo essere: è una specie di carta costituzionale del progetto. Solo a quel punto si compra la casa.
La seconda parte la fanno gli acquirenti da soli. In questa fase si arriva fino al dettaglio di dove mettere il forno a microonde della cucina condominiale, e poi si definiscono i colori, l’uso dei pannelli solari, l’arredamento degli spazi condivisi. Cioè si entra nella fase materiale della costruzione del villaggio, che dura altri 3/6 mesi, a seconda della complessità.
A quel punto, i cohouser sono una comunità formata con il loro gruppo dirigente, i loro comitati, il comitato del verde, il comitato bambini.
Nel frattempo la casa si sta costruendo, ed entro 6/8 mesi inizierà il vero esperimento del cohousing.