Di territorialità si muore
L'uso e l'abuso del localismo, da parte della Margherita e della politica trentina: ormai ha portato alla frammentazione della rappresentanza e alla legittimazione di ogni interesse settoriale. Una deriva a cui non si vedono, oggi, alternative.
Ci sembra molto netto il significato delle ultime consultazioni comunali. E molto duro, il che dovrebbe indurre pesanti preoccupazioni. Il dato di fondo, al di là degli equilibri tra i partiti e tra gli stessi schieramenti, è la frammentazione, non solo delle formazioni politiche, ma anche della stessa idea di politica. Il caso più evidente ad Avio, con la Margherita e il centro-sinistra frammentati in più liste, di sindaci, ex-sindaci, assessori; ma la stessa dinamica, sia pur in forme più contenute, si è verificata a Pinzolo; e si era dispiegata nei precedenti turni in varie altre località (Rovereto, Ala, Lavis, Nago-Torbole ecc). Risultato: una serie impressionante di sconfitte del centro-sinistra.
Questo è i il risultato più evidente, ma anche il più superficiale. Le dinamiche di fondo sono infatti più radicali, al punto da rendere patetici gli inviti, magari stizzosi, alla concordia interna, che vengono dai maggiorenti della Margherita o dal capo supremo Lorenzo Dellai.
Ci sembra infatti che stia venendo al pettine un nodo decisivo: la cosiddetta "territorialità", e l’uso (e l’abuso) che ne ha fatto in primis la Margherita, e poi buona parte della politica trentina.
E’ un concetto infatti, che ha rapidamente, da subito, tracimato. Partito dalla sacrosanta esigenza di concretezza, di ancoraggio ai problemi locali, dalla richiesta di autonomia e anche di protagonismo delle realtà periferiche, è ben presto approdato alla rivendicazione del primato degli interessi settoriali; e dell’esclusività del potere da parte dei potentati locali. E quindi al rigetto di ogni disegno organico, in nome di fatidiche "specificità" locali.
Con questa logica ci si è opposti all’accorpamento dei troppi, esangui, Comuni, appellandosi a antiche ed obsolete tradizioni (quando ormai da anni, nell’era dell’automobile e del telefonino, la popolazione si aggrega per interessi, in ambiti molto più ampi del singolo Comune: gli universitari di un’intera valle si ritrovano tra di loro, e così gli artigiani, o i pacifisti, o i patiti del ballo latino-americano). E così si è frammentata l’azione amministrativa: secondo le convenienze delle piccole "caste" di paese, per le quali sono meglio dieci piccoli, inetti Comuni, che uno solo efficiente, ma con un solo sindaco e un solo Consiglio. E sempre in questa logica si è arrivati, tanto per fare un esempio, a rigettare come improponibile un’azione coordinata tra i Comuni per abbattere l’inquinamento atmosferico.
Di questa dinamica si era reso conto lo stesso Dellai: "Nel nostro partito non possono esserci i potenti di valle, valle dove puoi entrare solo col loro permesso" tuonava all’ultimo congresso della Margherita. Anche Ivan mosse guerra ai boiardi, e fece loro mozzare la testa divenendo il Terribile, pur di affermare una politica nazionale; nei nostri più pacifici tempi Lorenzo Dellai, già Principe e oggi solo Presidente, si limitava a perdere il congresso, clamorosamente sconfitto dai suoi feudatari.
Ma Dellai non può più di tanto lamentarsi. Anzitutto perché la Margherita l’ha costruita lui in questa maniera: come sommatoria di interessi e boss locali (ben noto è stato il suo ostracismo, nella composizione delle liste del ’98 e del 2003, a chi, nelle periferie, fosse estraneo a questo schema, vedi Giuliano Beltrami, o Vincenzo Passerini, o Luigi Casanova); interessi (e appetiti) disparati, che dovevano venir unificati solo dalla sua persona, deputata a garantire l’esistenza e l’unitarietà della linea politica complessiva. Questo schema poteva funzionare solo finché il Presidente era forte; quando questi si indeboliva - magari proprio per la montante insofferenza dei cittadini verso le magnadore – e voleva rispondere con pur confusi propositi di rinnovamento (comitato etico, nuovo segretario giovanissimo ecc), la collisione con i feudatari diveniva inevitabile.
Non solo. Dellai ha anche giocato – col fuoco - sull’altro versante della "territorialità". Nei rapporti con Roma e con Bruxelles. Rivendicando "peculiarità" "specificità" "tradizioni", ecc. (concetti nient’affatto negativi, ma ormai logorati dall’abuso) per difendere con le unghie ed i denti privilegi ed arretratezze: i consigli di amministrazione gonfiati, gli appalti senza concorrenza, il rifiuto del Partito Democratico per non mettere in discussione gli organigrammi. Insomma Dellai ha agito rispetto alla politica nazionale (ed europea) come i boss di valle agiscono rispetto a lui: rifiutando un disegno comune, di ampio respiro, per proteggere interessi particolari. E’ il ritorno al sistema feudale; con i vassalli insofferenti dell’autorità del re, e i valvassori insofferenti di quella dei vassalli.
Perché, attenzione, in questi casi non contano solo i – pur corposi – fatti; contano anche le parole. E le argomentazioni di Dellai si sono ridotte alla mistica di una "territorialità" sempre e comunque buona, contro un "centralismo" per definizione autoritario e bieco. Anche quando si tratta di difendere interessi locali arretrati (vedi i finanziamenti al 90% degli impianti a fune), privilegi spiccioli, o rifiutare grandi disegni di confluenze di culture (il PD, almeno in teoria).
Ma allora il concetto di "territorialità" inteso come primato dell’interesse localistico, anzi addirittura come assenza di politica complessiva, non lo si ferma più. Non si arresta a Trento, ma dilaga nelle valli, e si insinua all’interno degli stessi paesi. Allora diventa anche sacrosanta "territorialità" la Rendena divisa dalle Giudicarie; ma anche Sabbionara rispetto ad Avio, e Campiglio e Sant’Antonio di Mavignola rispetto a Pinzolo; e la bocciofila di paese che a tutto antepone i suoi interessi particolari, ed esige un suo rappresentante, naturalmente "territoriale", nelle istituzioni.
Questi i risultati dell’esaltazione del particolare. Per cui alla fine gli appelli all’unità, cioè a mettere la sordina agli interessi spiccioli, sono grotteschi. Unità? E a quale livello? Chi deve limitare i propri appetiti? Una volta abbracciata questa impostazione, non se ne esce più.
In questo discorso sul centrosinistra, non abbiamo praticamente parlato di uno dei due termini, la sinistra. E in effetti, ormai, tutta la politica del centro-sinistra provinciale (ben diverso è il discorso nazionale) dipende solo dalla Margherita, con i DS ridotti ad orpello insignificante, tutt’al più fastidioso.
Eppure proprio in questo campo, il decentramento, i rapporti tra autonomia e potere centrale, l’elaborazione e la pratica storica della sinistra, da Battisti in poi, è quella storicamente forse più feconda. E nel mix di culture che vorrebbe essere il Partito Democratico, questo è uno degli ambiti in cui più la sinistra avrebbe da dare, rispetto ad una cultura democristiana che molto ha dato in termini positivi (Degasperi), ma anche discutibili (il clientelismo doroteo).
Invece proprio qui abbiamo assistito non solo all’ennesima resa diessina, ma addirittura allo scimmiottamento degli aspetti più grevi della "territorialità" margheritina. E’ infatti firmata da un assessore diessino, Bressanini, la nefasta legge sulle Comunità di Valle; sono stati i DS, alla ricerca di un’improbabile sponda nel piccolo notabilato locale, a rifiutare l’accorpamento dei piccolissimi Comuni; è la politica di via Suffragio ad essere pesantemente condizionata dai (piccoli) feudi di Pinzolo o di Castel Condino.
E’ lo stadio terminale di un’involuzione iniziata dieci anni fa con il folle "riconosco in Dellai il nostro leader" del segretario Stefano Albergoni, proseguita con la resa sulla Jumela del segretario Mauro Bondi, precipitata con le usanze dorotee dell’attuale segretario Remo Andreolli.
Eppure nella società ci sono persone, culture, forze, in quella che una volta era la sinistra, che ancora potrebbero dare un apporto significativo all’indispensabile ridefinizione della politica provinciale.
Ma sono sparpagliati; e non sono disponibili a un rapporto con l’impresentabile partito di Andreolli; né sono agglutinabili attorno ad un Partito Demcoratico che non c’è né, presumibilmente, ci sarà fino al 2009. Di questo, se non altro a livello di dibattito, occorrerà occuparsi ancora.