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QT n. 7, 6 aprile 2007 Quindici giorni

Una bella serata di democrazia diretta

A Rovereto, un interessante esperimento: i cittadini propongono le tematiche da trattare in Consiglio comunale. E la cosa (almeno per una sera) funziona.

Alla fine, loro, i "rappresentanti", sono rientrati dalla finestra, e si sono ripresi la scena. E le dinamiche non sono state molto diverse dal solito. E’ pur vero che c’è stato un ribaltamento, con la minoranza divenuta per una sera maggioranza e viceversa, ma le schermaglie da Consiglio Comunale non si sono distinte dal consueto. Come non si è distinto dal consueto il politichese utilizzato per condurle. Piccola macchia di una serata che fino a quel momento aveva offerto spunti di novità e autenticità davvero interessanti.

Stiamo parlando dell’assemblea cittadina tenutasi a Rovereto mercoledì 21 marzo: l’inizio di una nuova primavera del fare politica nella città della Quercia? Forse, si vedrà. Di certo resta la convinzione che la democrazia diretta non è cosa che si possa concretizzare in una sera, neppure se chi ci prova è motivato e capace, come Paolo Michelotto e quelli del suo gruppo, "PartecipAzione Cittadini Rovereto".

Roveretano acquisito, Michelotto, webmaster con la passione per la partecipazione politica, aveva già sperimentato nella natìa Vicenza il meccanismo. Un’assemblea alla quale qualunque cittadino, previa iscrizione anche estemporanea ad una lista di proponenti, ha a disposizione 3 minuti per illustrare una proposta di qualunque genere relativa all’amministrazione della città. Esauriti i 3 minuti, scanditi da un timer elettronico gigante, la proposta è sottoposta al voto, questo non elettronico, ma effettuato nella più tradizionale delle maniere: l’alzata di mano. I convenuti possono votare per più proposte, anche per tutte. Le tre proposte più votate vengono poi riprese e discusse ulteriormente, e infine "girate" al Consiglio Comunale affinché esso stesso le discuta e le voti.

Democrazia, ovvero "governo del popolo". La inventarono gli ateniesi nel quinto secolo avanti Cristo, e la inventarono diretta. Ogni cittadino di sesso maschile maggiorenne poteva prendere parte all’assemblea cittadina, l’Ecclesia, e qui esercitare il potere legislativo insieme ai suoi concittadini. Senza deleghe e senza delegati. In modo diretto, appunto. Non andò avanti per molto, e per la democrazia la notte durò secoli, fino all’età moderna, quando riapparve e lentamente tornò ad affermarsi, ma con un connotato decisamente diverso: non più diretta, ma rappresentativa. Il cittadino non decide più in prima persona, ma elegge coloro i quali prenderanno le decisioni. I rappresentanti, appunto.

Oggi, la crisi della politica manifestatasi dopo il crollo delle ideologie ha indotto molti a rimettere in discussione il modello rappresentativo: per questi critici, la democrazia deve tornare ad essere, almeno in parte, diretta. "Partecipativa", per usare il nuovo aggettivo trovato per connotarla. La spinta verso questa ipotesi di riforma non arriva dal continente culla della democrazia, l’Europa, ma dal "Nuovo Mondo".

Porto Alegre, in Brasile, è una città di un milione e trecentomila abitanti. Dal 1989 adotta un "bilancio partecipativo". Viene divisa in gruppi territoriali e tematici, che ogni anno discutono e decidono le priorità di bilancio all’incirca come si faceva nell’Ecclesia ateniese. Le decisioni di priorità prese in questo modo determinano l’assegnazione del 25% delle risorse del bilancio cittadino. L’Italia è oggi uno dei Paesi dove, a partire dalla fine degli anni Novanta, la pratica di Porto Alegre ha visto una più decisa diffusione. Modena, Udine, Isola Vicentina, Pieve Emanuele, Grottammare, San Benedetto del Tronto sono tutti comuni nei quali sì è provato ad adottare un bilancio partecipativo. Ed ora sembra volerci provare anche Rovereto, considerato che è proprio puntando all’adozione di un bilancio partecipativo che Michelotto e i suoi vogliono provare a sperimentare il funzionamento delle assemblee cittadine.

"Perché ci sia autentica democrazia, devono esserci cittadini democratici". Parole del filosofo contemporaneo Cornelius Castoriadis. Pensatore tanto acuto e radicale nel suo discorso sulla democrazia quanto sconosciuto ai più, Castoriadis è colui che ha definito "oligarchie liberali" quelle che noi oggi chiamiamo "democrazie occidentali". Non è una questione di procedura, ha voluto dirci Castoriadis. O meglio, non lo è principalmente. In presenza di cittadini democratici, ovvero educati all’esercizio democratico, capaci di svolgerlo in maniera consapevole e riflessiva, anche il modello rappresentativo può funzionare. In mancanza di cittadini democratici, sostituiti da soggetti incapaci di partecipare alle decisioni, e prima ancora disinteressati a farlo, anche la migliore delle procedure di democrazia diretta è destinata a fallire. Un monito, quello di Castoriadis, a chi s’illude che sia tutta una questione di forma.

Sono dunque i cittadini di Rovereto così ben educati alla democrazia da potersi permettere di affrontare un esperimento di democrazia diretta?

Entrando nella Sala della Roggia, dove il 21 marzo si è tenuta l’assemblea cittadina, il colpo d’occhio avrebbe già fornito parte della risposta. Solo una settantina di persone in una città di 30.000 abitanti è poco, molto poco. Ma non se ne potevano attendere molte di più, né gli organizzatori in effetti se le attendevano, per quanto avessero esteso all’intera popolazione l’invito a partecipare.

Il primo effetto di una scarsa educazione alla partecipazione democratica è proprio l’apatia e il disinteresse verso di essa. Chi il 21 marzo ha spento il televisore, è uscito di casa per discutere coi suoi concittadini del governo della città ed è rientrato a mezzanotte, senz’altro conosce il valore della partecipazione democratica. Si può scommettere che, se fossero tutti interessati come chi l’altra sera a Rovereto era presente, anche la democrazia rappresentativa funzionerebbe, e probabilmente in Parlamento verrebbero mandati a sedere rappresentanti molto meno interessati alla res privata e molto di più a quella publica.

L’altro grave effetto di una scarsa educazione alla partecipazione democratica è, dopo l’apatia, l’incapacità. La volta che arriva a cimentarsi con le questioni di interesse collettivo, il cittadino medio, non educato alla discussione democratica, si rivela tristemente incapace di dibattere in maniera efficace ed appropriata di tali questioni. E’ il cittadino che pensa e decide secondo modalità irrazionali ed extrarazionali, vittima designata dei numerosi populisti e imbonitori che affollano il teatrino della politica. In Italia purtroppo ne sappiamo qualcosa.

A partecipare all’assemblea organizzata da Michelotto e dai suoi è di certo stata una minoranza ben educata alla discussione democratica. A dimostrarlo stanno innanzitutto i contenuti delle proposte. In tutte si è potuta leggere una più o meno radicale matrice "di sinistra", e la cosa non può essere casuale: si è andati dalla proposta di destinare di un 2% del bilancio cittadino alla costruzione di una mobilità centrata sulla bicicletta a quella per l’approvazione di un’ordinanza che obblighi all’installazione di pannelli solari fotovoltaici sui tetti delle abitazioni di nuova costruzione, fino a quella di adottare presso tutte le postazioni informatiche comunali software libero.

A conferma che i convenuti all’assemblea del 21 marzo fossero una minoranza di "educati alla democrazia" stanno, forse più della sostanza, le modalità con le quali le proposte sono state avanzate. Tre minuti sono pochi, ma quasi nessuno li ha utilizzati tutti. La maggior parte della ventina di proponenti ha parlato a braccio, e, nel poco tempo a disposizione, è riuscita ad articolare proposte con un capo e una coda.

Insomma, sia a livello di contenuti (se si eccettua un’unica bizzarra proposta, quella di abolire i marciapiedi), sia a livello di modalità espositive (se si eccettuano un paio di casi in cui le proposte sono risultate poco comprensibili o sconclusionate), la serata, anche per quanto riguarda la risposta del pubblico, composto e attento, si è mantenuta su un buon livello qualitativo: l’effetto-Corrida, assai probabile in questi casi, è stato scongiurato.

Ma, anche qui, non si può che osservare come ciò non deponga di per sé a favore della democrazia diretta. Si può star certi anche in tal caso, infatti, che, se gli elettori delle democrazie rappresentative fossero tutti preparati e competenti come quelli che hanno discusso e votato il 21 marzo a Rovereto, in Parlamento finirebbero rappresentanti meno rissosi e incapaci di un confronto onesto e più propensi, invece, alla discussione civile e costruttiva.

Ecco perché, escluso il suo finale, nel quale i consiglieri comunali presenti si sono riappropriati della scena facendo proprie le proposte più votate (con accenti demagogici che si sarebbe preferito non cogliere), l’esperimento dell’assemblea cittadina di Rovereto si può considerare riuscito.

Non tanto per essere stato capace di portare le proposte fatte dai cittadini all’attenzione del Consiglio Comunale quanto piuttosto per i suoi effetti educativi e culturali.

L’assemblea roveretana del 21 marzo ha educato i presenti, e non solo loro, ma anche chi ne ha avuto in qualche modo notizia, a un nuovo modo di partecipare al governo della cosa pubblica, ed è stato questo il suo successo. E davvero poco importa se questi benéfici effetti educativi si tradurranno in un miglioramento della democrazia rappresentativa piuttosto che nella nascita di una nuova forma di governo democratico.