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Vietato obbedire?

Cinema: “l’ONDA”

Locandina del film

Vietato obbedire, si leggeva sui muri nei dintorni del Sessantotto. E se invece l’obbedienza, di fondo, ci piacesse?

È una riflessione su questo tema il film "L’onda" di Dennis Gansel, ispirato ad alcuni esperimenti sull’obbedienza all’autorità condotti negli ambiti accademici della psicologia sociale.

In una scuola superiore tedesca si dedica una settimana di studi al tema delle diverse forme di governo. Rainer è un insegnante giovane, amato dagli studenti, dai quali si fa dare del tu. Indossa t-shirt dei Ramones e dei Clash. È un professore militante e vorrebbe ragionare coi suoi allievi sul tema dell’anarchia. Ma l’argomento è già stato assegnato a un suo collega in giacca e cravatta. A Rainer rimane, come materia, l’autarchia. La affronta facendosi eleggere dittatore dalla sua classe, suggerendo disciplina, obbedienza, facendo pesare la sua autorità, adottando slogan, segni di riconoscimento, divise. La classe accetta entusiasticamente il metodo e rilancia sui contenuti. Al suo interno si crea un formidabile spirito di corpo. Di cui si arrivano presto a manifestare gli aspetti negativi: il senso di inclusione, la protezione che deriva dall’appartenenza para-militare finisce per diventare un vettore di esclusione, di chiusura e di astio verso chi non fa parte dello stesso gruppo.

Lo shock creato dalla degenerazione nei rapporti tra gli studenti è tanto più forte perché quella scuola tedesca pareva davvero esser riuscita a educare gli allievi alla differenza e alle libertà: sembra un po’ l’istituto "Marilyn Monroe" – con poster di Dino Zoff all’ingresso e "Il cielo in una stanza" come argomento d’insegnamento – caricaturato da Nanni Moretti in "Bianca".

Quando si evoca, esplicitamente, lo spettro del nazismo, la classe ha un motto di rifiuto che non pare motivato da una rimozione o dal fastidio: c’è certamente un senso di noia nei confronti di quella che viene ormai vista come una retorica dell’ovvio, ma prevale senza dubbio la scontata assimilazione da parte degli studenti del rifiuto di ogni forma di fascismo e di totalitarismo. Il fatto che, proprio su di loro, l’autocrazia abbia così tanta presa spinge a mettere in discussione non la sincerità di questo rifiuto ma il nostro vivere sociale – che, antropologicamente, etologicamente, risente di una aggressiva paura che pare connaturato patrimonio della nostra specie.

"La classe" e "L’onda" ribadiscono l’importanza fondamentale dell’educazione scolastica non per il tipo di professionista che viene a formare ma per il modello di società che essa va a costruire. fa il paio con un altro importante e recente film sul tema, il francese "La classe" di Laurent Cantet. In Italia, per il momento, non si assiste a nessun ragionamento cinematografico serio sulla scuola. Ci dobbiamo accontentare delle diverse "notti prima degli esami" e dei film tratti dai romanzi di Moccia. Di interessante, e perfettamente inserita in questo discorso, c’è invece la provocazione di Alessandro Baricco, che dalle pagine di Repubblica invita lo Stato a spendere meno soldi in festival e in musica lirica e più in istruzione (e in programmi televisivi non stupidi). Per evitare – dice Baricco – che la cultura rimanga un piccolo dominio per gente già colta, mentre, intorno a loro, la stragrande maggioranza del popolo, abbandonata dalla scuola, in poltrona a guardare il GF, continui a votare Berlusconi o chi, in futuro, ne farà le veci.

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