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QT n. 22, 22 dicembre 2006 Monitor

Quartetto Arditti

La classica formazione del quartetto all'interno della musica del '900: questo il tema, ambizioso e stimolante svolto dall'Arditti, celeberrimo e, alla Filarmonica di Trento, all'altezza della fama.

Il concerto del Quartetto Arditti era uno di quelli che spiccava nel cartellone della Società Filarmonica, innanzitutto per l’universalmente riconosciuta fama di uno dei più rinomati ensemble interpreti di musica contemporanea, poi per la curiosità di sentire dal vivo come il quartetto si sta evolvendo in questi anni (ricordiamo che l’attuale formazione, Irvine Arditti escluso, è particolarmente recente: il secondo violino Ashot Sarkissjan e la viola Ralf Ehlers fanno parte del quartetto da non più di quattro anni, mentre il violoncello Lukas Fels prende il posto di Rohan de Saram, che ha abbandonato il quartetto nel novembre dello scorso anno).

Il Quartetto Arditti

Il programma si profilava di grande interesse, in quanto venivano presentati tre brani che focalizzano precisi momenti della contemporaneità: quello attuale, con il quartetto del vivente Marco Uvietta, quello post-bellico nell’area dell’Europa orientale, dove compositori come Ligeti hanno saputo partire da esperienze estetiche e poetiche fra le più disparate e feconde (nel caso Berg e Bartòk) per approdare ad uno stile del tutto personale, ed infine quello di inizio Novecento, quando Maurice Ravel si volle misurare con il quartetto d’archi, scrivendo il suo unico brano per questa formazione.

Gyorgy Ligeti.

A tal proposito si innesta un ulteriore piano di analisi, ossia il rapporto che ha avuto il Novecento con la forma classica per eccellenza, il quartetto d’archi: da una parte vi è sicuramente una rinnovata attenzione a questa formazione rispetto al periodo romantico (e il quartetto di Ravel è da leggere in tal senso), dall’altra vi è la tendenza a volerla svuotare della sua carica “classico-aristocratica”: se nel Ligeti del primo quartetto non è ancora chiara questa intenzione, lo è sicuramente in Uvietta, che non ha nessun interesse alla ”entità quartettistica” in quanto storicamente individuabile, ma che tratta l’incontro fra i quattro archi, ci sembra, in modo volutamente anti-storico e di nessun possibile contatto con il passato classico.

Il concerto è stato aperto dal quartetto n.1 di Ligeti, partitura considerata ormai parte del Novecento storico, di cui l’Arditti ha dato puntuale e precisa lettura; se il linguaggio non è sicuramente quello del Ligeti maturo, in questa giovanile composizione non possiamo non apprezzare la genuina dialettica fra gli elementi e tutta la vasta gamma di effetti che vengono affidati agli strumenti a corda; si sono potuti inoltre scorgere “tic” compositivi che esploderanno nell’autore adulto, quali l’uso dei piccoli movimenti intervallari e il brulichio di tali movimenti in modo da creare vere e proprie fasce di suoni.

Il brano di Marco Uvietta si è rivelato di particolare spessore, a nostro parere, per due motivi: la precisa arcata formale, per cui si è potuta carpire una linea narrativa sempre chiara e coerente, e l’ambiente sonoro in generale, ricco di invenzioni strumentali e timbriche; a tratti è forse mancata una certa profondità di certi sviluppi dialettici fra i vari elementi, mentre si ravvisava qualche sottolineatura esageratamente marcata di alcune ripetizioni (ad esempio l’insistenza dell’elemento di disturbo della “cadenza” finale del violino primo, elemento che poi chiuderà il brano dissolvendosi verso l’acuto).

Il titolo della composizione “To clear a L.U.M.B.ered mind”, ossia “Chiarire una mente sovraccarica”, custodisce un segreto che nelle note di sala il compositore tiene per sé, svelandoci però che il quartetto è un omaggio a Luciano Berio, grande compositore italiano recentemente scomparso (forse le quattro lettere maiuscole puntate del titolo sono un acrostico dei nomi e cognomi dei due compositori in questione?).

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