Alcolismo: storie di donne
Un vizio che non è più una prerogativa maschile.
Il vizio del bere smodato, fino ad ubriacarsi, non è più una prerogativa maschile. Sempre più donne, infatti, sono attratte dalla bottiglia. Come ci racconta una recente indagine nazionale Istat, il 60% di esse consuma alcolici e il 20% ne abusa. Eppure su questo fenomeno, benché preoccupante e diffuso, non si sprecano le parole. Insomma, quando il vizio è al femminile c’è una certa reticenza ad occuparsene. Basta sbirciare le ricerche in materia per rendersi conto di quanto questo problema sia poco studiato. Le “devianze” del gentil sesso sono ancor oggi relegate alla sfera privata del focolare domestico.
E’ un’abitudine, quella del bere femminile, troppo spesso bollata dal collettivo come sconveniente ed immorale. Uno stigma negativo, un giudizio severo, che frena l’uscita allo scoperto della vittima e l’approdo ai servizi che potrebbero aiutarla. Non a caso succede che la donna, per pudore, prediliga un bere solitario e nascosto con l’unica compagnia della bottiglia.
Ma quali sono le donne che cadono più facilmente nella trappola dell’alcol?
Dimenticate pure lo stereotipo dell’ubriacone, povero cristo e fannullone, emarginato dalla società, perché il fenomeno non risparmia ceti o fasce d’età. Vittime di questa dipendenza non sono solo le donne mature o più attempate, che cercano un facile rimedio per affrontare un bilancio della vita deludente. Può succedere che il senso d’abbandono e la paura della solitudine facciano capolino in questa fase delicata. Specie quando i legami di coppia sono recisi o un po’ appassiti. Oppure può affiorare la frustrazione per le energie che languono, perché la giovinezza è solo un bel ricordo e troppi progetti sono rimasti nel cassetto. “Questa tipologia d’utenza, – ci spiega il dott. Roberto Pancheri, direttore dei Servizi d’Alcologia presso l’Azienda Sanitaria provinciale – in età pre o post menopausa, era la fascia più rappresentata quando la sanità pubblica ha attivato, nel 1984, i primi centri. Adesso le donne che arrivano ai servizi, che sono circa il 25% su tutta l’utenza, non sono solo le ultra quarantenni casalinghe o pensionate. Molte di esse lavorano fuori casa, alcune hanno ruoli professionali impegnativi. Il numero delle giovani adolescenti è invece davvero esiguo”.
Ma anche le ragazze, a quanto pare, stanno imitando certe cattive abitudini maschili. L’insicurezza che caratterizza quest’età di passaggio, la voglia di far breccia nel gruppo, togliendo ogni freno inibitorio, porta a ricercare questa sostanza per sballare e divertirsi. “Fra le adolescenti – aggiunge il dottore – stiamo in effetti riscontrando un cospicuo aumento di chi guida in stato d’ebbrezza, poiché la Commissione patenti si mette in contatto con il nostro centro per eventuali verifiche. Le giovani per ricercare quest’euforia prediligono super alcolici e cocktail, mentre i ragazzi la birra”.
Non dimentichiamo, in ogni caso, che le persone che richiedono soccorso ai centri per risolvere questo problema sono appena la punta di un iceberg. Solo nel 2005, ad esempio, sono transitate ai Servizi d’Alcologia provinciali, fra utenza nuova e già in trattamento, circa 600 donne (vedi tabella). Molte altre continuano a vivere questa dipendenza nell’ombra, con un bel fardello di conseguenti acciacchi fisici e psicologici. Infatti, la donna è più vulnerabile rispetto all’uomo perché fatica a smaltire questa sostanza. “In effetti, - commenta Pancheri - essa paga un prezzo maggiore a livello di salute causa la carenza di un enzima, l’alcol-deidrogenasi, che metabolizza l’alcol. Inoltre, l’approdo ai servizi è più difficile per le donne in età avanzata, perché affiora un senso di vergogna. Di solito questa scelta scatta in un momento di forte crisi, ad esempio: il cattivo stato di salute, i legami famigliari che vacillano oppure i problemi economici, perché bere molto rende improduttivi.
In sostanza, per il sesso debole liberarsi da questa pericolosa gabbia non è affatto semplice.
“Gli ostacoli incontrati dal femminile – precisa la signora Fulvia Sevignani, insegnante al Club “Ancora” di Lavis per gli Alcolisti in Trattamento – dipendono da vari fattori. Innanzi tutto, e lo posso confermare alla luce dei miei 23 anni d’esperienza, esse sono più fragili dal punto di vista emotivo e quindi soggette a ricadute. Certo, sono molto meno reticenti degli uomini ad entrare nei club, ma hanno meno supporto da parte dei mariti. L’uomo di fronte alla moglie che beve spesso si defila e non vuole assumersi impegni in questi gruppi. Viceversa, quando è lui ad avere problemi, la donna gli sta accanto e lo accompagna assiduamente”.
Non è facile, comunque, conoscere i veri motivi che fanno traghettare il gentil sesso verso questa forma di dipendenza. Sulle cause del problema, com’è noto, c’è un fiorire di teorie. In passato l’alcolista era bollato come persona psicologicamente fragile, alla stregua di un malato mentale che andava tolto in fretta dalla circolazione e parcheggiato in una corsia d’ospedale. Poi si è capito che altri fattori, come il contesto delle relazioni vissute in famiglia e nella comunità, hanno un bel peso in chi beve come una spugna. Un intreccio di rapporti da cui partire per avviare un buon lavoro di cura. “Ancor oggi - chiarisce Pancheri - ci fa comodo pensare che queste persone siano deboli per eludere il problema, facendoci sentire sicuri del fatto di poter continuare a bere moderatamente.Una tipologia dell’alcolista non esiste.
Ogni caso è specifico ed ha una storia propria. Le cause sono sempre multifattoriali: s’intrecciano spesso vissuti interni e condizioni estrinseche alla persona. Noi distinguiamo un alcolismo primario da quello secondario. Quest’ultimo, ad esempio, può nascere in una situazione di disagio psichico, come lo stato di forte depressione. In questi casi succede che oltre agli psicofarmaci si assuma l’alcol per ottenere benessere ed euforia, ma sono solo effetti iniziali, poiché esso è un vero depressore del sistema nervoso”.