Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Come cambia un modello femminile

La donna maghrebina: dalla casa-prigione alla televisione. Da Una Città, mensile di Forlì.

Lilia Zaouali

Da noi vigeva un detto: "La donna esce di casa due volte nella vita: la prima quando si sposa, per andare nella casa del marito, e la seconda per andare al cimitero". La donna nasce e cresce nella casa del padre, poi si sposa e va in un’altra casa, quella del marito. La domanda diventa allora: come si formava l’immaginario delle donne che non uscivano mai di casa, che non guardavano la televisione, che non ascoltavano la radio, che non sapevano leggere, che non sfogliavano le riviste di moda? Che immaginario avevano queste donne che sono le mamme delle donne arabe di oggi che vediamo vivere in modo diverso?

Era un immaginario che nasceva dalla tradizione orale, dai racconti, come per esempio Le Mille e una Notte. Cito Le Mille e una Notte perché è l’unica opera islamica di questo genere conosciuta in Occidente. Ma ogni paese possiede i suoi racconti e le sue epopee. In Tunisia c’è quella dei Banu Hilal (figli della luna), una tribù araba la cui epopea guerriera ispirò un ciclo epico. Ebbene, in questa storia c’è una donna, al-Gesia, che governa la tribù con il fratello, il Sultano Hassan. E’ una donna bellissima, di intelligenza eccezionale, in possesso di doni soprannaturali, che gli uomini della tribù consultavano per risolvere anche questioni politiche. Aveva lunghi capelli neri, portava una corona e molti gioielli, come viene rappresentata nei dipinti sotto vetro, dove appare col viso scoperto, spesso a cavallo in mezzo a scene di battaglia: è una delle poche eroine dell’epoca islamica paragonabile a quelle dell’antichità classica.

Altre donne che hanno avuto un’influenza sull’immaginario tunisino sono le sante musulmane, nella cui zawiya (mausoleo) si svolgono processioni e rituali religiosi ammantati di superstizione. La zawiya era luogo di socializzazione femminile, all’epoca in cui alle donne era vietato frequentare i luoghi pubblici.

Ho citato donne che la storia e la tradizione orale hanno conservato vive nel nostro immaginario, ma ce ne sono tante altre, figure straordinarie a cui gli uomini hanno attribuito dei poteri magici per spiegare la loro intelligenza o il loro potere. Quindi la donna, nell’immaginario dell’uomo arabo e musulmano, era ammirata se associata a un mondo meraviglioso, dotata di poteri soprannaturali o se dedicava la sua vita all’amore di Dio.

Questo fino al ‘900, quando alcune donne cominciarono a esibirsi in pubblico. Tra le più note c’era l’egiziana Umm Kalthum, che col suo canto conquistò la stima del re Faruk. Con la presa del potere da parte di Nasser, tentarono di censurarla, in quanto legata al regime monarchico, al vecchio Egitto. Ma quando Nasser lo seppe si scandalizzò: "Ma allora chiudiamo anche il Nilo perché anche il Nilo appartiene al passato", e subito la voce di Umm Kalthum tornò a essere trasmessa alla radio. Si vestiva all’occidentale, aveva il viso scoperto, aveva una compagnia di musicisti uomini ed era rispettata. La sua figura, secondo me, incoraggiò le donne a uscire dal guscio familiare e a rendersi visibili nella società. Prima di lei c’era stata Munira al Mahdiyya, che negli anni ‘20 recitava in teatro nel ruolo di Amleto. Una donna musulmana che recita il ruolo di un uomo in un’epoca in cui i ruoli di donne erano ricoperti da uomini travestiti! Quindi col XX secolo c’è un inizio di cambiamento nella mentalità: non solo donne eccezionali appartenenti a un universo fantastico o sante, ma anche artiste.

Poi sono arrivate le star del cinema egiziano. I primi film erano costruiti sul modello hollywoodiano e di Cinecittà, per lo più commedie, storie ispirate a quelle occidentali, con donne scollate e scarpe con i tacchi, e però girate in Egitto. In questi film si vede una libertà incredibile, ma soprattutto, per la prima volta, viene messa in scena l’espressione dei sentimenti nei rapporti tra le coppie, tra i membri della famiglia, tra amici. Tutto ciò non esisteva nel mondo musulmano: fino alla metà dell’Ottocento gli arabi scrissero solo poesia, racconti in stile medievale, relazioni di viaggio o saggi; la poesia non racconta i rapporti umani, è molto astratta. Ecco che all’inizio del ‘900 viene scritto il primo romanzo arabo, "Zaynab", di Hussein Haykal, che porta addirittura il nome di una donna. Era anche l’inizio dei movimenti femministi.

Al tempo la maggioranza della popolazione era analfabeta (soprattutto le donne), e poi i libri costavano. Quindi la vera svolta avviene col cinema, nel quale la donna diventa un essere umano normale, per cui assistiamo a litigi, baci, vediamo le donne ballare, educare i figli, andare a far la spesa...; e questo nuovo modello si diffonde in tutto il mondo arabo: là dove c’era la televisione si vedevano solo film egiziani. L’Egitto da questo punto di vista è stato un caso unico: ha creato una sua Cinecittà e una scuola di cinema che ha sviluppato una produzione straordinaria. E paradossalmente furono gli uomini a far arrivare alle donne il modello femminile visto nei film, perché all’epoca, solo loro andavano al cinema, e quindi "portavano a casa" le immagini e i modelli visti sullo schermo. Quando i miei genitori si sposarono, mia mamma portava il velo. La prima volta che mio padre la invitò al cinema, le disse: "Togliti quell’affare", "Mi vergogno, non sono mai uscita senza...". E lui: "Se vuoi venire, devi toglierlo". E lei lo tolse. Quindi gli uomini sono stati i primi ad assorbire questi modelli; le donne solo successivamente, in particolare con l’arrivo della televisione nelle case, nei primi anni ‘70. Da allora le donne hanno più o meno disinvoltamente vissuto in presenza di due tradizioni: quella trasmessa da nonne, zie e madri, e poi questo immaginario assorbito dalla musica, dalle canzoni, dal cinema. Senza contare la scuola e l’educazione, spesso bilingue.

Quello che mi sembra interessante e nuovo oggi è che non c’è tanta differenza tra una giovane tunisina e una giovane italiana della stessa classe socio-economica (insisto sulla specificazione sociale che mi sembra importante): ascoltano la stessa musica, portano le stesse scarpe, insomma seguono la stessa moda anche sotto l’abito islamico.
La mia generazione ha dovuto fare i conti con un immaginario complesso; forse quello di mia nipote è più povero. I quindicenni di oggi sono cresciuti soprattutto con la televisione che propone tanta pubblicità, quindi in una società del consumismo; possono vedere tutti i canali del mondo e in qualche modo dimenticarsi del Paese in cui vivono. In Tunisia, c’è chi guarda le televisioni arabe (egiziane, siriane, ecc.) e chi guarda le televisioni occidentali; gli intellettuali laici guardano le trasmissioni francesi come Arté ma anche i dibattiti politici su al-Jazeera; ma i loro figli sono totalmente immersi in un mondo globalizzato, dove, malgrado le apparenze, nulla li distingue, nei gusti e nei costumi, da un giovane americano o italiano.

La scuola rimane il luogo d’incontro per eccellenza tra ragazzi e ragazze: le attività sportive e culturali organizzate dalle scuole sono miste. Hanno molta più libertà dei ragazzi di 30/40 anni fa e hanno altri mezzi di comunicazione a loro disposizione, in primo luogo Internet. Tutto questo un po’ mi preoccupa, perché mi sembra che così vada perso qualcosa. Forse il nostro immaginario così complesso, articolato, talvolta contraddittorio, era una ricchezza da preservare. I nostri figli sembrano seguire strade e destini che non ci appartengono, che noi sentiamo estranei.
L’educazione dei figli è delegata alle donne. In Tunisia, dopo il lavoro, l’uomo va al caffè o torna a casa dove si piazza sul divano a leggere il giornale. Intanto la donna prepara la cena e fa fare i compiti ai bambini; se poi il figlio si ammala è lei che lo porta dal medico; se ha bisogno di scarpe è lei che lo porta in negozio… Le mamme passano la vita a correre per far piacere a tutti, perché continuano anche ad occuparsi dei propri genitori. Di nuovo una situazione contraddittoria, in cui si registra un ritardo nei costumi maschili, nel senso che le donne nelle aree urbane non solo lavorano, ma fanno gli stessi orari degli uomini, e però il carico dell’educazione dei figli pesa quasi tutto su di loro, perché l’uomo riesce difficilmente a cambiare le sue abitudini. Questo forse spiega anche perché oggi molte donne stiano facendo un passo indietro, perché non ce la fanno a sostenere tutti questi carichi; a quel punto sarebbe più semplice non lavorare, stare a casa.

All’evoluzione nell’immaginario, insomma, non corrisponde un’evoluzione nello status della donna. La mentalità non è cambiata o poco.

Le donne sono state quelle storicamente più disponibili al cambiamento: per loro adattarsi al nuovo significa migliorare la propria condizione. Per gli uomini, invece, al cambiamento corrisponde una qualche perdita di potere, e quindi fanno resistenza. Ma le cose cambieranno, semplicemente perché non c’è un’altra via.

Durante il Ramadan io vado spesso da mia madre in Tunisia e là trascorro gran parte del tempo con lei, quindi guardo anche la televisione con lei. Ecco, nei telefilm possiamo vedere nella medesima famiglia che una donna porta il tailleur, l’altra porta il velo, una lavora, l’altra sta a casa, insomma ci sono tutti i modelli possibili e sono compresenti. Lo stesso vale per l’uomo: c’è quello che considera le donne come pari e quello maschilista. Vengono messi in scena tutti i modelli che esistono nella società, nelle famiglie o nelle coppie. E anche questa è una novità, perché la tv in qualche modo legittima i modi di essere che compaiono sullo schermo, dà loro cittadinanza. Non solo: Al Jazeera una volta la settimana manda in onda una trasmissione intitolata "Solo donne", generalmente dedicata a un tema di interesse femminile, a cui partecipano donne provenienti da tutto il mondo arabo, ma vi sono invitati anche degli uomini. Si parla di donne in carriera che si sono imposte nel mondo del lavoro malgrado i rapporti conflittuali con gli uomini e le leggi discriminatorie, ma anche della depressione maschile di fronte al crescente potere femminile e quindi della sua aggressività; si trattano questioni anche delicate come il ripudio, e il tutto avviene quasi senza tabù, è un programma molto seguito.

Un dato incontrovertibile è che ormai tutte le giovani donne studiano. Le università sono piene di ragazze; dovunque vai ci sono donne che lavorano: impiegate, segretarie, insegnanti... nelle banche ci sono anche donne direttrici, sono presenti nei ministeri e hanno funzioni importanti anche negli enti locali. Certo, i posti chiave restano quasi tutti appannaggio maschile (come in Italia, del resto), però, per dire, ora una donna può sostituire l’imam nel discorso del venerdì. In Tunisia, poi, il Codice di famiglia è stato riformato nel ‘56 e poi è stato ulteriormente emendato. Ora è uno dei migliori nel mondo arabo, anzi il migliore: la poligamia è stata abolita fin dal ‘56, come pure il ripudio.