I diritti del contumace
Quando si condanna un assente..
Contumace è parola ambigua: contumace perché? Per essere rimasto assente nel processo? Oppure perché affetto da peste o da colera?
Come è noto, si segregano in contumacia al largo dei porti i sospetti di gravi infezioni epidemiche. Ma io parlerò solo di quelli che interessano i giudici e non i medici.
La contumacia è prevista dall’articolo 420 quater del codice di procedura penale, che autorizza il Giudice a procedere in assenza dell’imputato, che magari non è neppure al corrente di essere accusato e giudicato. I casi non sono infrequenti. Balza subito agli occhi la contraddizione con l’articolo 111 della Costituzione che stabilisce il principio del contraddittorio e prevede che l’imputato abbia il diritto di interrogare chi lo accusa; non solo, ma pure il diritto di conoscere per tempo il contenuto delle accuse in modo da potersi adeguatamente difendere .
La Corte europea dei diritti umani, con sentenza 10 novembre 2004, ha "condannato" l’Italia per il caso Sejdovic, stabilendo il vecchio principio latino "ne absens damnetur": non si condanni l’assente.
A prima vista sembra eccessivo, perché a volte è veramente difficile, o addirittura impossibile trovare un latitante o un evaso nascosto in capo al mondo. Tuttavia in uno Stato democratico deve esserci il modo di salvaguardare i diritti dell’imputato contumace senza colpa, che superi il restrittivo art. 175 cpp (restituzione nel termine per l’impugnaziomne).
Nel caso Sejdovic l’imputato era stato condannato in contumacia dalla Corte di Assise di Roma per omicidio e possesso di arma alla pena di 21 anni e 8 mesi di reclusione. Non veniva proposto appello e la sentenza passava in giudicato. Sejdovic venne fermato dalla polizia tedesca e l’Italia ne chiese l’estradizione per scontare la pena, garantendo che l’uomo sarebbe stato rimesso in termine per proporre appello. La Germania però non concesse l’estradizione perché a norma degli artt. 3 e 6 della Convenzione dei diritti umani il Sejdovic aveva diritto, prima dell’appello, ad un nuovo giudizio di primo grado. La Corte europea dei diritti umani ha accolto tale principio osservando che nell’ordinamento italiano c’è una lacuna perché è inammissibile che il contumace (in buona fede) abbia solo il diritto di ricorrere in appello e non ad un nuovo giudizio di primo grado dove possa difendersi liberamente in contraddittorio sulla fondatezza della accusa in fatto e in diritto.
Segnalo in proposito il breve saggio del prof Alberto Cuccuru in Diritto penale e Processo n° 5 del 2005 pag. 643-649, con il quale concordo pienamente.