Sport: soldi pubblici per i professionisti?
Lo sport trentino e il caso Itas: le tante società sportive, la squadra che eccelle, gli sponsor, un pubblico meraviglioso. Ma la dura legge del professionismo non fa tornare i conti: e fino a che punto è giusto che intervenga l'ente pubblico?
Sono state concitate le giornate di fine marzo per sportivi e tifosi della pallavolo: il patron della squadra Itas Diatec, Diego Mosna che minaccia di lasciare Trento per Roma, i tifosi che si disperano, L’Adige che sponsorizza la protesta, e organizza una grande assemblea alla Sala della cooperazione. Dove gli assessori provinciali Mellarini e Berasi assicurano in anticipo la riconferma di una sponsorizzazione biennale (per 508.000 euro annui). E’ il giro di boa: Mosna si dice soddisfatto, la protesta si acquieta, i politici sono soddisfatti, la squadra resta a Trento. Tutto bene? Mah, noi vorremmo ragionarci sopra.
Partiamo da un interrogativo: è giusto che i soldi pubblici vadano allo sport professionistico? Non è forse più doveroso che l’ente pubblico promuova lo sport di base, l’educazione fisica nelle scuole, e più in generale l’attività motoria nella società, tutti campi in cui ci sono vistose carenze? E che invece il professionismo, con tutto quello che comporta (maxi-compensi, tifosi, Tv, sponsor) si giochi la sua partita sul mercato?
Noi, per esempio, non ci scandalizziamo dei compensi multimilionari (in euro) dei calciatori: vorremmo però che essi provenissero dai biglietti e dagli sponsor, non dalle casse pubbliche.
E in effetti, nel caso Itas-Diatec, la Provincia di Trento è stata ben attenta a non versare soldi propri.
Ha però investito i soldi della Trentino spa, società pubblica. E gli assessori si sono precipitati dai tifosi ad assicurare la sponsorizzazione. E allora?
Partiamo da un discorso generale. Il Trentino è una terra dove lo sport è innanzitutto molto praticato, soprattutto per gli standard italiani. Sarà per la montagna, con le gite e lo sci che fanno parte della tradizione famigliare; sarà per la nostra tendenza ad associarci, per cui è più facile mettere in piedi società sportive: sta di fatto che la provincia di Trento si contende con Bolzano il primato italiano per maggior numero di società e di tesserati per abitante.
Un’attività di base vivace, quindi. Positiva di per sé, anzitutto. E che poi porta a risultati – se proprio vogliamo - anche ai massimi livelli agonistici, come si è visto nell’ultima Olimpiade; ma anche andando indietro, dai Moser ai Guarducci, ai Dionisi, ai Nones... "Ma state buoni! – così un mio amico, immigrato napoletano, redarguiva altri amici da fuori provincia che criticavano il Trentino – Se non fosse per questa piccola regione, l’Italia alle Olimpiadi farebbe solo figuracce!"
Tutto questo sembrava avere una conseguenza: non lasciare spazio al grande sport professionistico. Se il trentino medio la domenica va in montagna o va a seguire la figlia o il fratello o il moroso impegnati nel torneo di tennis o nella gara di rampichino, il pubblico da stadio langue. E così latitano gli sponsor, già impegnati a sostenere gare, squadre e squadrette amatoriali, dove con quattro soldi si ottiene visibilità, anzi riconoscenza, presso cento famiglie.
Dal 2000 invece, a smentire questa dinamica che sembrava obbligata (e, intendiamoci, tutt’altro che negativa), ecco il fenomeno Itas. La squadra approda in serie A1, lotta per il titolo e si crea un pubblico ampio: 3.800 le presenze medie a partita.
E non è solo un discorso quantitativo: è un pubblico affezionato e corretto, formato da intere famiglie "Mio figlio non lo porterei certo a una partita di calcio, al volley invece ci andiamo volentieri, c’è uno spazio proprio per i bambini" – mi dice un affezionato spettatore. "Il Palaghiaie pieno ti dà calore, ti commuove; è un pubblico bello, ci si sta bene" – afferma un altro, e non è un ingenuo.
Ma le regole del professionismo sono ferree; e la prima, primissima regola è che ai massimi livelli ci vogliono soldi, tanti (basti pensare che, oltre agli atleti, la società impiega stabilmente più di 40 persone, fra dirigenti, allenatori, preparatori atletici, medici, paramedici, accompagnatori, operai). Il bilancio lievita, veleggia verso i 3 milioni e mezzo. Il pubblico così numeroso ed entusiasta, invidiato nelle altre città, non basta: gli oltre duemila abbonamenti, le decine di migliaia di biglietti portano nelle casse appena poco più del 10% del bilancio totale.
La pallavolo è sovradimensionata? Non è che più ci sono soldi da spolpare, più la struttura cresce a dismisura? E l’Itas, non è che costi troppo di suo, visto che altre squadre con analoghi risultati costano molto meno, come il Verona, che ha un bilancio di un milione e mezzo?
A questi interrogativi non sappiamo rispondere: sta di fatto che nessuno li ha veramente posti, e si è partiti dall’assunto che il meccanismo del volley è questo: o lo si accetta o si lascia perdere.
Il punto è che, con questa dinamica, Diego Mosna ogni anno deve metterci un milione / un milione e mezzo di tasca sua, e questo per una squadra che allo scudetto non ci arriva. E allora il patron si stufa, vuole alleggerire il proprio impegno. Di qui il suo show down: o il Trentino, inteso come aziende ed ente pubblico, subentra con altri finanziamenti, oppure trasferisco tutto a Roma, dove ci aspettano a braccia aperte.
Gli industriali rimangono freddi: forse per motivazioni tecniche (non valutano adeguato il "ritorno" pubblicitario); e senz’altro per motivi gestionali, perchéMosna è il classico padre-padrone, che vuol comandare su tutto, ha l’80% della società e nessuno ha voglia di versare soldi per entrare in un consiglio d’amministrazione a farci da soprammobile.
Rimane quindi l’ente pubblico. E qui entrano in gioco gli assessori.
Intendiamoci - mette le mani avanti l’assessore provinciale allo Sport Iva Berasi, dei Verdi – non è la Provincia a dare contributi, ma la Trentino spa (la società di promozione turistica n.d.r.) a intervenire come sponsor, è una promozione del marchio Trentino. Come fa in tante altre occasioni, ad esempio sponsorizzando il ritiro della Juve a Pinzolo".
Non entriamo nel merito dell’operazione Juventus (500.000 euro versati parte da Trentino spa, parte dal Comune di Pinzolo); rileviamo solo come, da un punto di vista tecnico, quella sia un’operazione con una sua coerenza interna: i giocatori che si allenano sui prati della Rendena automaticamente pubblicizzano la vacanza in Trentino.
"Tutta la teoria della pubblicità consiglia la coerenza tra sponsor e sponsorizzato: la Fernet Branca, che ha l’aquila nel suo marchio, sponsorizza un progetto per salvaguardare le aquile, l’Adidas e la Nike, sponsorizzano lo sport – ci dice un pubblicitario – Altro discorso è il mecenatismo, che si configura come una sorta di regalia per promuovere un’immagine in generale. Ma se invece vogliamo parlare di ritorno di un investimento, dobbiamo parlare di marketing; e di coerenza".
Insomma, è coerente che l’azienda turistica di Rimini sponsorizzi una squadra di beach volley, o di pallanuoto; e quella trentina sciatori, alpinisti, squadre di hockey. Molto meno coerente è sponsorizzare il volley.
"La strategia della Trentino spa è territoriale – prosegue il nostro pubblicitario – lancia il marchio della farfalla come simbolo del territorio, appetibile nella sua totalit: montagna, lago, cultura. Di qui la coerenza delle sponsorizzazioni di sport legati al territorio; o ancora, la promozione di eventi culturali in alta montagna o nei castelli. Francamente invece, non vedo la logica tecnica di interventi su sport come volley e basket.
E ancora, sempre da un punto di vista tecnico: la sponsorizzazione di un soggetto sportivo è delicata, in quanto legata all’aleatorietà del risultato; se si vince, tutto bene, anzi molto bene, ma se si perde, e magari si retrocede, il contraccolpo di immagine può essere addirittura negativo".
Non la pensa così l’assessore Berasi: "Approvo in pieno l’operato della Trentino spa: la squadra si chiama Itas-Diatec-Trentino, sulla maglietta c’è scritto Trentino, abbiamo molteplici passaggi in Tv (95 ore solo su Sky, con riprese in Tv di 26 paesi del mondo) sui quotidiani, ecc. Inserzioni dirette su Tv, quotidiani e periodici, costerebbero molto di più".
A dire il vero, noi abbiamo qualche perplessità sul paragonare la scritta sulla maglietta a una pur tradizionale bella pagina a colori con montagne e/o sciatori. Sta di fatto che in trasferta la squadra è seguita da un furgone che pubblicizza le vacanze in Trentino. E fino all’anno scorso c’era pure la pubblicizzazione di Melinda, che sponsorizzava il "libero" (giocatore in ruolo particolare, che indossa una maglietta diversa dai compagni – cosa non si fa per la pubblicità!), vestito tutto con i colori di Melinda, e al seguito c’era pure un camper con specifico materiale pubblicitario e, naturalmente, le mele, omaggio sempre gradito. Quest’anno Melinda ha ritirato la sponsorizzazione, come del resto tutto il mondo della cooperazione, che persegue altre strategie; ed è stato uno dei colpi che non sono piaciuti a Mosna.
Ritorniamo alla Trentino spa.
Ci sembra chiaro che i 500.000 euro abbiano altre finalità oltre a quelle del marketing.
"Oltre all’immagine, c’è il ruolo di promozione dello sport – afferma Berasi – Con l’Itas in serie A il volley è cresciuto moltissimo, in particolare quello femminile. Il sostegno allo sport è in effetti un ruolo della nostra società di promozione turistica, che oltre all’Itas sostiene altre 8 società di volley, 6 di atletica, 5 di basket, 5 di calcio, 3 di nuoto, 3 di pallamano, e inoltre atleti che praticano il fondo, lo sci alpino, l’alpinismo, l’automobilismo, il ciclismo, e ancora il tennis, lo sci nautico, il tiro con l’arco, la vela...
Praticamente tutto. Per un totale di 1.250.000 euro. E’chiaro che una parte di questi testimonial danno un buon ritorno come promozione del marchio trentino; per altri invece si tratta di promozione dello sport".
In tutto questo c’è anche un trucchetto contabile, come spiega l’assessore: "Alcuni casi potrebbero essere considerati semplici contributi; ma allora ricadrebbero nelle spese correnti, che vogliamo limitare; classificandoli invece come promozione del Trentino, diventano investimenti, e passano ad altra parte del bilancio".
Su questo panorama il dibattito potrebbe essere ampio. Mettere insieme promozione del Trentino e della pratica dello sport, è confusione o sinergia? E ancora: la lista infinita di squadre e singoli sportivi, quasi sempre dilettanti, che la Berasi ci ha detto essere sostenuti con 1.250.000 euro, non fa risaltare come un’anomalia i 500.000 euro per la sola Itas?
Insomma, il quadro, come si vede, è complesso. E allora riproponiamo il dilemma iniziale (se finanziare il professionismo o aiutare lo sport di base) a Cristina Boniatti, presidente trentina dell’associazione che fin dal nome (Uisp, Unione Italiana Sport Per tutti) storicamente si è battuta contro la marginalizzazione dello sport amatoriale e di quello non agonistico.
"Noi pensiamo che lo sport sia importante come messaggio e stile di vita – ci risponde – e una squadra come l’Itas è molto importante come messaggio. Purché che i finanziamenti siano a 360°: l’impegno a sostenere l’Itas non deve comportare dei tagli allo sport per tutti".
La coperta è quello che è, se la si tira da una parte...
"In Italia, se si spende per lo sport, si spende per quello agonistico e professionistico. Lo Stato finanzia il Coni, e il Coni finanzia le attività sportive, ma allo sport di base arrivano solo le briciole. A dire il vero la Provincia di Trento è più attenta. L’assessore Berasi, per esempio, ci ascolta, hanno finanziato anche nostri progetti: da un progetto salute rivolto agli anziani, anche a domicilio, a uno sul doping per i giovani. Noi stiamo cercando di proporre una politica diversa dello sport, incentrata sul dilettantismo e sul non agonismo. Ma non cerchiamo contrapposizioni con lo sport professionistico".
Meno diplomatico è Sergio Nichelatti, che dell’Uisp è stato presidente in passato: "Sono andato spesso a vedere l’Itas giocare e conosco personalmente molti tifosi: parecchi sono impegnati nell’associazionismo sportivo, e cercano di diffondere la pratica sportiva anche ai livelli più bassi. Tuttavia, è pur vero che molti sono tifosi ‘passivi’, che concepiscono lo sport come qualcosa da guardare piuttosto che da praticare".
Non crede che sia una mentalità da contrastare?
"Certamente. E’ una mentalità indotta dalla commercializzazione del fenomeno sportivo. Spetterebbe ai dirigenti il compito di sensibilizzare gli appassionati affinché si vedano come praticanti partecipi di un’attività sociale piuttosto che come spettatori di un evento agonistico di livello elitario. Qualcuno ci prova, e le stesse federazioni stanno diventando sensibili al tema dello sport per tutti. Ma si sa che lo sport si regge sulle sponsorizzazioni, e agli sponsor interessa il discorso economico e non quello sociale. Il nodo è questo. In tal senso, è significativo quanto è successo in occasione delle recenti Olimpiadi invernali teletrasmesse in tutto il pianeta, allorché, in occasione delle varie cerimonie, si sono viste più bandiere della Coca-cola che vessilli sportivi; quando poi, poco dopo, si sono svolte le Paralimpiadi, poco appetitose sul piano commerciale, i riflettori dei media, semplicemente, si sono spenti".
E’ stato Alberto Bianchini, del Consiglio Direttivo dell’Associazione Trentina Insegnanti di Educazione Fisica, in una sua lettera, pubblicata su L’Adige, e che anche noi riportiamo (Sport e scuola), a collegare i finanziamenti all’Itas all’insegnamento motorio nelle scuole.
"Non ho niente contro l’Itas e il presidente Mosna - ci dice – ma ci sono alcune domande che penso dovremmo porci: è corretto che tutta l’attività sportiva venga valutata sul concetto di ‘visibilità’? E’ corretto che le risorse vengano orientate con questi criteri? E ancora: perché la Provincia di Trento con la sua autonomia sulla scuola non dedica lo stesso fervore emotivo qualificando la scuola trentina e portandola, prima in Italia, a livelli europei?"
E qui veniamo a un punto dolente: la scuola.
Il j’accuse di Bianchiniè deciso: l’educazione fisica nelle scuole è la cenerentola; e nelle elementari, in pratica, addirittura non esiste. Dovrebbero occuparsene i maestri, che però hanno altre competenze e altra mentalità. Tutto questo è grave e ci colloca fuori dall’Europa, e "a farne le spese sono milioni di ragazzi e ragazze.
Ad esempio, lo studente trentino usufruisce della metà delle ore dedicate all’educazione fIsica di uno studente portoghese, greco, spagnolo, olandese, norvegese, e un quarto delle ore di uno studente francese, tedesco o austriaco".
E non è finita. C’è la delega dell’educazione sportiva alle società.
"E invece bisognerebbe creare un sistema sportivo scolastico autonomo, che ponga al centro della propria strategia un’impostazione ‘educativa’ dell’attività sportiva. E’ quello che avviene in quasi tutta Europa, mentre in Italia i bambini della scuola primaria sono avviati allo sport nelle società sportive, con i conseguenti rischi: la precocità, la monosportività, la selettività e l’abbandono".
Chi conosce le società sportive, ha presente i loro meriti; ma anche i limiti della loro azione. Sono infatti tese a cercare e creare il campione, non certo a invogliare alla motricità il ragazzino imbranato.
"Portare all’interno della scuola l’avviamento sportivo – prosegue Bianchini - garantirebbe sia la promozione di una mentalità sportiva più solidale e rispettosa, sia la riduzione delle più negative ed evidenti incongruenze del modello sportivo giovanile quando è teso al solo agonismo. Ma per far questo occorrono finanziamenti".
A noi sembrano parole sante. Le giriamo all’assessore allo sport, Iva Berasi.
"Non credo si debba fare l’errore di mettere in concorrenza professionismo ed educazione fisica – ci risponde – Poi, è vero, nella scuola dobbiamo darci da fare: per garantire almeno due ore nelle elementari, con insegnanti Isef o laureati in scienze motorie, non con i maestri come oggi. Per fare questo dobbiamo metterci soldi. Abbiamo appena stanziato mezzo milione di euro per un accordo con il Coni per fornire un appoggio di personale Isef e laureato alle elementari. Bisognerà passare a un disegno organico".