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Il silenzio sugli innocenti

Severodvinsk (Russia): da ex gulag staliniano a centro industriale a cimitero radioattivo off limits anche per gli aiuti umanitari. Da “Narcomafie”, mensile del Gruppo Abele di Torino.

Edoardo Giannotti

Nel nord della Russia, affacciata al Mar Bianco, esiste una città così fuori dal mondo da apparire un non-luogo ai suoi stessi abitanti. E’ Severodvinsk, nata come gulag all’epoca del terrore staliniano e divenuta poi centro industriale, sede dei cantieri navali Sevmash e Zvezdochka. Sevmash è rimasto l’unico cantiere russo a costruire sottomarini nucleari, Zvezdochka si occupa invece dello smantellamento di queste macchine da guerra e dello stoccaggio del combustibile nucleare della marina militare.

Vivere a Severodvinsk è difficile non solo per la rigidità del clima. Le persone che ai tempi della guerra fredda lavoravano per l’industria bellica ora sono quasi tutte disoccupate, non essendo il governo più in grado di pagare gli stipendi. Nella sciagura, hanno avuto almeno la fortuna di essere sopravvissute. A Severodvinsk, infatti, si è sempre lavorato a contatto con materiali radioattivi. Un numero incalcolato di operai è stato colpito dal cancro e molti sono morti dopo aver messo al mondo figli deformi o con sistemi immunitari gravemente debilitati.

Gli orfani di chi ha lavorato a Sevmash vengono ospitati e accuditi a Dietzky Dom, la "Casa del bambino". Alcuni sono privi di occhi, o di braccia o di gambe. Altri sono malati di cancro. Chi non è nato deforme è sordomuto.

Dell’incubo Severodvinsk non parla nessuno, nemmeno chi lo vive: può accadere che per timore di rappresaglie gli abitanti neghino che vi sia una relazione tra le menomazioni dei figli e la radioattività che impregna l’acqua, la terra, tutto. Lo stesso fanno i medici. Chi ha cercato di rompere la cortina di reticenza e paura, come Alexandr Nikitin, un ex capitano della flotta russa che contribuì alla stesura di un report di un’associazione ecologista norvegese, è stato imprigionato e condannato a morte per divulgazione d’informazioni segrete.

Oltre a disinteressarsene, il governo di Mosca ostacola con la burocrazia gli aiuti provenienti dall’estero. Recentemente dalla Germania un’organizzazione umanitaria aveva inviato una sofisticata apparecchiatura per i bimbi sordomuti: poiché le tasse di sdoganamento erano addirittura superiori al costo del macchinario, l’apparecchiatura è rimasta nei magazzini della polizia di frontiera, dove giace tuttora.

Questa è Severodvinsk: non-luogo dove l’espressione segreto militare ha nascosto un olocausto ovattato, soffocato nel gelo e nella distanza.

Il fotografo

Edoardo Gianotti è nato a Torino nel 1963. Laureato in antropologia culturale presso la Facoltà di Scienze politiche, inizia a lavorare come fotogiornalista free-lance nel 1994.

Ha realizzato reportages sulla Russia post-comunista, sul narcotraffico in Colombia, sulla guerriglia in Kashmir e ha seguito con particolare attenzione tematiche legate alla condizione dell’infanzia. Nel 1998 ha fornito al Progetto IPEC delle Nazioni Unite, finalizzato alla lotta allo sfruttamento dei minori, immagini sulla situazione dei minori in India e Nepal.

All’inizio di quest’anno si è recato nell’Artico russo, nella zona militare chiusa agli stranieri di Severodvinsk, per documentare gli effetti della contaminazione nucleare sulla popolazione.