Generazione anni Trenta: Rivadossi e Olivieri
A Verona sculture e dipinti degli ultimi decenni di questi due artisti. Fino al 12 giugno.
Nelle sale di Palazzo Forti due artisti della generazione degli anni ‘30, il bresciano Giuseppe Rivadossi scultore e Giorgio Olivieri pittore veronese, provano a raccontare attraverso i loro lavori gli ultimi quarant’anni di ricerche sulla forma e sul colore. Già con le Teste degli anni ‘60 Rivadossi rivela un’ispirazione umanistica sobria dell’esistenza, attenta all’espressione dell’intima visione delle cose che si nascondono nei recessi dell’animo umano e che troverà forma nelle Camere chiuse ottenute a scavo che si aprono grazie ad ante incernierate o negli strettissimi passaggi per l’uomo dominato dalle grandi arcate in forma di chiuso alveare de "La mia città".
Le sue sono immagini archetipe - igloo, piccole arche... (l’"Immagine d’inverno" del 1973 mi ha fatto pensare alle bussole ruote di legno scuro delle suore clarisse), vere e proprie architetture che celano luoghi per le cose semplici della poesia del quotidiano, vere e proprie madie e cassetti, in continuo gioco tra esterno-interno o, come ci suggerisce Italo Calvino, tra leggerezza e peso.
Negli anni 90 Rivadossi ritorna all’"uomo", a quelle figure in posa volte a cogliere gli ultimi bagliori della luce del giorno e cariche di stupore. Di grande forza espressiva il gruppo delle Grandi Madri, delle "Mater Amabilis in giardino" del 1996, il cui mondo festoso raccolto in piccole esedre rimanda a certa scultura giovanile di Arturo Martini; tra strutture piatte e luminose si annidano ombre profonde, come ad opere dalla corporeità decisa si contrappongono rigori geometrici minimalisti, immagini assolute e leggere come una vela ("Madia Athos"). Degli ultimi anni è l’affermazione della geometria e della superficie, della purezza per intenderci, rispetto alle forme "organiche" precedenti ("Punte Krisa", immagini a cono sportellato, allusive delle infinite possibilità della creazione).
Per quanto riguarda l’antologica riservata alla pittura di Giorgio Olivieri, esponente della Pittura analitica, si parte alla grande con opere notevoli per rigore formale dei primissimi anni ‘70 (l’"Icona verde", la "Vibrazione in rosso" e il "Senza titolo" quadrato del 1972 sulle tonalità del verde sono forse i più belli). Seguiranno i monocromi, le cui superfici troveranno in un angolo bande multicolori sui risvolti moltiplicate da specchi, e con gli anni ‘80 strisce di colore verticali che dialogheranno con forme geometriche piene: rettangoli, quadrati e trapezi in un clima di felicità cromatica intensa eppure ancora compressa nella geometria.
Ricordo ancora con piacere la mostra del 1998 alla Galleria Le due Spine di Rovereto curata da Remo Forchini, tutta giocata sui ritmi spaziali delle opere degli anni ‘90. Mollando gli argini negli ultimi anni Olivieri sembra aver ceduto alla tentazione: superfici levigate alla maniera dell’encausto lucide, quasi specchianti, e, come Narciso, si perdette.Le nappe lungo i perimetri dei tondi o mollate, cariche di colore, al centro del quadro, non mi hanno trasmesso emozioni. Se parliamo poi delle superfici, aggiungo che sono pure allergico al velluto.