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Lucio Fontana, opere 1947-1965

Legnano, Palazzo Leone da Perego, fino al 30 gennaio.

In questo numero affronteremo le problemaiche del vuoto e dell’infinito nell’opera di Lucio Fontana, artista sommo di cui abbiamo già scritto lo scorso anno a proposito della mostra veronese, convinti come siamo che le opere d’arte, soprattutto quelle che segnano un secolo, vanno viste, lette e rilette, come non ci si stanca di ascoltare un vecchio disco di Miles Davis.

"Ricerca spaziale" (1946).

Quei buchi, quelle profondità vanno esplorate; quei tagli ancora fanno male e buttano sangue. Architetti razionalisti come Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers (il famoso gruppo BBPR) chiedono a Fontana di realizzare dei bassorilievi - di cui si sono perse le tracce - per la colonia elioterapica di Legnano: lo stesso comune, settant’anni dopo, nel Palazzo Leone da Perego, gli dedica una mostra fino al 30 gennaio.

La sorpresa sta nel pubblico apparentemente meno scafato che proviene dall’hinterland milanese, ma che è stato abituato da istituzioni molto attive sul fronte delle arti, come il Museo di Gallarate, la collezione Panza di Biumo, ecc. Inoltre a noi piacciono mostre fatte con poco rumore e molta sostanza.

Nello scorso mese ci eravamo occupati di un altro architetto razionalista come Giuseppe Terragni, delle forme primarie del cubo e del pieno; la mostra di Legnano parte da un’opera realizzata in bronzo, la "Scultura spaziale" del 1947, che è al contrario una forma vuota, anch’essa primordiale, una forma anulare che sembra realizzata da un bambino che gioca con la sabbia.

Pieno e vuoto diventano le facce di un’unica moneta, di un’unica avventura ideativa. Una volta avviato, questo processo si fa inarrestabile fino a passare nei misteri della superficie che dal ’49 sarà violata dai buchi a X che "metaforicamente traducono l’assunto - contenuto nei vari manifesti spaziali - di un’espressione che non contempla i modi tradizionali della pittura e della scultura, ma li sintetizza, aprendo la superficie all’incognita del vuoto" (Paolo Campiglio).

Dai vortici ai buchi disposti con maniacale ordine geometrico Fontana ci indica i nodi di un percorso che procede dal ritmo vorticoso ad una modalità contemplativa di esistenza caratterizzata, quest’ultima, dal monocromo che subisce differenti interventi sulla tela: la presenza di sabbie, vetri e altri materiali. Con gli anni Sessanta i buchi si fanno più ampi, i famosi tagli diventano "Attese" che "danno la pace".

Azione e forma creano una sorta di sospensione, di concentrazione e silenzio, rispettato dai tanti giovani che ho visto in queste sale. Oltre ai capolavori, interessantissimi sono gli schizzi dei teatrini e delle opere che, disposte in fase temporale, in forme chiuse, una vicina all’altra, formano quasi un pensiero, un "concetto" appunto.

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