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La chiamano contestazione…

Lui prende palla, dribbla un avversario, tira e segna. Con lo sguardo teso come se lo avessero appena espulso ritorna nella sua metacampo mentre il pubblico, il suo pubblico, lo fischia o quanto meno non lo applaude. In pratica, lo contesta.

Christian Vieri in campo.

Lui è Christian Vieri, l’antipatico quanto forte giocatore dell’Inter che non ha un ottimo rapporto con i suoi tifosi, i quali spesso e volentieri in questi ultimi mesi lo hanno fischiato o addirittura insultato: la chiamano contestazione.

Nei rapporti sociali la contestazione è garantita dalla libertà di espressione, cioè dalla possibilità di protestare nei confronti di chi ha leso un diritto. Contestazione e violazione di un diritto infatti sono strettamente correlati. Un esempio evidente lo fornisce la vita politica, all’interno della quale gli individui utilizzano la forma della contestazione e della protesta per ostacolare i tentativi di un particolare potere (anche legittimato) di minare le basi di quelli che gli individui stessi riconoscono come loro diritti.

Ad esempio: gli imprenditori snelliscono il loro parco operai per andare ad investire all’estero e guadagnare di più? E la gente protesta (diritto al lavoro). Il capo del governo propone per sé l’impunità? E la gente protesta (diritto all’uguaglianza di fronte alla legge). Un qualsiasi parlamento invia dei ragazzi a farsi ammazzare in una qualsivoglia guerra? E la gente protesta (diritto alla vita. Come dite, quello si chiama patriottismo? Beh, allora...).

Tutte le volte che viene leso un nostro diritto ci sentiamo in dovere di protestare. Ma nello sport perché lo spettatore contesta? Quale suo diritto viene leso?

La contestazione nello sport in realtà più che alla contestazione politica assomiglia molto a quella che ritroviamo nel mondo dello spettacolo. Anche di fronte ad un’opera teatrale mal recitata o mal diretta il pubblico protesta. Qual è il diritto violato, dunque, da un giocatore poco in forma o da un attore impacciato nei confronti del pubblico?

Il diritto di vedere ciò che ci si aspetta di vedere in misura direttamente proporzionale al costo del biglietto e soprattutto al valore (per lo più "monetario") dello sportivo o dell’artista. Ecco il punto: io pago per vedere, tu vieni pagato per esibirti, perciò io ho il diritto di godere di uno spettacolo degno del tuo vero o presunto valore. E se così non sarà, nessuno mi potrà impedire di contestarti.

Preso atto di questo contratto non scritto, è lecito chiedersi quali siano le conseguenze per lo sportivo. Di fronte a lui si aprono due vie. La prima è quella che lo indirizza verso la spettacolarizzazione professionale per la quale ha il dovere di rispondere alle legittime aspettative del pagante.

Christian Vieri con l'ex-morosa.

Il contratto non scritto va rispettato e prevede il diritto di contestazione. Lo sportivo deve recitare la sua parte e poco importa se improvvisamente si sentirà stanco, scarico, perfino alienato come un animale in gabbia allo zoo. Il voyeurismo sportivo conduce lontano, fin dove l’occhio dello spettatore vuole arrivare, fin dove il credito dello spettatore permette di arrivare. The show must go on, e lo spettacolo deve continuare seguendo i gusti di chi alimenta il business.

Il consumatore di immagini vuole più agonismo in campo? E noi, sportivi, glielo diamo. Vuole partite a tutte le ore per sublimare mediaticamente la sua libido repressa? E noi gliele diamo. Vuole entrare nella vita intima dei suoi beniamini? E noi lo proiettiamo fra tette e culi di presunte morose che mansuete recitano la loro parte.

Vi sembra esagerato? Se pensate quanto una tifoseria nella sua arroganza può condizionare una società e i suoi giocatori, tutto questo non vi apparirà più esagerato. E’ un gioco delle parti a cui nessuno in fondo vuole sottrarsi: col denaro si paga bene anche la dignità calpestata. Per cui non ci si lamenti delle contestazioni che piovono dalla platea; sta agli attori decidere se ciò nonostante rimanere sul palco o se invece mandare tutti al diavolo.

Cosa significa optare per quest’ultima scelta? Significa - ed è la seconda via a disposizione dello sportivo - ritornare alla sobrietà e alla libertà che dovrebbero caratterizzare lo sport.

Un atleta che gioca e fatica per il piacere che in questo modo dà a se stesso, e non per pavoneggiarsi a pagamento con le sue arti, non è più la maschera che si trova a scimmiottare secondo le stagioni delle mode e dello spettatore. Per questo motivo le contestazioni nei confronti di chi pratica lo sport per il piacere di praticarlo (come dovrebbe avvenire a livello dilettantistico, almeno finché il denaro che purtroppo circola non lo corromperà definitivamente) sono del tutto illegittime e indice di incivile arroganza.

Meno uno sportivo guadagna e meno i fruitori delle sue esibizioni possono avanzare aspettative o arrogare diritti su di lui e meno, dunque, possono contestarlo. Più, invece, si maneggia il potere e la ricchezza, meno si può sfuggire alla contestazione e meno si può censurarla. Se una qualche censura ci deve essere - insegnava Guido Calogero - essa allora deve sempre essere a tutela del più povero e mai del più ricco, del più umile e mai del più arrogante, del più debole e mai del più forte.

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